Skip to main content

La produzione di oppio in Afghanistan

|

MIR Meridiani relazioni Internazionali – 3 maggio 2013 di Barbara Maria Vaccani

La produzione di oppio dell’Afghanistan è in aumento per il terzo anno consecutivo e sta raggiungendo un nuovo record. È quanto rivelato dal rapporto sui rischi legati alla produzione di oppio in Afghanistan rilasciato dall’ufficio delle

Nazioni Unite contro droga e crimine (Unodc). I funzionari internazionali che operano in Afghanistan temono che dopo il 2014, quando le truppe della coalizione internazionale presenti nel paese si ritireranno, il narcotraffico si espanda fino a trasformare l’Afghanistan in un narcostato, cioè un paese dove la percentuale maggiore del Pil deriva dal commercio di droga e dove lo Stato è inefficiente o compiacente verso il narcotraffico. Secondo le Nazioni Unite, nel 2011, i guadagni della vendita degli oppiacei afgani equivalevano a circa il 16% del Pil dell’Afghanistan, ma nel 2004 questa cifra è arrivata al 60%.

L’oppio è uno stupefacente derivato dalla lavorazione del papavero da oppio e da cui, a sua volta, deriva l’eroina.

L’Afghanistan è il maggior produttore mondiale di oppio dall’inizio degli anni novanta (con un’eccezione solo nel 2001, a seguito dell’intervento americano): nel 2012, il 75% del raccolto mondiale di oppio è stato prodotto in Afghanistan e nel 2013 si potrebbe arrivare fino al 90% (il dato non è ancora disponibile). All’inizio del rapporto delle Nazioni Unite si legge che la coltivazione dell’oppio sta raggiungendo una situazione preoccupante in tutte le regioni dell’Afghanistan, ad eccezione di quelle settentrionali, storicamente meglio controllate dalle autorità governative. Ci si aspetta che l’oppio non solo si espanda in regioni dove viene già coltivato, ma che si diffonda anche in aree che erano “poppy-free”, cioè libere da questa coltivazione.

Secondo i dati raccolti nel rapporto delle Nazioni Unite, la motivazione principale che spinge i contadini afgani a
piantare il papavero da oppio è il prezzo di vendita dell’oppio: circa duecento dollari al kilogrammo, contro un guadagno tra i 50 centesimi e poco più di un dollaro per un kilo di grano o di riso. La seconda spiegazione sta nella mancanza di sostegno da parte del governo per la semina di colture diverse. Solo il 10% dei contadini intervistati ha dato questa spiegazione, ma nel 2012 era stato l’1% dei coltivatori a dare questa risposta: in un anno l’efficacia delle istituzioni afgane sul questo fronte è quindi calata.

Ai contadini è stata fatta anche la domanda al contrario: perché non coltivare il papavero da oppio. Nel nord est dell’Afghanistan la maggior parte delle risposte sono state la bassa resa del raccolto e il divieto del governo di
coltivare oppio. Nel resto del paese, invece, quasi la metà dei contadini interpellati (il 46%) hanno risposto che non
coltivano il papavero perché hanno paura che le piantagioni vengano eradicate da parte delle autorità afgane. Nel 2012
quasi la stessa percentuale di contadini non coltivava l’oppio perché vietato del governo, ma quest’anno questa risposta è stata data solo dal 13% degli intervistati. Ai contadini afgani non interessa più molto ciò che il governo decide sull’oppio.

La coltivazione dell’oppio permette ai contadini afgani di assicurarsi una buona entrata, ma probabilmente non correrebbero il rischio se non ci fosse nessuno a comprargli l’oppio e se il governo, oltre a proibirne la coltivazione, si impegnasse di più contro il narcotraffico e in misure di sostegno all’agricoltura. Il narcotraffico funziona in Afghanistan perché coinvolge anche lo Stato. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2009 intitolato “Dipendenza, crimine e insurrezione, la minaccia transnazionale dell’oppio afgano”, dei guadagni totali generati dall’oppio, il 20% va ai contadini, il 5% ai taliban e il 75% rimane ai trafficanti o va a polizia e funzionari statali sottoforma di bustarelle per chiudere un occhio.

Un sistema del genere, in cui tutti traggono profitto, è difficile da smantellare e porta con sé una serie di rischi, sia per l’Afghanistan, sia per il resto del mondo. I rischi per l’Afghanistan riguardano il suo futuro e la possibilità di diventare un paese economicamente sviluppato e con istituzioni solide: che interesse avrebbe l’establishment afgano attuale a cambiare le regole, visti i margini di profitto che può avere dal traffico dell’oppio? I contadini, dal canto loro, perché dovrebbero dedicarsi alla coltura di riso o grano, quando hanno una vendita ad alto prezzo assicurata dall’oppio?

I narcotrafficanti, poi, hanno tutto l’interesse a mantenere la situazione invariata: Stato con poco controllo, corruzione dilagante e contadini con poche alternative. I rischi per il resto del mondo riguardano la diffusione della tossicodipendenza e di malattie come l’Aids, e l’esistenza di reti criminali transnazionali che gestiscono le esportazioni ed il commercio della droga (nel 2008 Europa e Russia erano i maggior consumatori al mondo di eroina, mentre l’Iran primeggia sul consumo di oppio).

Le missioni internazionali presenti in Afghanistan dal 2001, in particolare quella della Nato (Isaf) e quella delle Nazioni Unite (Unama) hanno fra i propri compiti quello della costruzione di uno Stato afgano solido, pacifico e sicuro. La lotta al narcotraffico e alla corruzione sono espressamente previste nei mandati di entrambe le missioni. Salvo rinnovi, nel 2014, sia Unama che Isaf lasceranno l’Afghanistan e le istituzioni dello Stato afgano dovranno cavarsela da sole. Viste le premesse, le previsioni sulla lotta al narcotraffico non sono delle migliori, ed è per questo che si teme la trasformazione dell’Afghanistan in un narcostato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *