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La paura degli Afghani di essere dimenticati al freddo

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Lo spettro della fame e della morte aleggia, mentre la nazione si prepara ad affrontare un duro inverno.

Da: RAWA.ORG – Di Ali M Latifi

Akbar non ricorda la data esatta, ma ciò che non può dimenticare sono le morti.
Durante l’inverno particolarmente rigido dello scorso anno, almeno sei bambini – da un mese a cinque anni d’èta – sono morti di freddo in un campo per rifugiati interni a Charahi Qambar, nei sobborghi di Kabul. Facevano parte del centinaio di Afghani morti nell’inverno del 2012, uno dei più freddi che si ricordi. Akbar, uno dei responsabili del campo, prova un profondo senso di rimorso e responsabilità per la perdita di queste giovani vite.
“Non riusciamo nemmeno a far vivere i nostri figli” afferma guardando in lontananza i Monti Hindu Kush ricoperti di neve.

rawa photo kabul jan15 2012 151 300x22515 gennaio 2012: Una donna seduta su una strada bagnata con il bambino in grembo a Kabul. I rigidi inverni uccidono molte persone, in particolare bambini.

Con l’inverno in arrivo fra poche settimane, la sfida per rimanere vivi sta diventando imminente.
La maggioranza dei 6.000 rifugiati interni del campo di Charahi Qambar è fuggita dalla violenza di Herat, nel sud-ovest. Tutti speravano che spostandosi nella capitale il pericolo sarebbe diminuito, ma si sbagliavano.

Sfide umanitarie
Nonostante i conflitti diminuiscano notevolmente in Afghanistan durante i mesi invernali, il freddo e la neve portano nella nazione una grande quantità di sfide umanitarie, prime fra tutte la malnutrizione e l’insicurezza alimentare.
Per i 7 milioni di Afghani che soffrono per mancanza di cibo, l’inverno rappresenta uno dei periodi più duri dell’anno.
“È stato molto difficile. Non c’erano medicine, non c’era cibo”, racconta Sharanfar, una donna di 25 anni che vive nel campo di Charahi Qanbar, ripensando agli scorsi inverni.
Sharanfar, che ha già passato otto inverni nella capitale dopo essere fuggita dalla sua casa di Gereshk, una città nella provincia di Helmand, afferma che ogni anno si ripresenta la stessa lotta.
“I bambini”, dice, “sono morti perché non mangiavano e faceva freddo, quindi erano molto deboli”.
Gli esperti dichiarano che la semplice spiegazione di Sharanfar non è così lontana dalla verità. Infatti, tenendo conto che ci sono circa 500.000 rifugiati interni, le proporzioni di questo flagello sono enormi.
Christine Roehrs, portavoce di Save the Children in Afghanistan, afferma che l’inverno crea una “combinazione diabolica” di adulti e bambini deboli, che non hanno la possibilità di nutrirsi adeguatamente e, di conseguenza, vengono “attaccati dal freddo”.

 

Sicurezza alimentare
Per l’Afghanistan, la miscela esplosiva di un conflitto che dura da tre decadi, il conseguente incremento demografico e una serie di disastri naturali (il 2011 ha visto l’ottava siccità in 11 anni), ha causato una situazione in cui un terzo della popolazione non ha accesso ad una sana alimentazione. Inoltre, altri 8 milioni e mezzo di persone vivono comunque a rischio di insicurezza alimentare.
Nelle zone ruralim il grande freddo dei mesi invernali – da metà novembre a marzo inoltrato – rende queste condizioni ancora più devastanti.
Nicholas Hutchings, vice direttore di Afghanaid, che si occupa di sviluppo nelle zone rurali, cita la provincia centrale di Ghor come esempio di una comunità in cui una grave insicurezza alimentare causa seri rischi alla salute.
Hutchings ha dichiarato ad Al Jazeera che ogni anno, quando le pesanti nevicate causano bruschi abbassamenti di temperature, questa montagnosa provincia diventa virtualmente inaccessibile per circa quattro mesi.
I nuclei familiari più vulnerabili fanno tutto ciò che possono per sopravvivere. Quelli abbastanza fortunati da possedere bestiame e mobili, li vendono prima dell’inverno per acquistare tutto il cibo possibile come scorta per i mesi in cui il grano non può crescere.
Per altri, l’inverno significa una netta diminuzione nell’alimentazione, riducendo il numero dei pasti giornalieri o limitando i tipi di cibi.

