Skip to main content

Perché i talebani ricorrono allo stupro per mettere a tacere le donne?

|

Il racconto della caporedattrice di Zan Times sulla sua esperienza di donna che ha rischiato di essere stuprata a Kabul

Zahra Nader, Zan Times, 5 luglio 2024

kabul2 1 2048x1365Lo stupro è la cosa peggiore che possa mai capitare a una donna in Afghanistan. Lo so perché sono una donna afghana cresciuta a Kabul.

C’è sempre stato un coprifuoco non scritto per tutte le donne in Afghanistan: non dovevamo uscire dopo le 18:00. Non mi chiedevo davvero perché, ma sono cresciuta accettando che tornare a casa entro le 18:00 facesse parte dell’essere una donna.

Una sera del 2016, ho infranto il coprifuoco. Dopo aver finito il lavoro, sono andata a trovare i miei ex colleghi a Kart-e-Char, nella parte occidentale di Kabul. Quando ho lasciato i miei colleghi per tornare a casa, erano passate le 18:00. Il viaggio richiedeva due corse: una da Kart-e-Char a Kot-e-Sangi e una da lì a casa mia a Khoshal Khan. La prima corsa non è stata difficile perché c’erano ancora alcune donne in giro e il cielo non era troppo scuro. Quando sono arrivata a Kot-e-Sangi le donne sembravano essere scomparse dalle strade. Mi sentivo sola e spaventata. Mentre camminavo verso la stazione, diversi tassisti hanno iniziato a offrirmi dei passaggi. “Ehi bellezza, posso darti un passaggio?”, ha detto uno di loro dal finestrino della sua auto. Il solito modo di molestare una donna sola a Kabul.

Il mio cuore batteva forte. Durante gli anni in cui ho vissuto a Kabul ho sentito molte storie su donne scomparse per strada e poi trovate violentate e morte. Non avevo paura di essere uccisa, ero terrorizzata di essere violentata. Nella cultura in cui sono cresciuta, non c’e niente di peggio di una donna che viene violentata. Non è solo la sua vita, ma anche quella della sua famiglia e la loro reputazione a essere in gioco.

“Cosa farei se succedesse a me? Mi ucciderei”

“Cosa farei se succedesse a me?” Questa domanda mi è tornata in mente molte volte. “Mi ucciderei”. Era l’unica risposta che avevo. Nella mia mente, la mia vita sarebbe finita se fossi diventata vittima di stupro.

Quella sera tardi a Kabul ho valutato le mie opzioni per tornare a casa in sicurezza. Ho trovato un taxi con una passeggera che viaggiava con un uomo. Mi sono seduta sul sedile posteriore accanto alla donna. Dopo alcune fermate, la coppia è arrivata a destinazione ed è scesa dall’auto. Sono rimasta sola con il tassista. Ha girato lo specchietto retrovisore per vedermi. Per me, era un segnale che dovevo scendere dall’auto prima che dicesse qualcosa. Gli ho chiesto di accostare. A quel punto, ero a metà strada verso casa, ma c’era ancora molta strada da fare. Mi sono fermata all’angolo della strada, cercando un’auto con una passeggera. Dopo 15 minuti ho visto un furgone con una passeggera che aveva tre bambini con sé. Provando un senso di sollievo, ho alzato la mano per far segno che avevo bisogno di un passaggio. Si sono fermati. L’autista mi ha chiesto di sedermi sul sedile anteriore. Ho obbedito. Solo tre fermate dopo, la donna e i suoi bambini sono scesi dal veicolo. Di nuovo ero sola, questa volta con due uomini, uno dei quali era incaricato di riscuotere il biglietto. “Abiti qui vicino?” mi ha chiesto l’autista. Ho annuito. “Possiamo accompagnarti a casa se ci dai il tuo numero di telefono”. Il mio cuore batteva forte e gli ho chiesto di fermare la macchina immediatamente. Ha continuato per qualche metro e poi ho iniziato a tremare e a urlare perché si fermasse. Alla fine si è fermato e sono scesa lanciando il biglietto in faccia all’autista. Ero ancora a un chilometro da casa, ma ho deciso di percorrere a piedi la distanza rimanente. Durante quel viaggio solitario, diversi autisti si sono fermati e mi hanno invitato a fare un giro con loro. Quella notte ho pianto per tutto il tragitto verso casa, odiando il mio genere, il mio essere una donna in Afghanistan.

