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Afghanistan. Sotto il tappeto di menzogne della guerra americana – 1

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Osservatorioiraq – 22 Aprile 2013 di Anna Toro

L’invasione americana dell’Afghanistan è avvenuta sotto la falsa copertura “etica” dell’esportazione della democrazia e della lotta al terrorismo internazionale, ma ha da tempo deragliato anche da questi finti binari.A partire dai continui raid aerei contro i civili inermi.

“L’effetto collaterale” della guerra degli Stati Uniti in Afghanistan si chiama uccisione indiscriminata di civili. L’ultima strage targata Nato risale proprio allo scorso 6 aprile, con 11 bambini morti e diversi feriti, nella provincia di Kunar.

“Ci hanno sparato da diverse case della zona. Un americano è stato ucciso e molti dei nostri uomini sono stati feriti. La forza di coalizione ha risposto col bombardamento”, ha detto una fonte della sicurezza afghana presente durante l’operazione.

Prontamente accompagnata solita dichiarazione da parte dell’esercito a stelle e strisce: “Non sapevamo che ci fossero donne e bambini in casa. I talebani li hanno usati come scudi”.

Funziona sempre allo stesso modo: allo scontro di terra seguono i rinforzi aerei, e quindi i bombardamenti. Muore un certo numero di civili, il presidente e la comunità internazionale condannano la strage, la Nato si scusa e tutto torna come prima, fino alle prossime vittime.

Quello di aprile, infatti, è solo l’ultimo di una lunga serie di raid da parte dell’Isaf, che hanno coinvolto civili, e tra loro molti bambini. E neanche uno dei peggiori.

Basti pensare al bombardamento di Azizabad, villaggio nella provincia di Herat, del 22 agosto 2008, sempre da parte delle forze armate degli Stati Uniti. Il bersaglio di questa operazione, effettuata da un Lockheed AC-130, era un comandante talebano.

Si stima che durante l’attacco siano stati uccisi tra i 78 e i 92 civili.

O a quello di Granai, nel distretto di Baba Buluk, datato 4 maggio 2009: secondo le Nazioni Unite avrebbe causato la morte di 90 persone, tra cui 60 minori. “Il bombardamento più letale per i civili dall’inizio dell’intervento internazionale nel 2001″, anche se il ‘record’ sarebbe stato superato poco dopo.

Il 4 settembre 2009, un raid effettuato da un F-15 americano, su richiesta della Bundeswehr tedesca, prendeva di mira due camion di carburante sequestrati dai talebani, causando 142 morti, di cui 100 civili. E’ la ‘famosa’ strage di Kunduz.

“Alle prime luci dell’alba, nel distretto di Chardarah, nel nord dell’Afghanistan, gli abitanti del villaggio si sono riuniti intorno alle carcasse di due navi cisterna bombardate dalla Nato – scriveva il Guardian –. Si sono fatti strada attraverso decine di corpi carbonizzati e membra aggrovigliate mescolate con cenere, fango e plastica fusa, in cerca di un genitore, un fratello o un cugino”.

I parenti addolorati hanno cominciato a litigare sui resti delle vittime, che non potevano in nessun modo identificare.

Poi, “gli anziani del villaggio sono intervenuti. Hanno raccolto tutti i corpi che potevano e hanno chiesto alle persone il numero di coloro che avevano perso. Hanno formato una coda. Uno per uno, i familiari dei defunti hanno dato i nomi dei fratelli, cugini, nipoti e figli scomparsi, e ciascuno ha ricevuto la sua quota di cadaveri. Le loro identità non erano importanti, in ogni caso erano al di là di ogni riconoscimento. L’unica cosa che contava era avere un corpo – o una parte di esso –  da seppellire e su cui pregare”.

Secondo le Nazioni Unite, nel 2010 sono stati uccisi 2.777 civili (il 15% in più rispetto all’anno prima), mentre nel 2011 si sale a quota 3.021 (+8%), per poi riscendere di 9 punti percentuali nel 2012, con 2.754 morti.

Freddi numeri che spesso contrastano con la drammaticità dei singoli eventi, in un paese martoriato da 30 anni di guerra e da un’invasione mascherata da lotta al terrorismo internazionale prima, e da cacciata dei talebani poi.

Il ché non è senza contraddizioni. Secondo l’avvocato penale internazionale Gilles Devers, nella guerra dell’Isaf in Afghanistan si è andati sempre più verso una deriva del diritto: “La Nato ha ottenuto dall’Onu il permesso di sbarcare in Afghanistan per rispondere ad al-Qaeda, ma non ha avuto alcun mandato di eliminare i talebani”.

E parlando della strage del 9 aprile scorso, scrive: “Dopo la morte del soldato americano le truppe avrebbero potuto ritirarsi, non vi erano altre minacce. Questi bombardamenti sono dunque rappresaglie, e le rappresaglie sono vietate dall’articolo 33, paragrafo 3, della IV Convenzione di Ginevra”.

E ancora: “Il bombardamento ha preso di mira una casa in un villaggio, e ciò significa che i bambini sono stati uccisi nelle loro case. La teoria dello scudo umano non tiene, perché è vietato bersagliare proprietà civili, soprattutto in un quartiere residenziale. (…) Non lo impone alcuna necessità militare. Questo fatto, da solo, qualifica il reato”.

In base allo statuto del Tribunale penale internazionale, sono crimini di guerra: dirigere intenzionalmente un attacco sapendo che causerà la perdita di vite umane tra la popolazione civile, danni ai civili, danni a beni di carattere civile o danni diffusi, e gravi danni per l’ambiente naturale che sarebbe chiaramente eccessivi in relazione al vantaggio militare concreto e diretto previsto.

“Perciò – conclude Devers –, questo attacco è un crimine di guerra, e criminali sono i comandanti della Nato. Certo, la giustizia non sarà perseguita, ma questa impunità è inaccettabile”.

Eppure i bombardamenti del 2001 e l’invasione dell’Afghanistan sono sempre stati presentati all’opinione pubblica mondiale come una “guerra giusta”, una guerra diretta contro Al Qaeda, una guerra per eliminare il “terrorismo islamico”, liberare le donne afghane dal giogo talebano e instaurare una democrazia in stile occidentale.

Che i veri motivi dell’invasione americana siano soprattutto economici, geopolitici e strategici, non è certo una novità.

Ma per le madri dei bambini morti il 6 aprile, o per il vecchio di Kunduz che dopo la strage Nato ha riportato a casa un pezzo di cadavere ignoto, seppellendolo come se fosse suo figlio, tutto questo ha poca importanza.

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