Afghanistan: gli addii non finiscono mai
articolo di Silvana Pisa, Elettra Deiana di SEL
Mercoledì notte il presidente Obama ha dettato la tabella di marcia per il ritiro “ufficiale” dei militari Usa dall’Afghanistan : 10.000 entro quest’anno; 23.000 l’anno prossimo, i restanti entro il 2014. Da oggi ad allora – ha precisato Obama -“la nostra missione cambierà” Il che significa che le azioni di combattimento, sempre secondo il presidente, si trasformeranno nell’appoggio alle forze di sicurezza afgane. La decisione della Casa Bianca determina un mutamento di strategia : non più gli oltre 100.000 militari Usa che combattono per il controllo del territorio, costosi e complessivamente inefficaci, in una guerra asimmetrica come quella afgna, ma invece una chiara scelta a favore dell’opzione antiterroristica. Il che significa che la gestione del territorio passa ai corpi speciali, élites addestrate a muoversi “coperte” per azioni mirate, come è successo per l’uccisione di Bin Laden.
Il percorso delineato da Obama apparentemente mette fuori gioco le strategia militaresche di Gates e Petreus (opportunamente rimossi e promossi ad altro incarico), che prevedevano una exit strategy dai tempi più lunghi. Nei fatti però la scelta presidenziale consegna al Pentagono un potere oltre misura, cioè quello di esclusiva competenza per autorizzare e gestire azioni “ coperte”, sottratte alla decisione democratica del Congresso.
Non solo : Washington prevede comunque di mantenere in Afghanistan basi e uomini oltre la data del 2014, come del resto succede per l’Iraq. In Afghanistan sono destinati a restare oltre 50.000 militari Usa, ufficialmente “in appoggio” del governo afgano.
Il ragionamento svolto dal presidente americano a favore dell’inizio del ritiro ha utilizzato un parasillogismo : la guerra afgana è stata fatta per stanare Al Qaida; Bin Laden era il capo di Al Qaida; Bin Laden è stato ucciso; Al Qaida è vinta : lo scopo della missione è raggiunto!
Che i fatti non corrispondano a questa narrazione è cosa che ormai sanno tutti quelli che vogliono sapere .
La guerra afgana è stata fatta per il controllo di un territorio rilevante per la sua posizione geostrategica, incuneato com’è tra Iran, Pakistan, Cina, repubbliche ex sovietiche.
La guerra afgana ha significato miglia di civili morti , migliaia di feriti, milioni di profughi.
Non ha avuto nulla a che fare con l’esportazione della democrazia ( la legge nazionale resta legata alla sharia e prevede la discriminazione delle donne) né con la sicurezza né con quel col national building (costruzione del’architettura istituzionale del Paese) su cui si sono spese milioni di parole. L’Afghanistan resta un paese distrutto, corrotto, dominato dai signori del narcotraffico e della guerra. L’afganizzazione ha fatto fiasco anche per la compromissione degli apparati di sicurezza afgani ( come del resto succede anche per il Pakistan) con gruppi talebani e con l’insorgenza di matrice jihadista.
Del resto l’equazione talebani = Al Qaida non corrisponde alla realtà. Al Qaida è una rete, d’origine saudita, con ramificazioni autonome più o meno estese nel vasto mondo dei paesi islamici. I talebani, di etnia pashtun, sono legati soprattutto al sud del territorio afgano e alle zone tribali del Waziristan .
Resta da rilevare,ancora una volta, l’imbroglio, tutto italiano e con copertura istituzionale oltre che mediatica, della “missione di pace”.
Nel 2001 il governo Berlusconi si accodò immediatamente a Washington (missione Enduring Freedom , targata Usa, extra Onu) per poi coprirsi con ISAF e Nato. Che si trattasse da subito di missione di guerra e non umanitaria è sempre stato chiaro: se non fosse stato così sarebbe bastato condizionare sostanziosi aiuti economici al rispetto dei diritti umani.
Ancora: nemmeno l’invocazione della seconda parte dell’articolo 11, come ci è capitato troppe volte di ipetere, giustifica l’intervento militare italiano .Come tutti sanno l’appartenere ad organizzazioni internazionali, per esempio alla Nato, non produce di per sé, per la natura stessa dell’organizzazione, automatismi: ogni singolo stato membro può scegliere se condividere o meno
una missione militare. I governi italiani, da Berlusconi a Prodi, hanno deciso di interpretare secondo ragion di Stato l’articolo 11 della nostra costituzione, violandolo e andando contro un’opinione pubblica largamente contraria a questa guerra.
Recentemente il ministro della difesa italiano, Ignazio La Russa, ha dichiarato che anche l’Italia, come del resto la Francia ed altri, si ritirerà dall’Afghanistan nel 2014. Aldilà delle rimostranze contro le missioni militari della Lega, tutte in funzione anti immigrazione e preoccupate per una spesa che si vorrebbe stornare verso i comuni “virtuosi” della “Padania”, stupisce che l’opposizione parlamentare, nella fattispecie il PD, non abbia neanche cominciato a riflettere sulle cosiddette guerre umanitarie, maturando elementi di critica rispetto proprio a partire dall’esito infausto della missione afgana.
“Accreditarsi come soggetti responsabili” nei confronti dell’amministrazione USA è una cosa del tutto legittima per un Paese come l’Italia, partecipare ad una guerra insensata come quella afgana, contraria agli interessi nazionali e destinata a minare alle radici il diritto internazionale e la legittimità di organismi internazionale “terzi” come l’Onu è altra cosa. Per niente condivisibile.
La sfida per un prossimo governo nelle mani delle forze che sono oggi all’ opposizione dovrebbe davvero cambiare l’ordine del discorso, riscoprire la via del diritto internzionale e dell’articolo 11, mettendo al centro la prevenzione e la risoluzione dei conflitti internazionali attraverso la costruzione di relazioni di pace e non utilizzando lo strumento della guerra. Invece di normalizzare la guerra chiamandola umanitaria costruire la pace riempiendola di contenuti umanitari..
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