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Le donne afghane e la dipendenza dalla droga

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Afghanistan – Women Wed to Addiction Find Relief at Kabul Center
12/07/08
By Masha Hamilton

WeNews correspondent

Afghanistan – Donne dipendenti da droga trovano sollievo in un centro clinico a Kabul.

(Estratto da una ricerca effettuata nel luglio 2008)
Di Masha Hamilton
WeNews correspondent

Womens addict Aumenta continuamente in Afghanistan la dipendenza delle donne dalla droga, che aspirano il fumo esalato dai mariti. Una clinica riservata a sole donne è stata aperta l’anno scorso a Kabul. La direttrice stima che circa un terzo delle donne della città siano dipendenti.

Kabul, Afghanistan. In un edificio di cemento cosparso di fori di pallottole e collocato sul lato di una collina in una zona pericolosa, un gruppo di donne dipendenti da droga è riunito in due nude stanze occupate da una famiglia. Molte hanno con loro dei bambini e ascoltano un’appassionata operatrice sociale che le sta spingendo a recarsi al centro per trattamenti anti-droga riservato alle donne.
“Sorelle, se i vostri mariti fumano eroina o se voi stesse prendete l’oppio come medicina, sappiate che è come ingerire veleno”, dice Nadara Saee, accucciandosi davanti a loro. “Inoltre, questo è un grande peccato contro l’Islam e vi rende incapaci di prendervi cura dei vostri bambini. Per favore, ascoltatemi. Dovete farvi curare”.
“In nome di Dio, voglio venire”, mormora la 45enne Torpakai, che come molti afghani ha un solo nome. “Tuttavia, non ho ancora il permesso di mio marito. Se Dio vorrà, dovrebbe darmelo domani”.
“Allora torneremo domani, sorella”, promette Saee.

Nazdana, di 33 anni, dipendente dall’oppio come antidolorifico e nella cui casa si riunisce il gruppo,   afferma: “Sono pronta. Andrò”.
Saee annuisce soddisfatta. Un successo della giornata. In media, ci vogliono circa 15 incontri per convincere una donna a farsi visitare e di conseguenza affrontare una serie di complicazioni come il consenso del marito o la cura dei figli. Alcune donne sono inamovibili, non si riesce proprio a convincerle.
Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, negli ultimi anni la dipendenza da droghe in Afghanistan è raddoppiata, e i proventi della droga vanno a sovvenzionare i Talebani che controllano la maggior parte dei traffici. Di conseguenza, sia le autorità afghane che le organizzazioni umanitarie concordano che combattere la dipendenza da droga è un punto fondamentale per il futuro del Paese.

Minacce da mariti e spacciatori
I medici e gli operatori sociali del Sanga Amaj Women’s Drug Treatment Center, come Saee, si recano ogni giorno nelle zone più pericolose della capitale, affrontando anche minacce dai mariti delle donne e dai trafficanti di droga.
Avviato nel giugno del 2007 grazie a contributi esteri, il centro può offrire soggiorno fino a tre mesi con vitto e medicine gratuiti e può ospitare 20 donne alla volta. Finora, il centro ha aiutato più di 500 donne. Tuttavia, si tratta di una goccia nel mare: secondo le stime del centro, circa il 35% delle donne di Kabul sono dipendenti da droghe.
Gli specialisti affermano che le prime cause della dipendenza sono la povertà, i traumi della guerra e la mancanza cronica di cure mediche. L’entrata pro-capite è meno di $ 1000 all’anno e l’aspettativa di vita media è di 43 anni. Molte donne non vengono mai visitate da medici od operatori sanitari nemmeno in gravidanza o durante il parto. Nel passato, le nonne afghane conservavano spesso una piccola quantità di oppio in caso qualcuno stesse male. Attualmente, gli spacciatori vendono piccoli pacchetti di eroina o di oppio a prezzi attrattivi anche ai mendicanti, allo scopo di sviluppare una regolare clientela dipendente.

Tuttavia, come molte delle donne dipendenti, Nazdana è un’utilizzatrice indiretta. Suo marito fuma oppio diverse volte durante il giorno e lei e i suoi cinque figli sono diventati dipendenti a causa del fumo esalato dal marito e che permane nella casa. All’inizio questa dipendenza non la preoccupava, ma Saee l’ha avvertita che l’uso cronico di droga rende sia lei che i figli più deboli e facilmente soggetti a disagi e malattie.