Questo è successo otto anni fa, un periodo in cui la presa del potere da parte dei talebani sembrava una possibilità remota. Ora le donne hanno persino paura di camminare da sole alla luce del giorno. Non è loro permesso di ricevere un’istruzione. Non è loro permesso di guadagnarsi da vivere. Sono letteralmente agli arresti domiciliari perché sono nate donne.

Stupro come arma per far tacere le donne

Lo stupro è ancora il peggior incubo per molte donne in Afghanistan. Ma per alcune, quell’incubo si realizza nel modo peggiore possibile: nelle prigioni dei talebani, dove nessuno può aiutarle. La scorsa settimana abbiamo raccontato di come alcune giovani donne arrestate per le regole del “cattivo hijab” dei talebani siano state abusate sessualmente e stuprate nelle loro prigioni. Questa settimana, Rukhshana Media e The Guardian hanno riferito di aver visto prove video di una donna afghana per i diritti umani stuprata e torturata in gruppo in una prigione talebana da uomini armati. Il video era stato inviato alla donna, che ora è fuggita dall’Afghanistan e vive in esilio. Era ovviamente un tentativo dei talebani di ricattarla per farla tacere; la minaccia era chiara: resta in silenzio o il video verrà diffuso.

Che tipo di regime produrrebbe prove del suo crimine e le invierebbe alla vittima? Un regime che sa che quando viene diffuso il video di una donna che viene stuprata è la sopravvissuta che viene incolpata e distrutta. Lo dico con la certezza di una donna afghana che sa cosa significa lo stupro nella nostra cultura. Non è una scelta ingenua da parte dei talebani usare lo stupro come arma per mettere a tacere le voci delle donne. I talebani sanno molto bene cosa fa lo stupro a qualsiasi donna che lo subisce. Sanno anche come la cultura afghana tratta le sopravvissute allo stupro. Ecco perché creare un video del genere è una mossa strategica dei talebani per mettere a tacere le voci critiche. “Quello che ho vissuto in prigione è stato orribile, ma sai cosa c’è di peggio? È che non possiamo parlare delle nostre esperienze”, è così che un’attivista mi ha descritto la sua situazione.

L’onore della famiglia dipende dalla purezza delle sue donne

Nella cultura afghana ci sono cose che sappiamo ma non ci è permesso mettere in discussione o anche solo chiedere la loro logica. Una è che l’onore di una famiglia dipende dalla purezza delle sue donne: i nostri corpi non ci appartengono e non ci è permesso prendere decisioni sui nostri corpi. Siamo i portatori dell’onore della nostra famiglia e se, Dio non voglia, una donna viene violentata, l’onore della sua famiglia viene distrutto. Spesso le nostre famiglie sono più preoccupate per il loro onore che per il nostro benessere.

Quando i giornalisti dello Zan Times hanno raccontato la storia ” Donne accusano i talebani di violenza sessuale dopo l’arresto per ‘cattivo hijab “, diverse donne hanno raccontato di essere state abusate dalle loro famiglie dopo essere state rilasciate dalla prigione talebana. “I miei genitori mi incolpano sempre, dicendo: ‘Ti avevamo avvisata di non uscire. Ora la nostra reputazione sarà distrutta se i nostri parenti scopriranno che sei stata arrestata dai talebani’”, ci ha detto una giovane donna. Ci ha detto di essere stata abusata sessualmente dai talebani, ma non ha potuto rivelarlo alla sua famiglia ed è per questo che ha cercato di uccidersi due volte. Un’altra donna ha rifiutato di essere intervistata perchè la sua famiglia l’avrebbe punita se avessero saputo che aveva parlato ai giornalisti della sua esperienza nella prigione talebana.

