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Negin Khpalwak: «La mia vita da esule dopo l’addio a Kabul. Sogno di dirigere ancora un’orchestra»

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Corriere della sera/Esteri, 18 agosto 2023. di Viviana Mazza  NeginÈ stata la prima direttrice di un’orchestra femminile in Afghanistan, e ora vive in Virginia con la famiglia. Fuggita nel 2021, ora cerca di ricostruirsi una vita.

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE NEW YORK – Negin Khpalwak è stata la prima direttrice di un’orchestra femminile in Afghanistan. Lei e le compagne dell’Istituto Nazionale di Musica di Kabul intrecciavano melodie orientali e occidentali, usando strumenti a corda come il rubab e il sarod accanto al flauto e al piano. Due anni fa, quando i talebani sono tornati al governo, Negin Khpalwak, insieme a suo marito Hamid Habibzada, musicista anche lui, e alla figlia di tre anni Maram, è riuscita a fuggire, portando con sé solo uno zaino che conteneva pannolini, acqua e un cambio di vestiti per la bambina, a bordo di uno degli aerei militari stipati di gente seduta a terra in lacrime nel caos del ritiro americano.

Oggi vivono in Virginia. «All’inizio mi dissero: “Non possiamo portare tuo marito. Solo te e tua figlia, perché stiamo facendo uscire le attiviste”. Ho risposto: “Questa è la mia famiglia, non posso andarmene senza di loro”». Quando, nel campo profughi in Qatar, seppe che sarebbero andati in Usa, «nessuno era felice — racconta al Corriere — Era il mio sogno venire negli Stati Uniti, ma non in questo modo». Aiutati da un’organizzazione afghana-americana, sono riusciti ad affittare un appartamento e a comprare un’auto: Hamid fa l’autista di Uber, si stanno ricostruendo una vita. «Grazie a Dio c’era mia figlia», dice Negin mentre Maram le volteggia intorno con ali finte da farfalla. «Durante il viaggio lei è stata la gioia del gruppo».

La prima volta che Negin sentì il suono della musica aveva l’età di Maram. Viveva nel villaggio di Shinegar, venti case incastonate fra tre montagne nella provincia di Kunar. Non c’era la tv, né la radio. Ma suo padre Ajmal e il cugino possedevano un sitar, e ogni tanto suonavano in casa lo strumento a corda dal lungo collo. Nessuno in quel villaggio pashtun però l’avrebbe suonato in pubblico: anche prima del ritorno dei talebani, la musica era vista come immorale. Ora suo padre, che mandò Negin a Kabul a studiare musica sfidando l’ira degli zii che minacciarono di ucciderlo per il disonore, è bloccato in Iran: a Kabul era costretto a nascondersi dai talebani perché aveva un ruolo nella sicurezza al palazzo presidenziale. «Non può lavorare, con visto turistico. Spera in un visto per il Brasile che non arriva. Vorrebbe riunirsi con mia madre e mio fratello che sono rimasti in Afghanistan». La cognata di Negin, con il marito e i figli è a Riace, in Calabria, «dove le case somigliano a quelle afghane». Era un’artista, insegnava all’università di Herat, ora vende qualche dipinto: sognano di andare a Roma, ma non hanno i mezzi. Anche una delle sorelle di Negin, fuggita a Lisbona dove si è riformato l’Istituto di Musica, sta cercando di portarvi la famiglia. La musica però non si è spenta.

Hamid, quando non lavora per mantenere tre famiglie, suona i taula alle feste. N egin ha fatto un concerto con l’orchestra sinfonica di Alexandria e spera di riprendere la bacchetta in mano. Lei e altre attiviste hanno provato a tenere alta l’attenzione sull’Afghanistan incontrando deputati e senatori: «Una senatrice ha aiutato a portare in salvo alcune donne. Chiedevamo di non riconoscere i talebani, ma sono stati accettati come governo; di non far chiudere le scuole, ma è successo». Anche l’orchestra «Zohra» continua a suonare: presto tornerà in Svizzera dove nel 2017 fu accolta a Davos dagli applausi dei leader mondiali.

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