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C’era una volta… dall’Afghanistan. Nasce a Kabul l’Accademia delle Storie.

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L’Unità – 12 luglio 2013 – di Cristiana Cella

Un’idea dell’imprenditrice Selene Biffi. La Qessa Academy è una scuola unica, nata tre mesi fa e rivolta ai giovani disoccupati che imparano dai cantastorie più anziani l’arte di raccontare.

Inventare e raccontare storie, conoscere quelle tradizionali, legare passato e futuro in una nuova narrativa. È questo che imparano, ogni pomeriggio, insieme all’inglese e all’uso del computer, 13 ragazze e ragazzi disoccupati, dai 18 ai 25 anni, sui banchi della Qessa Academy, Accademia delle Storie.

Una scuola unica, aperta tre mesi fa, in un quartiere popolare di Kabul, da una giovane imprenditrice sociale italiana, Selene Biffi. Selene ha fatto tutto da sola, compresa la pulizia e la pittura dei locali, con il finanziamento del primo premio del Rolex Award for Enterprise. Un’idea originale, forse strana per noi occidentali, ma non in Afghanistan. Qui, le storie sono pane quotidiano. Agli afghani piacciono le parole, d’amore e rabbia, tenerezza e dolore, battaglia e orgoglio. Intrecciate in racconti o in poesie, sono la forma d’arte più amata e popolare da millenni, in ogni etnia e ceto sociale, tra istruiti e analfabeti.

Versi e storie non sono di nessuno, appartengono a tutti, composti, raccolti e diffusi da mille voci. «Ho costruito un grandioso palazzo di versi, Inattaccabile dal vento e dalla pioggia, Così non morirò, perché sono come l’Eterno, Perché ho sparso semi di parole». Così scriveva il grande poeta Firdusi, nell’anno mille. Un modo di comunicare, ancora vitale, che, oggi, utilizza anche cellulari e web. Nella millenaria cultura afghana, accanto ai versi dei grandi poemi mistici dei maestri Sufi, ci sono quelli, rapidi come lampi, dei «Landai», ossia «serpentelli velenosi».

Sono composti oggi, come secoli fa, dalle donne pashtun, per esprimere sentimenti soffocati, ribellione alla violenza dei mariti. Sferzati con sarcasmo fulminante, e protesta politica. Le donne poetesse continuano a lanciare i loro «semi di parole» segreti, nonostante molte di loro abbiano pagato con la vita la loro arte. Come Nadia Anjuman, uccisa dal marito perché declamava in pubblico le sue poesie, o Zarmina, morta suicida, sorpresa dai fratelli e massacrata di botte, mentre affidava al cellulare i suoi versi.

 

Gli storytellers, i cantastorie, che da secoli portano in giro i racconti, sono figure popolarissime. Oggi, la poesia è soprattutto denuncia delle condizioni del paese, dal conflitto, alla violenza domestica, all’occupazione. Una tradizione orale preziosa che deve essere, secondo Selene, conservata e rilanciata. «Le storie – afferma – possono diventare un potente strumento di cambiamento». È questa la sua scommessa.

«In un paese in cui, dopo più di 30 anni di guerra, l’analfabetismo è una piaga sociale che riguarda il 75% della popolazione (il 90% di donne), – continua- i libri non sono lo strumento più rapido per far passare messaggi vitali per lo sviluppo». Si può imparare anche ascoltando, come qui si è fatto per secoli. Perché ci sono informazioni, come salvarsi dalle mine, dal colera, da un’infezione post parto, dalla violenza di un marito, che devono arrivare in fretta e lontano, a tutti. Per questo Selene ha deciso di puntare sulla voce. I protagonisti e gli intrecci coinvolgenti di una storia, suggeriscono soluzioni, mostrano comportamenti corretti, diffondono idee di convivenza e pace, proteggono dalla paura.

Ma i maestri cantastorie sono ormai anziani e i giovani sotto i 25 anni, che sono il 68% della popolazione, distratti dai pervasivi miti occidentali e impegnati nelle enormi difficoltà della vita quotidiana, non hanno modo di raccogliere questo testimone. La Qessa Academy è uno spazio in cui gli storytellers più anziani, insegnano agli studenti la loro arte, conservando e promuovendo il patrimonio di storie del paese che sarà messo on line, a disposizione di tutti, coinvolgendo nella raccolta anche gli afghani che vivono all’estero.

«Qui hanno la possibilità di diventare orgogliosi del loro paese, della storia e della tradizione che gli appartengono». Per chi è nato dentro la guerra, spesso, sconosciute. Molti ragazzi non sanno nulla di cos’era il loro splendido paese prima del disastro. La violenza continua rende pericolosi i ricordi e fa saltare i ponti con il passato. I potenti si cautelano, preparando futuri cittadini senza memoria. Il Ministero dell’Istruzione ha recentemente cambiato i libri di storia per le scuole, eliminandone le parti scomode, come la guerra civile. La distruzione della città e i 65.000 morti scompaiono, facendo dei responsabili, i signori della guerra al potere, degli eroi immacolati. Recuperare le proprie radici, è già un atto di resistenza.

«Lo storytelling diventerà per i nostri ragazzi disoccupati, una nuova possibilità professionale. Lavoreranno come facilitatori di piccole e grandi trasformazioni, rappresentando le loro storie nelle scuole e nelle varie comunità». Gli allievi, nei cinque anni del progetto, saranno più di cento. Appartengono alle diverse etnie del paese e hanno tutti alle spalle anni difficili, tragedie, separazioni. Come ogni sabato, ascoltano, attenti, Partaw Naderi, attivista socio-politico e il più conosciuto poeta afghano vivente. Le sue poesie di denuncia contro i russi gli costarono tre anni di prigione e torture nel carcere di Pul-e-Charki. La sua presenza in cattedra completa il sogno realizzato di Selene, nato anni fa nella tragedia.

Era appena arrivata in Afghanistan, nel 2009, come consulente Onu, quando la sua guest house fu attaccata dai talebani. Tra i 12 morti c’erano sei suoi colleghi. Fu risparmiata, dice, per un capriccio della fortuna. Evacuata, ripartì subito, con un nuovo progetto, un sussidiario di sopravvivenza e un fumetto educativo, per bambini delle zone rurali afghane.

È in quel periodo che nasce l’idea della Qessa Accademy. Selene non si fa ingenue illusioni. Ma crede fermamente nei piccoli passi che mettono in moto le trasformazioni. Gli attacchi e le esplosioni fanno ormai parte della sua quotidianità come di quella di tutti gli abitanti di Kabul.

Lavora alla sua scuola 12 ore al giorno e ha poco tempo per il resto. Una scelta, per la quale ha rifiutato una candidatura al Parlamento. «È un vero privilegio fare quello che faccio qui. In Afghanistan c’è qualcosa di magico, a dispetto della guerra e delle privazioni. La straordinaria resilienza, la capacità di reagire e far fronte alle difficoltà, e la dignità di questo popolo. Le sfide sono molte quando si cerca di cambiare le cose. Ma così fa la speranza».

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