“Molti sopravvivono solo con pane e tè” ci dice Hutchings.
Anche i residenti nella capitale, in cui la temperatura media di gennaio si aggira intorno a zero gradi, sono sottoposti alle stesse drastiche riduzioni.
“Mangiamo solo “chai” (tè). Vi immaginate cosa significa cenare con il tè?”, esclama Sharanfar esasperata.
Roehrs di Save the Children afferma che la malnutrizione è particolarmente evidente nei bambini e non riesce a cancellare dalla memoria una bambina della provincia settentrionale di Jowzjan.

“Benché l’Afghanistan non sia il Corno d’Africa, Malika era minuta come un uccellino. Pesava 2,6 kg, proprio come potrebbe pesare un neonato in Germania”, racconta Roehrs.
La situazione peggiora ulteriormente nei campi dei rifugiati interni, prevalentemente “aree aperte” cosparse da centinaia di tende.
“È molto difficile sopravvivere al freddo in queste tende. Questa gente ha bisogno di un appropriato e caldo riparo, di educazione, abiti caldi, nutrimento e supporto sanitario” ci ha detto uno dei portavoce di Aschiana Foundation, un’organizzazione che si occupa dei bambini di strada.

rawa photo idp camp feb 2012 300x20012 febbraio 2012: Un bambino trasporta dell’acqua nel campo rifugiati interni di Helmandi, alla periferia di Kabul. Quando nevica, è difficile trovare acqua corrente poiché tutte le fonti idriche gelano a causa del freddo.

Ciclo climatico
Tuttavia lo sciogliersi della neve, che può arrivare fino a 13 piedi, non significa la fine delle difficoltà. Le pozze di neve sciolta si trasformano in alluvioni. Lo scorso maggio, migliaia di residenti nelle province settentrionali di Sar-e-Pol e Takhar sono rimasti senza casa a causa delle inondazioni che hanno ucciso 21 persone.
Hutchings afferma che questo ciclo climatico viene ulteriormente esacerbato dalle negligenze politiche e finanziarie, poiché i donatori internazionali si focalizzano spesso sulle aree meridionali in cui stazionano le forze militari straniere.
Ogni anno la comunità umanitaria dell’Afghanistan prepara quelli che vengono definiti “gli sforzi invernali” per sostenere i nuclei familiari più vulnerabili con aiuti basilari quali lenzuola, combustibile e cibi che possono essere conservati per lunghi periodi.
La situazione non era diversa nemmeno lo scorso ottobre, quando 28 organizzazioni internazionali si sono incontrate per decidere strategie urgenti al fine di prevenire le morti invernali.

Secondo Polly Truscott, vice direttore del programma di Amnesty International per l’Asia e il Pacifico, quella dello scorso anno era una tragedia evitabile e deve costituire un severo monito  per far sì che l’assistenza d’emergenza venga messa in atto immediatamente prima dell’inizio dell’inverno.
Tuttavia, Akbar vede ben poca utilità negli aiuti d’emergenza: “A cosa possono servire alcuni bricchi di latte e qualche razione di pessimo cibo? Non servono a nulla quando il freddo perdura per mesi”.
Sharanfar ci racconta che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e i donatori privati si recano ogni tanto al campo di Charahi Qambar, tuttavia queste visite sporadiche hanno ben poco impatto sulla vita quotidiana.
“Vengono raramente, in inverno, e ci danno così poco. A volte un po’ di olio, di riso o di carne, ma è così poco. Inoltre, arrivano solo durante il Ramadan o in inverno, ma noi abbiamo sempre fame”.

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