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Peggio da quando c’è Obama: Le “quote rosa” non hanno migliorato la vita delle donne in Afghanistan

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Simone Balocco
14 Maggio 2010

Hanno ragione Valerie Hudson e Patricia Leidl nel loro articolo apparso su Foreign Policy: “betrayed”, tradite, le donne afgane si sentono così da quando Obama è diventato Presidente, e il motivo è semplice. Lo scorso novembre la Leidl era a Lashkar Gah per scrivere una serie di articoli per la Agenzia di Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID), quando scopre che le donne del posto non possono lavorare, visto che non hanno i requisiti basilari per farlo, non sapendo leggere e scrivere e non potendo lasciare le loro case perché i mariti glielo impediscono. Quando la Leidl si prepara a tornare a casa viene circondata da un gruppo di donne che le chiedono se, al suo ritorno in America, dirà a chi di dovere qual è la situazione in cui sono costrette a vivere. Non dimenticatevi di noi, è il senso della richiesta che le viene fatta a ormai parecchi anni distanza dall’inizio della guerra.

La Hudson e la Leidl spiegano che c’è una certa ‘doppiezza’ da parte dei vertici militari americani sulla questione femminile in Afghanistan. Alcuni giovani universitari avevano chiesto al Generale Petraeus quale sarebbe stato il futuro delle donne afghane, e se c’era qualche speranza che potessero partecipare in modo più attivo alla politica nazionale e su scala locale, una volta che le truppe americane lasceranno il Paese. Nella sua risposta Petraeus non ha mai usato la parola “donne”, spiegando che i “moderati” islamici saranno aiutati, oltre che riabilitati, senza però spiegare meglio cose intendeva con la parola  “moderati”. Il governo afghano ha un solo ministro donna, senza poteri particolari. Solo una donna svolge il ruolo di governatore e in generale non ce ne sono ad occupare posti chiave nella società civile.

 

Nel 2001, subito dopo la liberazione del Paese dai Taliban, l’Amministrazione Bush annunciò che le foto in cui apparivano giovani studentesse e donne senza velo erano la dimostrazione tangibile che la condizione femminile in Afghanistan era migliorata. Nel successivo discorso sullo Stato dell’Unione, l’allora Presidente fece un paragone tra 2001 e 2002, mettendo in evidenza il fatto che durante l’anno precedente le donne afgane erano prigioniere nelle loro case e della loro religione, non potendo lavorare o andare a scuola. Durante l’emirato talebano, le “peccatrici” finivano fucilate negli stadi.

Successivamente hanno potuto godere di maggiore libertà e sono entrate a far parte della vita politica, alcune di loro sono entrate nella loya jirga e altre ancora hanno partecipato ai lavori della assemblea che ha redatto la bozza della nuova Costituzione.
Paradossalmente, secondo FP, in proporzione, le donne afgane hanno avuto un ruolo maggiore di quelle americane in politica, considerando che in Afghanistan è stato inserito un sistema delle quote per garantire la loro presenza nell’assemblea, una norma che non è presente nella politica americana, e che, in ogni caso, non sembra garantire per forza di cose una maggiore libertà nel mondo femminile, né cambiamenti radicali delle strutture sociali e tribali del Paese. Le truppe americane, in questi anni, si sono impegnate a costruire scuole e a favorire la diffusione dell’insegnamento e della istruzione tra le bambine e le ragazze afghane; ci sono state pressioni per far sì che le donne entrassero a far parte delle “shura”, le assemblee locali, su cui si punta per dar vita a un Islam più democratico.

L’Amministrazione Obama non sembra interessarsi molto delle donne afgane. Bisogna tornare indietro di 10 mesi per trovare l’ultima dichiarazione del Presidente sulla sicurezza femminile nel Paese asiatico. Da allora buio più totale. Se nel 2002, con Bush, le donne potevano teoricamente entrare nelle shura, oggi è impossibile. In Afghanistan i diritti umani vengono ancora calpestati, c’è un aumento della mortalità infantile, una diminuzione nelle aspettative di vita delle donne, l’87% delle intervistate ammette di essere stata picchiata almeno una volta dal suo uomo o in famiglia. Secondo le Nazioni Unite in Afghanistan i diritti delle donne vengono sistematicamente violati e le si costringe aestraniarsi dalla società, abusandone senza che i loro persecutori vengano puniti.

Da un punto di vista geopolitico, la Hudson sottolinea che i Paesi che sottomettono le donne sono anche quelli che minacciano di più la sicurezza internazionale. Meno uno stato è democratico, più aumentano le violenze sulle donne. In più va considerato che la disuguaglianza di genere è una caratteristica storica, quasi ancestrale della cultura afgana. Obama dovrebbe, al contrario, inculcare tra i suoi diplomatici e tra i militari l’idea della tutela e della difesa delle donne. I militari devono impegnarsi di più con i leader delle comunità locali, spiegandogli che l’uguaglianza di genere porta ad un miglioramento della salute delle famiglie, alla diminuzione del tasso di mortalità e di povertà e ad una maggiore autodeterminazione.

Il Presidente americano è l’unico che può permettere un maggiore inserimento delle donne nei luoghi di potere e deve farlo prima che le truppe lascino il Paese. L’Afghanistan è un Paese costituito per 2/3 da under 25 e una svolta nella società afghana potrà arrivare solo da loro, dai giovani, e dalle giovani donne, a patto che vengano seguite, che sia data loro una opportunità per studiare, lavorare, sposarsi, eliminando le diseguaglianze, innanzitutto quelle di genere.

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