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I fondi italiani a Fawzia Koofi, corrotta ex vicepresidente del parlamento afghano

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Beatrice Biliato, CISDA, 15 febbraio 2024

KOofi

“L’Italia contribuisce a dare voce alle donne afghane – insieme al Women’s Peace Humanitarian Fund (WPHF)”. Con questo titolo l’Agenzia italiana per la cooperazione allo Sviluppo il 19/11/2023 presenta orgogliosamente sul suo sito il finanziamento dell’”Italia nel 2022 con 4,5 milioni di euro specificamente miranti a sostenere le donne afghane”.

In particolare il sostegno è diretto, viene detto, a “Fawzia Koofi, la prima vicepresidentessa del Parlamento afghano, nonché ex-Presidentessa della Commissione per le questioni femminili e i diritti umani, che dopo la caduta di Kabul nelle mani dei Talebani, ha continuato a lottare per promuovere i diritti delle donne, ragazze e bambine afghane. Nel giugno del 2022, grazie al supporto del Women’s Peace Humanitarian Fund (WPHF) , Fawzia Koofi si è recata a Ginevra per chiedere al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di tenere un dibattito sulla crisi dei diritti delle donne e delle ragazze in Afghanistan. …L’attività di denuncia di Fawzia Koofi non sarebbe probabilmente stata possibile senza il contributo del WPHF delle Nazioni Unite”…

La convinzione sull’importanza di contrastare la violenza di genere, sostenendo direttamente la capacità delle donne locali, al fine di liberarle dalla violenza e contribuire ai processi di pace, ha portato l’Italia a sostenere anche l’azione globale del Women Peace Humanitarian Fund, con un contributo ulteriore di 2 milioni di euro nel 2022 e di 3 milioni di euro nel 2023 – per sostenere la voce delle donne laddove è più necessario e contribuire insieme al contrasto della violenza”.

Ma che fine hanno fatto o faranno i soldi stanziati a Fawzia Koofi dalla Cooperazione internazionale italiana? In che modo verranno utilizzati per sostenere le donne afghane?

Per rispondere a questa domanda abbiamo cercato di seguire le tracce dei soldi erogati in questi giorni dall’Italia.

Il percorso è stato abbastanza facile perché breve e agevole, tutto subito indicato nelle finalità stesse del Fondo internazionale, il WPHF che ha elargito i finanziamenti e che l’Italia ha contribuito a foraggiare. Sì, perché in realtà l’Italia non ha dato i soldi direttamente a Fawzia Koofi ma ha semplicemente contribuito al finanziamento del WPHF con 4,5 di euro.

Il Fondo internazionale spiega nel suo sito a chi sono assegnati i soldi. La parte che ci interessa è dichiaratamente finita in mano a Fawzia Koofi attraverso il sostegno al “Programma 1000 donne leader”, la “Finestra di finanziamento WPHF per i WHRD” cioè i difensori dei diritti umani delle donne, perché il suo scopo è proprio quello di “fornire, in collaborazione con ONG, finanziamenti rapidi e flessibili e supporto logistico diretto ai WHRD provenienti o che lavorano in aree diverse colpite dai conflitti, … [donne o LGBTI  che] individualmente o in associazione con altri, formalmente o informalmente, agiscono per promuovere o proteggere i diritti umani, compresi i diritti delle donne, in modo pacifico a livello locale, nazionale, regionale e internazionale”.

Il sostegno, è specificato, arriva attraverso due flussi:

  • Safety net (rete di protezione) in collaborazione con ONG partner con finanziamenti fino a 10.000 dollari per coprire costi urgenti, come spese di sostentamento e protezione a breve termine, comprese attrezzature (computer, telecamere di sicurezza), Internet, cura di sé, assistenza legale e trasferimento o ritorno a casa
  • supporto di advocacy, per organizzare e coprire le spese logistiche (trasporto, tasse per il visto, alloggio, indennità giornaliera, accessibilità per I DDU con disabilità) per partecipare a un incontro, evento o processo decisionale a livello nazionale, regionale o internazionale che contribuisce a promuovere i diritti umani e la pace.

Con questa Finestra, viene spiegato, Fawzia Koofi si è recata a Ginevra nel giugno 2022  per chiedere al Consiglio per i diritti umani di tenere un dibattito urgente. Tre mesi dopo ha anche ricevuto assistenza di viaggio per informare il Consiglio delle Nazioni Unite a New York sulla situazione in Afghanistan.

Evidentemente l’Onu, gli Stati Uniti, i governi europei e occidentali puntano fortemente su di lei come leader in un futuro Afghanistan normalizzato. Del resto il WPHF ha “un ambizioso obiettivo: sostenere “1000 donne leader in 1000 comunità colpite dalla crisi in tutto il mondo”. E come dice la stessa Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) nell’articolo, è grazie al supporto del WPHF che Fawzia Koofi ha potuto avere il ruolo e l’importanza internazionale che ha….

C’è però un grosso stacco tra i 10.000 dollari regalati ufficialmente a Fawzia Koofi e i 4,5 milioni di euro dati dall’Italia “specificatamente mirati a sostenere le donne afghane”.

Per chi, quali donne, quali progetti sono stati dati? E torniamo così al problema di partenza: come vengono dispensati e controllati i soldi italiani che vengono distribuiti?

Nel sito della Cooperazione italiana non c’è nessuna risposta.

Chi è Fawzia Koofi?

Ma torniamo a Fawzia Kofi. Chi è davvero questa donna che gode di così tanta fiducia delle istituzioni internazionali? Si presenta e viene presentata ovunque come una difensora dei diritti delle donne afghane, ma è stata ed è davvero tale?

Wikipedia riferisce che ha iniziato la sua carriera politica nel 2001, dopo la caduta dei talebani, lavorando con l’UNICEF. Dal 2005 al 15 agosto 2021 è stata membro del Parlamento (Wolesi Jirga) per il distretto di Badakhshan e prima donna Vicepresidente dell’Assemblea nazionale. Nel 2020 ha fatto parte della squadra di 21 membri che avrebbe dovuto rappresentare il governo afghano nei negoziati di pace con i talebani. Di lei dice anche che considera una priorità la difesa dei diritti delle donne e dei bambini, che ha sostenuto in Afghanistan con varie iniziative.

Ma ad approfondire la ricerca si scopre che nel 2015 l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan, RAWA, aveva pubblicato sul suo sito un articolo che l’attacca violentemente svelando su di lei e la sua famiglia una serie di fatti che ce fanno conoscere come un personaggio politico molto noto e rilevante in Afghanistan, ma per gli abusi e la corruzione di cui si è resa responsabile!

L’articolo racconta di come la sua famiglia si sia sempre interessata di politica, pur non avendo mai aderito a un partito o una parte specifica, sempre pronti ad appoggiare i politici al potere in quel momento che potevano agevolarli nei loro affari. Di come Fawzia Koofi e sua sorella abbiano sempre usato il loro potere politico per tirar fuori dai guai i fratelli spesso perseguiti per traffico di droga, stupri ecc. Di come lei stessa abbia sempre approfittato della sua posizione per trattenere per sè o dirottare sui propri affari una buona parte dei finanziamenti occidentali che riusciva ad ottenere in abbondanza per costruire scuole o case per i più bisognosi. Di come si sia spesso nascosta dietro la difesa dei diritti delle donne e dei bambini per dirottare i finanziamenti forniti attraverso le ONG… Il tutto denunciato dagli abitanti della remota regione di cui era rappresentante parlamentare e corredato di foto e documenti.

Questa denuncia era stata a suo tempo ripresa dal Cisda per avvisare con una lettera il Sindaco di Torino Fassino e la sua Giunta, che avevano sovvenzionato attraverso fondi della Cooperazione italiana l’associazione afghana a sostegno dei diritti delle donne SSSPO di cui Fawzia Koofi era referente, dell’inopportunità di questa azione di finanziamento. Ma nessuna risposta ci era stata data.

Anche guardando a tempi più recenti, non dobbiamo dimenticare che Fawzia Koofi negli ultimi anni del governo repubblicano era una parlamentare e vice presidente dell’Assemblea nazionale e quindi è stata responsabile, tanto quanto gli uomini, di aver sostenuto quel governo corrotto e incapace, voluto e sostenuto dagli Usa solo perché disponibile a non opporsi alla sua occupazione del paese, costituito da signori della guerra che spesso dovevano la loro notorietà e potenza non alle capacità politiche ma alle efferatezze compiute. E il ruolo puramente marginale e formale delle donne al suo interno non sminuisce la responsabilità di quelle che si sono prestate ad avallarlo per tornaconto personale o famigliare.

Fawzia Koofi si è anche prestata ad avallare gli accordi degli Usa con i talebani nel 2020 per consentire il loro ritorno al potere, partecipando direttamente alle trattative di Doha e così fornendo una patina di democraticità a una manovra che è ricaduta tutta e pesantissimamente sulle spalle del popolo afghano, mentre i governanti di allora fuggivano dal paese come ha fatto lei.

Quindi il suo attivismo di adesso fa più pensare a una ex leader politica interessata a rinnovare il ruolo perso con l’esilio che a fornire aiuti concreti alle donne e al popolo che soffrono in Afghanistan.

Ma allora perché, nonostante il poco entusiasmante back ground che la caratterizza e che in patria l’ha resa invisa a molte e a molti, ora è ricercata da tutte le istituzioni internazionali e portata ad esempio come rappresentante e portavoce della libertà delle donne afghane, invece di essere messa da parte come tutti gli altri politici afghani, solleciti servitori del governo repubblicano voluto e sostenuto dagli USA ma poi gettati via una volta che gli Usa hanno passato il potere in mano ai talebani?

Perché un personaggio simile – donna spendibile come un successo dell’Occidente, esperta di politica, disposta a tutto e capace di adattarsi agli interessi politici di chi la sostiene e a cavalcare l’obiettivo-simbolo della difesa dei diritti delle donne afghane – fa comodo in questo momento alla politica occidentale sia per tornare a sbandierare la democraticità dell’Occidente messa in crisi dalla lunga fallita guerra in Afghanistan e dalla fuga di Usa e alleati, sia per avere a disposizione donne manovrabili nel momento in cui i talebani dovessero, se non cadere, almeno accettare una qualche forma di apertura al femminile. Così l’opinione pubblica può credere che sia possibile l’apertura ai diritti delle donne anche con i talebani al potere, apertura che giustifichi l’avvio di trattative per l’auspicato reintegro dell’Afghanistan nei giochi economici e geopolitici mondiali pur con i talebani al potere.

Le istituzioni internazionali, con le loro lunghe mani costituite dalle ONG e da tutti gli organismi da loro istituiti e foraggiati, dimostrano così di non avere a cuore i diritti delle donne afghane reali, quelle che vivono in Afghanistan e lottano e resistono quotidianamente contro i talebani e i loro provvedimenti restrittivi, repressivi, fondamentalisti e disumani.

Quello che interessa loro sono le donne che fanno parte della classe che conta, la classe dirigente: preparare e avere a disposizione una classe dirigente che condivida gli interessi economici e politici occidentali, così da avere degli interlocutori che li realizzino.

La ricaduta di queste politiche sulle popolazioni – povertà, fame, schiacciamento dei diritti… – non è affar loro, che se la vedano i loro governanti.

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