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L’orgoglio rosa di Kabul

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L’8 marzo delle donne afghane in lotta per i loro diritti.
lettera 43 – 8 marzo

DSCN4292Marzo è ancora mese di gelo in Afghanistan: le scuole sono chiuse per la pausa invernale, le strade sono un fiume di fango impercorribile, la neve imbianca la corolla di montagne intorno alla capitale, ma cade copiosa anche in città.
Ciò non ha impedito alla macchina organizzativa delle celebrazioni per la giornata internazionale della donna di mettersi in moto: da un mese l’Opawc (Organization Promoting Afghan Women Capabilities), Ong che si occupa di formazione delle donne, ha attivato tutti i suoi canali per coinvolgere il più alto numero di persone in un evento che non vuole essere solo celebrativo, ma un vero e proprio giorno di resistenza femminile contro ogni forma di oppressione (guarda la photogallery della manifestazione delle donne afghane).
«L’8 marzo non è un tè tra amiche»

Latifa, attivista dell’Opawc, Ong in difesa delle donne afghane (M.N).

«Il governo ha sempre festeggiato l’8 marzo come se fosse un tè da bere in compagnia e poi ognuno a casa propria», ha spiegato con una similitudine efficace a Lettera43.it la direttrice di Opawc, Latifa Ahmady, 29 anni, una laurea in Letteratura inglese, due figli, un passato da profuga in Pakistan come milioni di afghani, durante l’occupazione sovietica, «cioè promettendo in questa giornata grandi concessioni alle donne alle donne: diritti, uguaglianza, parità di accesso all’istruzione, alla sanità, per poi rimangiarsi tutto a partire dal giorno successivo».
«In questo modo la festa della donna aveva perso il suo significato», ha continuato, «invece noi, e prima di noi Rawa, a partire dal 2002, l’abbiamo trasformata nella festa dell’orgoglio femminile e del rispetto che pretendiamo quotidianamente nei confronti della donna in famiglia e in ogni ambito della vita sociale».

L’ASSOCIAZIONE FANTASMA. Rawa sta per Revolutionary Association of Women of Afghanistan, un’ associazione laica e democratica di donne afghane, fondata nel 1977 da Meena, poi assassinata l’anno successivo, che ha ceduto il testimone dell’organizzazione della manifestazione a Opawc nel 2009 a causa degli atti di violenza subiti da parte dei fondamentalisti. Le sue attiviste, per lo più molto giovani, operano ora nell’ombra a favore delle donne in tutto il Paese, ma sono costrette a una vita nell’anonimato, a cambiare continuamente luogo di residenza, a celare completamente il loro volto negli incontri pubblici.
Nel 2010, 80 donne si sono date fuoco.

 

L’8 marzo, secondo le attiviste, non deve essere solo una celebrazione tra le altre ma deve ritrovare il suo significato di lotta per la parità (M.N).

La dichiarazione rilasciata da Rawa alla vigilia della festa non ha usato mezzi termini: «Nella giornata dell’8 marzo, le donne afghane piangono ancora per gli stupri di gruppo, per essere bastonate in pubblico dai più schifosi figuri, per essere messe in vendita come merci al mercato, e per le loro giovani figlie che mettono fine a una vita miserabile autoimmolandosi».
L’87% VITTIMA DI VIOLENZA. In Afghanistan, secondo l’ultimo report di Human Right Watch, l’87% delle donne denuncia di essere stata vittima di violenza, nella metà dei casi di natura sessuale; il 60% dei matrimoni è forzato e il 57% riguarda ragazze al di sotto dei 16 anni. L’autoimmolazione è uno dei metodi più usati dalle donne per sfuggire alla violenza e alla brutalità della loro vita: nello scorso anno, nel solo ospedale di Herat, sono arrivate 80 donne che avevano tentato il suicidio dandosi fuoco.
Solidarietà alle rivoluzioni del Nord Africa

Secondo Human Right Watch, l’87% delle donne afghane ha subito violenza (Ap Images).

Latifa tiene il suo intervento nell’immensa sala delle conferenze dell’Hotel Hamsafar, in centro a Kabul, davanti a 1.500 persone tra attiviste, studentesse, simpatizzanti, rappresentanti dei ministeri (i progetti di Opawc sono comunque approvati dal governo), membri di altre Ong e supporter democratici.
I CENTRI DI ACCOGLIENZA. Un discorso, il suo, incentrato sulla solidarietà nei confronti delle rivolte in Tunisia, Egitto e Libia, «vere rivoluzioni di popolo che vogliono eliminare un regimi oppressivi». Tocca poi i temi dell’occupazione delle truppe americane, che vengono sempre più viste come conniventi con il corrotto governo di Karzai e dei signori della guerra. E, ovviamente, tratta della situazione femminile, in particolare quella delle donne rifugiate nei centri di accoglienza.
«La legge che punta a mettere sotto la gestione del governo le case per le donne vittime di violenza, togliendole al controllo delle Ong», ha denunciato l’attivista, «è molto negativa perché queste strutture finirebbero per essere affidate a personale estraneo, se non ostile, alla cultura dei diritti delle donne».
INDAGINI SUGLI ABUSI. Agli interventi si alternano momenti dedicati alla canzone e al teatro popolare, e all’appuntamento è presente anche una piccola delegazione italiana organizzata dal Cisda (Coordinamento italiano di Sostegno alle Donne afghane) che negli ultimi dieci anni ha avviato in Afghanistan una serie di progetti umanitari, come la Commissione sulla verità e giustizia, progetto finanziato dalla Commissione europea, che si propone di formare localmente un gruppo di indagine con lo scopo di raccogliere testimonianze sui massacri perpetrati dal ’92 al ’96 dai signori della guerra.
ANALFABESTISMO FEMMINILE. Inoltre il Cisda gestisce il progetto Mae sul centro culturale a Kabul, nel quale sono organizzati corsi di alfabetizzazione, di inglese, di informatica e dove sta nascendo una fornita biblioteca.
Non va dimenticato, infatti, che la disparità di genere tocca anche l’ambito educativo: la maggioranza delle bambine non frequenta ancora le scuole primarie, poche arrivano all’istruzione secondaria e pochissime proseguono gli studi.

Milena Nebbia

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