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Afghanistan. Il “mistero” delle studentesse avvelenate

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Osservatorioiraq – 3 maggio 2013 di Anna Toro

“Siamo entrate in classe e all’improvviso abbiamo sentito un cattivo odore. La nostra insegnante ci ha consigliato di aprire le finestre, ma poi qualcuna ha cominciato a gridare e a perdere conoscenza. Infine siamo state portate in ospedale”.
A parlare è una delle studentesse della scuola di Sultan Razia, a Kabul, dove la mattina del primo maggio 150 ragazze hanno mostrato sintomi di avvelenamento: mal di testa, nausea, vertigini e svenimenti.

Venti di loro sono state ricoverate, tra cui, secondo i medici, una decina in condizioni critiche. Si cercano prove e colpevoli, mentre le istituzioni già puntano il dito sui talebani, da sempre contrari all’istruzione delle donne.

Anche perchè, nonostante oggi le scuole femminili non siano più una rarità nel paese, la paura continua a essere una costante e di recente questo tipo di allarmi si sono moltiplicati, soprattutto sulla scia delle decine di attacchi perpetrati contro gli istituti negli ultimi due anni.
Ad aprile del 2012, erano state 150 le ragazze avvelenate dall’acqua contaminata della scuola di Bibi Maryam in Taliqan, nella provincia settentrionale di Takhar.

Il governo afghano e la polizia attribuiscono la colpa di questi ‘frequenti incidenti’ ai conservatori radicali, dato che spesso riguardano zone in cui l’insurrezione talebana è ancora molto forte.

“Siamo sicuri che l’acqua che le ha fatte star male sia stata intenzionalmente avvelenata”, aveva dichiarato Jan Mohammad Nabizada, portavoce del dipartimento dell’Istruzione della provincia di Takhar, mostrandosi convinto che l’attacco fosse stato condotto “da coloro che sono contro l’istruzione femminile”.
Perché nel serbatoio utilizzato per riempire le brocche da cui avevano bevuto le ragazze non v’era traccia di veleno.
Un episodio che getta più di un dubbio sulle affermazioni del governo afghano dello scorso anno, quando le autorità di Kabul assicuravano che i talebani non si sarebbero più opposti all’istruzione femminile, condizione fondamentale per partecipare ai negoziati di pace.

Il fatto però che nessun gruppo o individuo abbia mai rivendicato la responsabilità di questi attacchi ha portato un giornalista del New York Times, Matthew Aikins, a sostenere che molti di questi episodi sarebbero il risultato di un “attacco di isteria di massa”, citando un rapporto delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), secondo cui quelle ragazze non presentavano nessuno dei sintomi associabili all’avvelenamento, tra cui “emorragie interne e convulsioni”.

Da parte sua l’OMS avrebbe raccontato al Newsweek che in più di 200 campioni raccolti, tra sangue, urine, e acqua di sorgente, “non era stata trovata alcuna prova di avvelenamento deliberato”.
“Questo non significa che le ragazze abbiano fingendo – continua Aikins – La loro malattia era reale, tanto reale quanto la depressione clinica o il disturbo da stress post-traumatico. Il punto è che hanno bisogno di aiuto, sotto forma di consulenza e di formazione, nonché di interventi a lungo termine per migliorare le condizioni della scuola e l’accesso alle risorse per la salute mentale”.
La colpa, secondo lui, è anche dei media che alimentano la psicosi.

“Le ragazze in età scolare sono tra i gruppi più vulnerabili – scrive –. Soffrono di insicurezza, spesso sono povere e malnutrite, ma anche soggette alle pressioni della pubertà e ai grossi problemi di disuguaglianza di genere del paese. Non possono certo restare insensibili al clima di paura creato dalle notizie della stampa sugli ‘avvelenamenti’ dei talebani”.
Poi, lo scorso giugno, la NDS (National Directorate of Security), l’agenzia di intelligence afghana, annuncia l’arresto di 15 sospetti, tra cui anche due studentesse diciassettenni, Shukria e Seema Gul.
Secondo la NDS, le ragazze erano state pagate l’equivalente di mille dollari ciascuna per introdurre il veleno nelle loro scuole. Nel corso della conferenza stampa, gli ufficiali hanno anche mostrato i video delle loro confessioni: in uno di essi compariva Seema seduta in una stanza scarsamente illuminata, che raccontava di come un presunto agente talebano l’avesse costretta ad avvelenare i suoi compagni di classe.

Tuttavia, successivamente le ragazze hanno ritratto le loro dichiarazioni, sostenendo di essere state forzate a confessare tramite percosse e abusi.
“È anche molto preoccupante – aveva commentato James Rodehaver, capo dell’organizzazione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Afghanistan – il fatto che la NDS abbia pubblicizzato così le confessioni dei sospetti, comprese quelle delle due studentesse. Questo viola i diritti del giusto processo, tra cui la presunzione di innocenza degli imputati”.

Nonostante questa controversa vicenda, la realtà è che le ragazze afghane restano le vittime prescelte della violenza che ancora attraversa il paese, anche se ?oggi sono quasi tre milioni quelle che frequentano le scuole, il 38% contro lo 0 assoluto del periodo talebano, con le insegnanti di sesso femminile che hanno raggiunto il 30% . ?
Lanci di razzi e di mortaio, incendi dolosi, attentati contro le insegnanti e acido sul volto sono quasi all’ordine del giorno, come conferma un rapporto delle Nazioni Unite, che nel 2011 registra 185 attacchi contro gli istituti scolastici, numeri che contraddicono gli altri report citati dal giornalista americano.

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