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Afghanistan: il “misterioso” caso di Mr. Kandahari

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www.contropiano.org – di Enrico Campofreda

262f28ab452229333f5dea1cf044bb6e 614x300C’è di nuovo maretta fra il governo di Kabul e l’alleato statunitense che si rinfacciano operazioni e protagonisti delle stesse dai contorni quantomeno inquietanti. L’ultimo caso riguarda tal Zakaria Kandahari, un nome forse di copertura, del cui arresto hanno parlato taluni ufficiali dell’esercito afghano.

La notizia è confermata da fonte autorevole: il generale Manan Farahi, capo dell’Intelligence che dipende dal locale Ministero della Difesa. L’uomo ufficialmente è un interprete di cittadinanza afghano-americana, secondo altre fonti solo statunitense, addetto a collaborare con reparti speciali dell’esercito d’occupazione. Di fatto si tratterebbe di un agente addestrato dalla Cia per svolgere lavoro sporco: interrogare con ogni mezzo, immaginate voi quelli più in uso, i prigionieri politici.

Operazioni svolte nel quartier generale statunitense di Kabul, la cittadella proibita spesso oggetto di attentati da parte talebana. Unit 124 viene definito in codice il luogo operativo, probabilmente tuttora in funzione.

Di questo particolare soggetto Hamid Karzai chiese tempo fa l’arresto, ma nel gennaio scorso mister Kandahari si dileguò dalla base Usa facendo perdere le tracce. L’opera dell’agente torturatore era connessa con le missioni speciali compiute dalle Task Force della Nato, basate su blitz con cui vengono catturati civili sospettati di collaborare coi Taliban.

 

In queste unità speciali prestano servizio anche militari italiani: l’incursore parà Alessandro Romani rimase vittima durante un’azione compiuta a Bakwah nella provincia di Herat nel settembre 2010. Task Force 45, cui apparteneva, è composta da Unit Alfa con base a Farah e Unit Bravo a Herat, coinvolti parà dell’Esercito, incursori di Marina e Aeronautica, Carabinieri. Non è riconosciuta dal nostro Stato Maggiore della Difesa che mantiene riserbo sul tipo di operazioni svolte, parla genericamente di caccia a terroristi, e sul numero degli effettivi all’unità. La direzione di fatto è statunitense.

Ma torniamo all’uomo della Cia. Svela The New York Times che veniva ricercato per la sparizione di alcuni dei 17 civili detenuti dal team della Forza Speciale Americana per la quale lavorava. Investigatori afghani hanno trovato un videotape che lo mostra all’opera mentre tortura il cittadino Mohammad Sayid, e si fregia assieme ai militari statunitensi di quel ricordo. Abitudine diffusa nell’Us Army non solo ad Abu Graib. Quando ad aprile l’unità operativa lasciò la base vennero rinvenuti i corpi di 10 vittime, un’ultima è stata scoperta a giugno.

Dopo circa un mese di silenzio giunse un comunicato Isaf che parlando d’investigazioni sul caso discolpava da qualsiasi sospetto i propri militari. Human Rights Watch rispose che invece ci sarebbe stato parecchio da spiegare. Investigatori afghani sono tornati sul ruolo di mister Kandahari che dopo la dismissione dell’unità operativa era stato trasferito nella piccola base di Nerkh, provincia di Wardak coprendo con la mansione d’interprete funzioni paramilitari.

Da parte sua il generale Farahi ha osservato che ora che è stato catturato Zakaria Kandahari può svelare quale ruolo avessero i soldati americani nel ricavare informazioni torturando o facendo torturare i civili. Sembra un gioco delle parti dove si fa finta di non sapere qual è il reale obiettivo di queste strutture. Vedremo se oltre al terrore seminato Kandahari e Farahi sveleranno i nomi di terroristi, stavolta senza turbante.

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