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La morte del futuro. La piaga della droga devasta l’Afghanistan, e tocca anche i bambini

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IL SOLE 24 ORE – 16.6.2013 – Articolo di Cristiana Cella

reportage afghanistan 258Lo scheletro del palazzo reale distrutto di Darul Aman, di notte, si trasforma in un girone dell’inferno. È qui che si raduna gran parte dei tossicodipendenti di Kabul, ormai più di 60.000. Ruderi e quartieri degradati, per ospitarli, non mancano in città.
Di giorno, occupano le strisce di prato che dividono le poche strade asfaltate o si rifugiano sotto i ponti. Oggi, in Afghanistan, i tossicodipendenti sono più di un milione, c’è chi parla di un milione e mezzo, un terzo, sono donne e bambini.

Un dato in aumento costante, che porterà l’Afghanistan ad avere il più alto consumo mondiale di droga pro capite. E l’Aids, lo ‘tsunami silenzioso’, miete sempre più vittime. Un mondo perduto che ha scarsissime possibilità di riscatto.

In un paese economicamente e socialmente devastato, nell’insicurezza e nella disoccupazione crescente, la droga ha gioco facile. I prezzi sono popolari, meno di 5 euro al grammo. Sempre troppi per chi non ha reddito o guadagna mezzo dollaro al giorno. Significa trascinare la famiglia nella miseria. La tossicodipendenza degli uomini devasta ulteriormente la vita, già drammatica, delle donne, esasperando la violenza domestica.

“Ho sposato mio cugino a 12 anni – racconta Maleya, di Kabul, ospite della ‘casa protetta’ della Ong Hawca -. Ho visto subito che qualcosa non andava, non lavorava, si iniettava droga, era arrabbiato, violento. Quando ho cominciato a lavorare di nascosto, per far sopravvivere le mie figlie, mi portava via i soldi a suon di botte. Adesso, per pagarsi le dosi, vuole farmi prostituire. È a questo punto che sono scappata.”

Il dramma dei tossicodipendenti a Kabul

Ma anche le donne, sempre di più, fanno uso di oppio ed eroina. “Fumano tra le mura domestiche, – dice Storay Darinoor, coordinatrice del Centro di recupero per donne Sanga Amaj, che ha curato finora, più di mille donne – per sopportare le difficoltà della vita e le malattie che non possono curare, ma sono anche costrette a farlo dai mariti.

È difficile, per loro, venire al Centro, è una vergogna grave, sono stigmatizzate più degli uomini”. Così, spesso, le dottoresse vanno a curarle, nei villaggi, intervenendo su tutta la comunità, bambini compresi. I figli respirano il fumo dei genitori, negli ambienti ristretti in cui vivono, sono mandati in cerca di dosi, oppure la assumono direttamente.

Alcuni hanno sintomi di dipendenza già prima dei due anni. “Un tempo- dice Tariq Suliman, direttore del Nejat Center, centro di recupero per uomini, aperto nel 2009 nel quartiere ad alta tossicodipendenza di Kart-e-Char, – c’era un moderato uso tradizionale di oppio e l’eroina era sconosciuta. Oggi si produce direttamente qui, nelle fabbriche lungo il confine iraniano e pakistano, e si trova facilmente. Dal 2003, più di 50.000 profughi, rientrati tossicodipendenti da Iran e Pakistan, hanno diffuso nuovi metodi, siringhe e crack. Il degrado delle condizioni di vita ha fatto il resto”.

 

I centri di recupero efficienti, per uomini, donne e bambini, sono pochi e tutti finanziati dall’Onu e da organizzazioni straniere. Nessun sostegno governativo. I programmi sono simili. Curano l’emergenza, assistono, con uno staff di medici, assistenti sociali e psicologi, insegnano un lavoro, ospitano i senzatetto. “Il lavoro e la religione, che condanna l’uso di stupefacenti, sono le leve più importanti- continua Suliman- per rendere stabile la disintossicazione. E’ un percorso difficile, le ricadute sono ancora al 40/60%”.