Colpire nel segno
Questo avvertimento ha colpito nel segno. Nazdana aveva già pagato un mullah – capo religioso – per dei “taveez”, cioè delle frasi del Corano sigillate in minuscole buste verdi, che aveva messo attorno al collo di ognuno dei suoi bambini. Nonostante questo, i piccoli continuavano ad ammalarsi. Decise allora che era tempo di fare di più.
Il marito di Nazdana lavora come uomo delle pulizie. Parte alle 6.00 del mattino e torna alle 3.00 del pomeriggio, dopodiché comincia a fumare oppio. L’Afghanistan è il maggior produttore mondiale di droga, prodotta dalle coltivazioni di oppio nelle provincie del sud controllate dai Talebani.
Nazdana informa Saee che porterà con sé in clinica il più piccolo dei suoi figli, di 8 mesi. La più grande, Marzia, di 12 anni, avrà la responsabilità degli altri tre fratelli, dovrà curarli e dar loro da mangiare. Dovrà anche controllare che non finiscano nelle mani di rapitori, che spesso prendono i bambini per venderli come mano d’opera nel vicino Pakistan. “È ovvio che sono preoccupata per questa responsabilità”, dice Marzia a sua madre prima che se ne vada, “ma è il mio dovere”.

Sposata a un uomo segretamente dipendente
L’altro giorno, in un’altra casa che dista circa 10 minuti da quella di Nazdana, Saee ha fatto visita a Jamila, di 32 anni. Quando si sposò, suo marito era già dipendente dall’eroina, ma si trattava di un matrimonio combinato e la famiglia di lui nascose la cosa. Vivevano nella provincia di Logar finché il suocero non li cacciò quattro anni fa. Sia lei che i suoi sei figli, che vanno dai 4 ai 13 anni, sono tutti dipendenti per via del fumo esalato dal marito.
“Quando lui fuma eroina, ci sentiamo tutti meglio e i bambini fanno meno chiasso”, ammette Jamila. “Se non aspiriamo il suo fumo per un giorno, soffriamo di diarrea e ci viene la febbre. Inoltre, io ho dolori dappertutto, fin nelle ossa”.

Il marito fa il mendicante, per racimolare i soldi che poi sperpera per l’eroina, mentre lei lavora come sarta per sostenere la famiglia ed è fiera di poter sfamare i suoi figli tre volte al giorno, anche se sempre con gli stessi poveri alimenti. Affermando che non potrà rompere la dipendenza dalla droga finché non l’avrà fatto il marito, Jamila non si recherà al centro di Sanga Amaj finché lui non acconsentirà a recarsi in una clinica per uomini. Di conseguenza, rifiuta di curarsi.
“Sono veramente arrabbiata con lui”, dice mentre uno dei bambini appoggia la testa sul suo grembo. “Da piccola, dicevo a tutti che da grande avrei fatto il medico. Invece, i miei genitori mi fecero lasciare la scuola al 6° livello per farmi sposare. Ma se lui non si fa curare, cosa posso fare?”.
Alza le spalle. “E’ ovvio che non posso lasciarlo. Sono una donna afghana”.

La direttrice del Centro, Dott.ssa Shaista Hakim di 41 anni, ritiene non ci sia lavoro più importante nel suo Paese e afferma che combattere la dipendenza dalla droga significa combattere i Talebani. Ricorda vividamente il giorno in cui i Talebani entrarono a Kabul nel 1996. Stava stendendo la biancheria sul balcone, con il capo scoperto, quando una macchina frenò di colpo e un uomo la fissò. Lei entrò velocemente in casa. L’uomo salì e picchiò violentemente alla sua porta. “Mi tolsi gli occhiali, mi misi una sciarpa sul capo e aprii la porta”, ci racconta. “Avevo una paura terribile. Mi disse che nessuna donna poteva affacciarsi al balcone senza il burka”.
Il giorno dopo, lei a la sua famiglia partirono per il Trukmenistan. Ritornò nel 2002, poco dopo l’invasione degli Stati Uniti, e cominciò immediatamente a lavorare con le persone dipendenti da droga. “Se penso troppo a quanto sia grande questo problema, divento dipendente anch’io”, dice con una risata. Ma poi ridiventa seria: “Sono determinata a dare tutto il mio aiuto”.

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