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Inferno droga nel maggiore carcere del paese, 800 i detenuti tossicodipendenti

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Ansa, 11 novembre 2012

Ingenti problemi di traffico e consumo di droga nel principale carcere dell’Afghanistan, con la complicità del personale carcerario. Il governo di Kabul è in subbuglio dopo che una recente e approfondita inchiesta nella prigione di Pul-i-Charkhi di Kabul, la maggiore del paese con circa 7.500 detenuti, ha evidenziato un grave problema di traffico di droga e di tossicodipendenza della popolazione carceraria che, secondo più fonti, coinvolge direttamente anche il personale della sicurezza interna.
Sarebbero proprio gli agenti di servizio, secondo quanto è stato possibile appurare, che, controllando il traffico di oppio ed eroina, vendono poi le dosi ai detenuti.

Costruito fra l’inizio degli anni 70 e la fine degli anni 80, Pul-i-Charkhi è tradizionalmente un luogo off limits per la stampa, ma il ministero della Sanità, guidato dalla coraggiosa Soraya Dalil, ha deciso ora di cambiare registro. E lo ha fatto invitando un gruppo ristretto di giornalisti per una visita eccezionale delle strutture, con l’opportunità di discutere con detenuti, personale carcerario e responsabili governativi.
Fino ad oggi il dibattito verteva sulle violazioni dei diritti umani e su casi di tortura che avevano provocato sanguinose rivolte e mobilitato le Ong umanitarie con denunce del mancato rispetto degli impegni presi dal governo. Ma recenti esplosioni di violenza hanno mostrato che i protagonisti prima di attaccare gli avversari, hanno fatto uso di stupefacenti.

 

Negli anni scorsi, fra l’altro, Gli Usa avevano trasferito a Pul-i-Charki militanti catturati in Afghanistan e rinchiusi a lungo nelle loro prigioni di Bagram (125 casi), a nord di Kabul, e di Guantanamo Bay (32), nonostante il clima di emergenza permanente esistente in esso. In queste ore è emerso con la forza di uno tsunami il nuovo fenomeno della droga.
“È vero – dice all’Ansa il Jailer (capo esecutivo della struttura carceraria) Amir Mohammad Jamshed – abbiamo oltre un decimo dei detenuti (800) che hanno problemi di tossicodipendenza”. Jamshed ci tiene però subito a smentire che siano gli agenti a rifornire i carcerati dello stupefacente: “Non sono i miei uomini a farlo ma i famigliari che quando vengono in visita nascondono la droga in mille modi e la fanno perfino trasportare ai loro bambini”.
In presenza del ministro Dalil un responsabile dello staff medico del carcere ha spiegato che “una parte dei detenuti tossicodipendenti lo erano già prima di entrare, dopo periodi di detenzione in Iran o in altri paesi. Ma gli altri, che sono di più, hanno avuto il primo contatto con gli stupefacenti proprio qui a Pul-i-Charkhi”.

Un detenuto, a cui i giornalisti hanno potuto parlare, ha confermato che trovare droga è molto facile. “Io non so come entra – assicura – ma ce n’è una grande disponibilità, come fossero caramelle”. È ancora il Jailer Jamshed, infine, a tentare di mettere i puntini sulle “i”: “Non neghiamo la presenza della droga. Ma stiamo facendo grandi sforzi per bloccarla. Non si deve dimenticare che partite di stupefacenti entrano anche nelle prigioni di Paesi sviluppati che dispongono di grandi mezzi repressivi. E noi, qui, facciamo quello che possiamo”.

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