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L’AFGHANISTAN DUE ANNI DOPO. Large Movements

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Ancora sulla condizione delle donne a due anni dalla presa dei Talebani

Large Movements, 15 agosto 2023

Sono passati due anni dalla presa di Kabul da parte dei Talebani, che il 15 agosto 2021 hanno fatto il loro ingresso nella capitale afghana. Così, quasi due decenni dopo l’invasione USA seguita agli eventi dell’11 settembre, il gruppo che aveva precedentemente governato 

dal 1996 al 2001 ha riassunto il controllo del paese, generando un impatto drastico sulla vita di milioni di afghani.

Sebbene il contesto afghano andrebbe inquadrato attraverso un’ottica più complessa di domini esteri e conflitti, è indubbio che la presa dei Talebani abbia cancellato decenni di progresso e conquiste, soprattutto in termini di uguaglianza di genere e diritti delle donne. Ciò è andato di pari passo con la censura di voci influenti della società civile e dei media, che precedentemente avevano svolto un ruolo cruciale nell’educare e responsabilizzare la comunità riguardo tali tematiche.

Le restrizioni imposte su diverse libertà fondamentali hanno creato un effetto domino che si è esteso a molteplici settori. Più nel dettaglio, le misure prese nel corso di questi due anni, comunicate attraverso decreti ufficiali, ordini esecutivi e direttive a diversi livelli, hanno influito pesantemente sull’accesso delle donne all’occupazione, ai servizi pubblici, all’istruzione e persino alla giustizia. Non è un caso che il “Global Gender Gap Report” del 2022 del World Economic Forum abbia collocato l’Afghanistan all’ultimo posto, 146º su 146, per quanto riguarda l’istruzione e la partecipazione economica femminile.

In ambito lavorativo, poco dopo la presa dei Talebani, molte donne sono state costrette ad abbandonare le proprie occupazioni, ad eccezione delle impiegate statali e delle lavoratrici del settore sanitario, alle quali, però, lo stipendio è stato notevolmente ridotto. Questa circostanza ha avuto un impatto tanto più significativo su quei nuclei familiari nei quali la donna rappresenta l’unica breadwinner. Inoltre, alle stesse è stato proibito di lavorare per ONG internazionali, ad eccezione delle realtà attive nei campi della sanità, dell’alimentazione e dell’insegnamento primario (HRW).

In relazione alla partecipazione alla vita pubblica, alle donne non è permesso spostarsi per un raggio superiore ai 72 km se non accompagnate da un Mahram (parente di sangue). A livello pratico, non è quindi possibile prendere un aereo o salire su un taxi, in quanto compagnie aeree e tassisti sono stati istruiti in tale senso. La stessa condizione è stata successivamente imposta a coloro che desiderano recarsi in una struttura sanitaria.
Il Ministero per le Donne è stato abolito e sostituito, nel settembre 2021, con il Ministero per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, che ha imposto tramite decreto l’obbligo di indossare l’hijab (più precisamente burqa o niqab) per lasciare la propria casa.

Per quanto concerne l’istruzione, alle bambine di età superiore ai dodici anni è stato impedito di tornare a scuola, almeno fino a quando non sarà sviluppato un piano in conformità con la Sharia e la cultura talebana. Nonostante ci siano ragazze che continuano a frequentare scuole secondarie in alcune zone, l’assenza di una politica nazionale sistematica ostacola l’accesso universale all’istruzione e contribuisce, in definitiva, all’ampio quadro che limita i diritti delle donne e le confina nei loro ambienti domestici.

L’accesso all’università, sebbene non ufficialmente vietato, è limitato dalla segregazione di genere e da rigidi codici di abbigliamento. Inoltre, restrizioni più ampie alla mobilità, come discusso in precedenza, creano ancor oggi significativi ostacoli per le donne e le ragazze nell’accedere autonomamente ai luoghi di insegnamento.

Purtroppo, nel corso degli ultimi due anni non si è assistito ad alcun cambio di direzione e, alla luce di un così grave quadro culturale, politico e sociale, nel 2022 gli afghani hanno rappresentato il gruppo più ampio di richiedenti asilo nell’area UE+. Sebbene in seguito al lavoro svolto dall’Agenzia dell’Unione Europea per l’asilo (EUAA), a partire dal dicembre 2022 alcuni paesi dell’UE abbiano deciso di accordare lo status di rifugiate alle donne provenienti dall’Afghanistan esclusivamente sulla base del genere, in quanto riconosciute come gruppo sociale soggetto a persecuzione, la risposta dei governi europei continua ad essere insufficiente. Ad oggi, secondo i dati Eurostat, il numero delle richieste d’asilo pendenti continua ad aumentare, e i tassi di riconoscimento di protezione ai richiedenti asilo afghani diminuiscono.

Nel complesso, ad eccezione della sopracitata misura, la logica abbracciata dagli Stati membri e dalle istituzioni comunitarie è stata principalmente volta al rafforzamento dei meccanismi di esternalizzazione delle frontiere. Infatti, non solo sono stati concessi compensi finanziari all’Iran e al Pakistan in cambio del mantenimento delle rifugiate e dei rifugiati afghani, ma sono stati anche rafforzati gli accordi con paesi di transito (non) sicuri. Tali politiche rappresentano un chiaro passo verso l’esternalizzazione della responsabilità per quanto riguarda la gestione del fenomeno migratorio, e hanno reso ancora più difficile il transito verso l’UE, minando valori fondamentali quali il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza e lo Stato di diritto.

Noi di Large Movements riteniamo di vitale importanza che i governi esprimano una netta e collettiva indignazione di fronte alla drammatica perdita dei diritti fondamentali della popolazione afghana, con particolare attenzione alle donne e alle bambine. È imperativo che tali governi sostengano e rafforzino le voci delle donne afghane, permettendo che le loro prospettive non restino inascoltate. Parallelamente, è inoltre cruciale che siano garantiti canali legali e sicuri per l’accesso all’Unione Europea per coloro che, di fronte alle circostanze attuali, scelgano di migrare. In questo contesto, l’adesione e promozione della campagna #StandUpWithAfghanWomen della rete CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) sottolinea l’impegno della nostra associazione tutta a far sì che ciò che succede in Afghanistan non venga ignorato e dimenticato. Azioni come queste, in congiunzione con le istituzioni, concretizzerebbero un impegno nei confronti dei principi fondamentali di giustizia, uguaglianza e protezione dei diritti umani, a fronte di una situazione che, a distanza di due anni, continua ad essere fortemente critica.

Firma qui la petizione della campagna #StandUpWithAfghanWomen!

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