Punite per essere state stuprate

Durante il nostro reportage, abbiamo anche sentito un’accusa secondo cui una donna sarebbe stata uccisa dal padre dopo essere stata rilasciata dalla prigione talebana. La sua famiglia sospettava che fosse stata violentata dai talebani, ci ha detto un amico della vittima (non abbiamo potuto parlare con la famiglia).

Non è una bugia che il numero di “omicidi d’onore”, come vengono chiamati nei paesi musulmani, sia alto in Afghanistan. Sfortunatamente, nel mio paese le sopravvissute allo stupro vengono punite per essere state stuprate. Sono accusate di aver permesso che lo stupro avvenisse. Ma questo modo di pensare non è esclusivo dell’Afghanistan o di altri paesi in via di sviluppo. Anche nelle nazioni occidentali, le donne sopravvissute allo stupro vengono spesso accusate di essere state stuprate. Dopo tutto, l’Afghanistan fa parte di questo pianeta e ciò che accade qui non è molto diverso da altrove.

Una cultura che incoraggia ad abusare delle donne

La grande differenza per le donne in Afghanistan è che le sopravvissute allo stupro non hanno un posto dove andare. I talebani hanno sistematicamente smantellato tutti i sistemi di supporto per le sopravvissute allo stupro. Quindi, sono lasciate in balia delle loro famiglie. Sfortunatamente, lo dico con sicurezza e rammarico, non abbiamo molte famiglie che sosterrebbero le sopravvissute allo stupro. Nella nostra cultura, lo stupro è visto come una macchia e l’unico modo in cui la nostra società ha imparato a gestirlo è quello di spazzare via le sopravvissute dalla faccia della Terra.

Questa triste verità è ciò che ho riportato durante il mio periodo da giornalista a Kabul e che continuo a raccontare. Voglio dire che è difficile dire la verità, ma so che la verità raramente è comoda. Scrivere questo pezzo non è facile perché significa che devo accettare che la nostra cultura incoraggia i talebani e consente loro di abusare delle donne. Significa ammettere che, invece di concentrarsi sui colpevoli e trovare modi per renderli responsabili, molte famiglie sono impegnate a nascondere perché e come le loro donne sono state arrestate e imprigionate dai talebani. Finora, l’unico vincitore sono i talebani e gli unici perdenti sono le donne che desiderano una vita in libertà e dignità.

Imparare a vedere le sopravvissute come esseri umani

Spesso piango e resto senza parole quando una donna mi racconta la sua esperienza di stupro da parte dei talebani. Non ho parole per confortarla e nessun modo per rendere visibile il suo dolore. Sono ancora quella donna che ha paura di essere stuprata, anche se ho imparato che possiamo cambiare il modo in cui guardiamo alla vita e il modo in cui interpretiamo le cose. Invece di pensare che lo stupro sia la fine della vita, possiamo imparare a vedere le sopravvissute allo stupro come esseri umani la cui umanità è stata brutalmente violata. Nessuna vittima desidera mai essere una vittima. Lo diventano in circostanze che non sono scelte da loro.

Credo che se l’umanità significa qualcosa, dovrebbe significare sostenere e prendersi cura di coloro che sono stati feriti e violati nel peggior modo possibile. Dovrebbe significare dar loro il potere di ottenere giustizia e di chiamare a rispondere i responsabili. Cambiare il modo in cui guardiamo le cose richiede che mettiamo in discussione lo status quo, quelle convinzioni che un tempo accettavamo come normali. Non c’è nulla di normale in una cultura che incolpa la vittima per essere stata violata.

Zahra Nader è caporedattrice di Zan Times. 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *