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Pazienti e ciarlatani

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Perché in Afghanistan le donne ammalate cercano aiuto dai religiosi invece che dai medici?

Atia FarAzar, Mahsa Elham, Zan Times, 9 ottobre 2023

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Quando entro nella sua stanza, Golchehra gira il viso dall’altra parte, non vuole parlare. La sua giovane fronte dovrebbe essere liscia ma è solcata da rughe. Immediatamente se ne va con in mano un libro. Posso leggere parte del titolo: “Biologia, grado dieci”. 

Golchehra era una sedicenne studentessa del nono anno quando i talebani proibirono alle ragazze di frequentare la scuola. Ogni tanto piange perché non può più andare a scuola, studiare e vedere i suoi amici, a volte si arrabbia o addirittura si odia.  

Vive con la sua famiglia in un remoto villaggio dell’Afghanistan nella provincia di Samangan. Una sera di febbraio del 2022, mentre avrebbe dovuto preparare la cena, cercò di uscire di casa. Suo padre si arrabbiò e la colpì alcune volte. Per reazione Golchehra cercò di farsi del male colpendosi il viso, ma sua madre Anisa la fermò. 

Anisa è preoccupata per il cambiamento di comportamento e il deterioramento dello stato mentale di sua figlia. Così, nell’aprile 2022, dopo aver chiesto consiglio alle donne del vicinato, l’ha portata da un religioso nella città di Aybak, pagandogli una tassa e il cibo e rimanendo lì due giorni e due notti. “Il religioso ha pregato per due giorni e ha detto che Golchehra era spaventata e che sarebbe guarita presto. Ha preso il suo compenso e se n’è andato”, spiega.  

 

Preghiere o medicine?

Quelle preghiere non hanno aiutato la ragazza, che è invece peggiorata. Così la sua famiglia ha cercato aiuto medico. “Abbiamo portato Golchehra da un medico del nostro quartiere, che era uno specialista in donne”, ha detto sua madre, spiegando che nella loro zona non c’è uno specialista in salute mentale. “Dopo averla visitata ha detto che non aveva problemi di salute specifici e che sarebbe migliorata senza farmaci”. 

Golchehra continuava ad avere frequenti esaurimenti nervosi, che secondo suo padre indicavano che era posseduta da spiriti maligni. Hanno pagato tra i 500 e i 10.000 afghani per seduta a più di 100 religiosi che promettevano di esorcizzare i fantasmi dal suo corpo. Un religioso della provincia di Balkh le ha versato dell’acqua in bocca perchè i jinn lasciassero il suo corpo. “Diversi religiosi l’hanno picchiata con un cavo. Piangeva chiedendo di non picchiarla, che sentiva dolore, ma ad ogni grido i religiosi la picchiavano ancora di più e dicevano: ‘Non sei tu, sono i tuoi jinn che mostrano la loro reazione’”, racconta Anisa.  

Tre mesi fa la famiglia di Golchehra l’ha finalmente portata da un neurologo a Kabul. “Il medico le ha prescritto dei farmaci e ha detto che aveva disturbi neurologici e una grave depressione”, spiega la madre, aggiungendo che la figlia mostra segni di miglioramento.  

 

Un approccio dei talebani contraddittorio

Sebbene in Afghanistan il fenomeno delle persone che chiedono aiuto al clero per i loro problemi medici esista da molto tempo l’attuale mancanza di dottoresse e specialisti, oltre alle gravi difficoltà finanziarie, hanno portato ancora più famiglie a cercare aiuto dai leader religiosi.  

I talebani hanno recentemente avviato campagne per chiudere i negozi di stregoni o mullah che compiono tali atti, sostenendo che ciò che stanno facendo non è islamico. Sui social media circolano video che denunciano questi individui come falsi e ciarlatani.

I sociologi sostengono che l’approccio dei talebani nei confronti del clero e degli stregoni è irrazionale perché, chiudendo le scuole, paralizzando l’istruzione moderna e rendendo impossibile il lavoro del personale medico in molte parti del paese, stanno effettivamente contribuendo alla proliferazione di questo fenomeno.

Habib Farzad, un dottorando della South Asian University in India, racconta a Zan Times che, a causa della loro opposizione all’educazione moderna e razionale, i Talebani hanno creato le condizioni per promuovere religiosi e stregoni come guaritori. “Chiudendo le scuole, censurando la conoscenza e limitando l’accesso alle informazioni i Talebani stanno costringendo la società a rivolgersi alla superstizione”, spiega. “La razionalità, la libera conoscenza basata sul proprio intelletto, è in conflitto con il potere dei Talebani, con la loro ideologia e con il fondamento intellettuale del loro gruppo. Lo capiscono anche loro, se sono sinceri, cosa di cui dubito. Non otterranno alcun risultato perché la loro principale politica è quella di produrre superstizione e spingere la società verso la superstizione.” Inoltre”, afferma, “quando i servizi pubblici e l’accesso all’istruzione non sono disponibili, le persone sono costrette a ricorrere alla superstizione per chiedere aiuto”.

 

Botte per scacciare gli spiriti maligni

Shukria, una paziente cardiovascolare di 46 anni, si è rivolta a un religioso quando la sua famiglia non è riuscita a ottenere i risultati desiderati dai medici della città di Sheberghan, nella provincia di Jawzjan. Pensa che le medicine prescritte non abbiano alleviato il suo dolore perché il medico ha sbagliato diagnosi. Racconta: “A Jawzjan non esiste una clinica governativa che fornisca servizi nell’area di Mirwais e non ci sono dottoresse specializzate nella provincia. Ci sono solo uno o due uomini, non so se specialisti, che mi hanno dato molte medicine, ma nessuna ha avuto alcun effetto”.  
Quando il farmaco si rivelò inefficace la famiglia di suo marito pensò che fosse impazzita e posseduta da spiriti maligni, spiega Shukria a Zan Times. Così la portarono da un religioso nella provincia di Sar-e Pul. “Il religioso mi legò strettamente le mani con un pezzo di corda, poi mi colpì sulle spalle e sulla schiena con un bastone, dicendo che avrebbe scacciato i jinn”, racconta. Il suo dolore al cuore e la mancanza di respiro sono peggiorati in modo significativo dopo che diversi religiosi hanno tentato di curarla. Inoltre, aveva problemi a dormire. Ha chiesto a suo marito, che allora lavorava in Iran, di tornare a casa e di portarla a Balkh o Kabul. “Mio marito quando è tornato mi ha portato a Kabul da un medico, che ci ha consigliato un cardiologo. Questi ha diagnosticato che una delle valvole del mio cuore era bloccata. Adesso prendo le medicine, ma potrei aver bisogno di un intervento chirurgico”, dice.  

 

Il rifugio di chi è senza speranza

Anche la famiglia di Sara, della provincia di Ghor, si affidava a religiosi per curare la sua malattia. Da un anno la quindicenne soffriva di forti dolori allo stomaco. Poiché i medici non riuscivano a diagnosticare la sua malattia la sua famiglia la portò da un religioso. Rimase in una stanza buia per tre giorni mentre un chierico pregava per lei tre volte al giorno nel tentativo di alleviare il suo dolore. Solo sua madre, Zarlasht, poteva entrare nella stanza. E’ convinta che i religiosi la guariranno. “Non esistono buoni medici, sono tutti fuggiti. Ho perso la speranza perché sono andata da loro molte volte, una volta ho anche portato mia figlia a Herat, ma senza risultati”, racconta a Zan Times.  

Oltre a pagare le spese, che vanno dai 7.000 ai 10.000 afghani per seduta, la famiglia di Sara deve anche provvedere al cibo e alle spese di soggiorno del religioso durante i tre giorni previsti. Zarlasht è comunque ottimista: «Per ora la mia speranza è nel religioso perché la gente parla bene di lui e dice che produce risultati. I religiosi trattano ponendo le mani sopra la testa del paziente, mormorando qualcosa sottovoce e poi eseguendo un incantesimo alla fine. 

 

Difficile reperire medici e cure

Anche coloro che possono permettersi cure mediche adeguate trovano sempre più difficile reperirle. Molto personale medico qualificato ha lasciato il paese dopo la presa del potere da parte dei talebani, mentre molti di coloro che sono rimasti sono stati costretti ad abbandonare la propria attività a causa delle rigide leggi e le restrizioni. Inoltre, molti non possono permettersi di trasportare i malati nella capitale dove esercitano ancora gli specialisti. Di conseguenza le donne come Shukria, Golchehra e Sara sono a rischio. Shukria dice che se suo marito non avesse agito lei sarebbe potuta morire: “Mi sono resa conto che il mio cuore avrebbe presto smesso di battere. Non so quante altre donne si trovano ad affrontare la stessa situazione”. 

 

*I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità delle intervistate e della giornalista.

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