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Afghanistan: anche i giornalisti nel mirino della guerra

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Atlas, Serena Grassia – 29/2/2012

Atlas 150x150Sono i civili a pagare il prezzo più alto della guerra in Afghanistan, come in tutte le guerre. Lo ha denunciato senza mezzi termini il rapporto delle Nazioni Unite il mese scorso, sciorinando il numero allarmante di vittime civili, bambini compresi.

Oggi dalle montagne dell’Afghanistan è arrivata un’altra denuncia allarmante, quella dei giornalisti, preoccupati per le minacce alla libertà di stampa che in un paese martoriato dalla guerra si traducono in minacce alla vita stessa dei giornalisti.

Martedì scorso Samad Bahadarzai Khan, responsabile di Radio Milma Ghan, è stato trovato morto, decapitato, dopo che un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella sua casa a Paktika, una provincia a sud-est, lo ha prelevato e portato via.

I talebani hanno rivendicato l’attentato. Ma Bahadarzai non aveva nemici, non era affiliato ad alcun clan di insurgents in conflitto con altri, “e allora perché lo hanno ucciso?” ha chiesto in conferenza stampa Sadiqullah Tawhidi, capo di NAI, un’organizzazione che si occupa della libertà dei media in Afghanistan.

“Perché era un giornalista” è la risposta più plausibile, perché con i talebani l’informazione era praticamente vietata, perché le radio, le tv, i giornali, in Afghanistan sono nati o rinati dopo la caduta degli estremisti.

“È stato un atto disumano e anti-islamico, ancor più perché senza movente: ingiustificabile”, ha concluso Tawhidi.

Per ricordare Bahadarzai, la NAI ha chiesto al governo di dedicargli un incrocio o una strada nella provincia di Kabul o di Paktika.

Due operatori dell’informazione sono stati uccisi in Afghanistan nel 2011: Farhad Taqaddosi, cameraman di Press tv, morto il 20 settembre e Ahamad Omid Khpalwak, dell’agenzia Pajhwok, ammazzato il 28 luglio.

Altri 80, invece, sono stati minacciati, sequestrati o picchiati, ha concluso Tawhidi. Non è un caso, per la NAI, che Bahadarzai sia stato ucciso proprio nel momento in cui l’Afghanistan è ripiombato nella guerriglia scatenata dall’episodio del rogo del Corano.

“La gente ha il diritto di dimostrare ma non può farlo mettendo in pericolo la vita degli altri e o abusando della violenza”, denunciano i giornalisti.

Per l’organizzazione dei media afghani la situazione è chiara: con la guerriglia, gli omicidi mirati e gli attacchi kamikaze, non ultimo quello che ieri ha ammazzato altre nove persone a Jalalabad, i rapporti tra l’Afghanistan, gli Stati Uniti e gli altri paesi della NATO nel futuro potrebbero incrinarsi, il che significherebbe maggiore caos, quello necessario agli estremisti islamici per delegittimare Karzai, attaccare i suoi alleati e riprendersi ancora una volta Kabul.

 

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