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Intervento di Selay Ghaffar al Coordinamento Nazionale CISDA

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Milano 30 settembre 2012 , Presso la Fattoria didattica del Parco Trotter – Sessione pubblica

Selay Ghaffar ha aperto la sessione pomeridiana del Coordinamento Nazionale dell’Associazione CISDA presentando un suo breve profilo di attività e un’analisi di contesto della situazione afghana.
Selay Ghaffar è una attivista per i diritti umani e riveste il ruolo di direttrice di una delle organizzazioni non governative afghane più accreditate del paese: Hawca-Humanitarian Assistence for Women and Children of Afghanistan (vedi www.hawca.org). L’associazione gestisce la ‘casa protetta’ o ‘shelter’ di Kabul per fornire protezione e assistenza alle vittime di violenza e i Centri di Aiuto Legale di  Kabul, Herat e Jallalabad.
Hawca è una associazione molto radicata sul territorio con una presenza in 11 delle 34 Provincie afghane. Le attività di lobby e advocacy sono realizzate in stretta partnership con organismi e istituzioni locali così come internazionali e hanno una particolare focalizzazione  sugli ambiti legali per consentire l’attuazione di politiche di rispetto dei diritti delle donne e di garanzia per coloro che hanno subito violenza.
Negli ultimi cinque anni le cose in Afghanistan sono andate via via peggiorando. La situazione si è politicizzata in senso partitico e il miglioramento della condizione della donna è divenuto parte dell’agenda politica ma questo non ha comportato evoluzioni in positivo:  coloro che siedono al governo e che dovrebbero promulgare leggi per il rispetto dei diritti umani sono ex criminali di guerra che si sono macchiati le mani di crimini orrendi.
Anche le Nazioni Unite non sono oneste perché perseguono gli interessi delle nazioni che rappresentano e non quelli degli afghani;  non vi è alcun monitoraggio sulla reale applicazione delle risoluzioni che la comunità internazionale chiede al governo afghano per i rispetto delle donne, alcun investimento per una reale modifica delle infrastrutture sociali. Il reale intento è la condivisione del potere.
Del resto, nessuno dei governi che dichiara di volere affermare i diritti delle donne in Afghanistan investe denaro per sostenere gli stessi diritti nel proprio Paese.
In 12 anni sono intervenuti in Afghanistan ben 42 Paesi e nessuno di questi ha fatto eccezione nel curare i propri interessi mentre è cresciuta l’intolleranza della gente contro le truppe e le presunte attività di ricostruzione realizzate dai PRT. Gli ospedali e le scuole  previste dal protocollo vengono costruite nelle aree delle basi militari con criteri che li rendono troppo onerosi per essere mantenuti nel lungo periodo mentre la gente comune vive nelle case di fango.  A volte questi edifici sono privi di acqua o di fognature e sempre sono realizzate in aree prive di condizioni di sicurezza che le trasformano ben presto in cattedrali nel deserto. La popolazione percepisce queste iniziative come inutili e come uno spreco di denaro.
Malgrado i miliardi di dollari investiti dalla comunità internazionale, l’Afghanistan non ha risolto i gravi problemi che lo affliggono.
  • Giustizia negata: viene sempre garantita impunità a coloro che hanno commesso violenze nei confronti delle donne a cui è impedito persino l’accesso alle cure sanitarie;
  • Corruzione: l’Afghanistan è il terzo Paese al mondo nelle classifiche dei Paesi più corrotti;
  • Situazione delle donne: secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite l’Afghanistan è il peggior Paese in cui vivere per le donne.
Ora gli Afghani vogliono prendere in mano il proprio destino e chiedono che i criminali di guerra che siedono in Parlamento siano portati nelle corti di giustizia. Se per 12 anni sono stati sostenuti questi personaggi con questi risultati, sarebbe ora di cambiare gli interlocutori e rivolgersi alle reti della società civile, alle associazioni e ai partiti realmente democratici.
Questo è l’appello che Selay Ghaffar rivolge a noi attivisti occidentali affinché i nostri governi si rivolgano alle forze democratiche in vista delle elezioni politiche e presidenziali che si terranno in Afghanistan nel 2014 o 2015. Il punto non sarà garantire che le elezioni si svolgano senza brogli perché, anche se questo obiettivo fosse raggiunto, i soli partiti che sono in grado di presentarsi  alla competizione elettorale sono i partiti fondamentalisti  garantiti da pingui finanziamenti. In questi partiti non c’è mai un rinnovamento della classe politica perché i figli si avvicendano ai padri proprio come in un feudo.
La riforma parlamentare in corso è fatta anch’essa per garantire che il sistema attuale continui ma di fatto su un centinaio di partiti solo 4 o 5 sono realmente democratici. Anche la presenza delle donne al governo, imposta con quote rosa, lascia spazio solo a coloro che sono legate da rapporti di parentela agli attuali ministri.
Abbiamo chiesto a Selay se la società civile sta formando alleanze per affrontare queste sfide. Questa la sua risposta:
La società civile non è un organismo con un punto di vista unico e condiviso. Ad esempio vi sono opinioni divergenti sul processo di pace che prevedeva una tregua con i talebani “moderati” così come sul ritiro delle truppe. Lo sforzo necessario è proprio quello della costruzione di un coordinamento.
Per l’elezione dei rappresentanti della società civile invitati alla Conferenza di Bonn del 2011 sono stati presi in considerazione gli 11 network che operano sui diritti umani in Afghanistan con elezioni a livello provinciale. Ci sono voluti sei mesi per  eleggere due rappresentanti  in un processo a scaglioni: uno per la società civile (è stata eletta Selay Ghaffar) e l’altro in rappresentanza dei media.
In Afghanistan proliferano le Organizzazioni non Governative. Il Ministero dell’Economia dichiara 3.000 ONG registrate che hanno l’obiettivo della ricostruzione ma di fatto gran parte di loro sopravvivono solo grazie alla corruzione. Queste ONG hanno un peso sulla comunità locale anche perché sono emanazioni di partiti politici e ricevono molti finanziamenti per cosiddette campagne di educazione civica ma, in buona sostanza, sono un veicolo di proselitismo molto potente. In occasione delle ultime elezioni  alcune ONG hanno fatto campagna utilizzando i progetti come promessa elettorale.
Le ONG fungono da catalizzatore per i giovani più capaci che si trovano così impegnati in progetti umanitari e non si impegnano per un cambiamento politico.

 

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