E la situazione non è certo destinata a migliorare. Anzi. Secondo l’ultimo rapporto di Unodoc, ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine, uscito un mese fa, la produzione di eroina, già cresciuta del 18%, quest’anno è destinata ad aumentare, raggiungendo livelli record. Alcune zone, che erano considerate ‘poppy free’, riprendono la coltivazione, che si concentra principalmente nelle province del sud e dell’ovest, dove la sicurezza è più compromessa. Le campagne di sostituzione del papavero con altre coltivazioni, come lo zafferano, sono fallite, per inefficienza e mancanza di sostegno economico agli agricoltori.

I guadagni dell’oppio sono incomparabilmente maggiori, lo zafferano di cattiva qualità e il mercato irraggiungibile. Così come continuano a fallire le campagne di eradicazione che non vanno oltre la propaganda e distruggono solo i piccoli produttori che non possono pagare tangenti all’esercito. I contadini, che hanno già ricevuto anticipi sul raccolto distrutto, sono costretti a cedere la loro terra ai druglords, perdendo l’unica fonte di reddito. O peggio, per pagare i debiti, vendono le figlie, ancora bambine, le cosiddette ‘spose dell’oppio’, mogli e schiave. Così, gli agricoltori, raccontano a Kabul, a primavera, prima che arrivi l’esercito per sradicare le piante, minano i campi. I soldati sono costretti a compiere l’operazione, forniti di metal detector, per non saltare per aria.

“Il problema è che la mafia della droga è legata alla politica”, afferma il dott. Suliman.
Negli ultimi 12 anni, l’Afghanistan si è trasformato in un narco-stato, produttore del 90% dell’eroina mondiale, destinata soprattutto al mercato europeo e russo. Il traffico costituisce ormai il 15/20% del Pil, fruttando, miliardi di dollari. Una produzione aumentata di 40 volte, dall’inizio dell’occupazione Nato. Lo ha recentemente affermato Viktor Ivanov, presidente del Servizio Federale russo per il controllo degli stupefacenti.

L’enorme afflusso di capitali liquidi, depositati nelle banche internazionali, non finanzia solo la guerriglia talebana. Sono in molti a beneficiarne. Nutre abbondantemente la corruzione, triste primato del paese, e coinvolge tutti i livelli dello Stato. Molti signori della guerra, sostenuti dalla Nato, che siedono in Parlamento, responsabili di crimini e stragi, durante la guerra civile, gestiscono direttamente il traffico nelle province che governano, con proprie truppe e prigioni private, nell’impunità totale.

“La droga è perfino più distruttiva della guerra- sostiene Malalai Joya, ex parlamentare, espulsa dal parlamento per i suoi attacchi ai warlords-Per fermare l’annientamento del nostro futuro, dobbiamo liberarci di questo Governo di criminali fondamentalisti e dell’occupazione, entrambe coinvolti nel traffico.

Il fratello di Karzai, ucciso nel 2011, era uno dei più grossi trafficanti ed era sul libro paga della Cia da molti anni. Anche il ministro contro la droga lo è”. L’oppio è l’unica economia produttiva del paese, le altre, come tessile e agricoltura, un tempo fiorenti, non esistono più.

Il fragile governo si regge sugli aiuti stranieri, arrivati in quantità enormi, nel circuito ufficiale o fuori, come i ‘dollari fantasma’, recentemente denunciati dal New York Times. Fiumi di denaro incontrollato, recapitati, ogni mese, per gli ultimi dieci anni, in segreto, a Karzai e al suo National Security Council, dalla Cia. Arrivavano in valige o sacchi di plastica, per comprare la collaborazione di warlords e politici, spesso legati al traffico di droga e ai talebani.

Una politica disastrosa, seguita, per alcuni anni, anche dall’Iran. “Spesso- sostiene Suliman- gli occidentali pensano che noi produciamo l’inferno dell’eroina per il mondo e ci godiamo il paradiso dei profitti. Non è così. I profitti sono solo per chi ha il potere e, intanto, siamo noi, per primi, che stiamo bruciando. Un milione di vite, soprattutto giovani, sono già distrutte”.

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