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Quando diritti e libertà non valgono: l’Occidente e il genocidio dei kurdi

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Volere la luna, 28 novembre 2022, di Livio Pepino 

Mentre il mondo occidentale si indigna e si commuove (giustamente) per i bombardamenti su Kiev e su tutta l’Ucraina, altri bombardamenti sono avvolti dal silenzio complice delle cancellerie di Europa e Stati Uniti.

È il caso – tra gli altri – di quelli sul Kurdistan e sul suo popolo misconosciuto e vittima, sui territori e nelle carceri, di un vero e proprio genocidio che ha come principale attore protagonista il sultano turco Tayyip Erdoğan , celebrato dall’intero Occidente come l’unico autorevole mediatore capace di avviare una trattativa tra Russia e Ucraina e foraggiato dall’UE con tre miliardi di euro ogni anno per impedire l’ingresso in Europa dei profughi asiatici che fuggono da guerra e violenze.

Cinque giorni dopo l’attentato di Istanbul del 14 novembre, attribuito dalle autorità prima di ogni verifica ai kurdi e al PKK (ma su cui aleggia il sospetto di un’operazione di “strategia della tensione”), la notte tra il 19 e il 20 una pioggia di bombe, sganciate dall’aviazione turca, si è abbattuta su diverse regioni del Kurdistan in Siria e nel Nord Iraq. Ad essere colpite sono state soprattutto le città di Kobane e Derik dove i bombardamenti sono inziati nella notte e proseguiti la mattina successiva. Kobane, la città che ha sconfitto l’ISIS al prezzo di migliaia di vite civili e di combattenti YPG/YPJ e PKK, è da allora nel mirino del regime di Erdoğan e per questo è stata indicata dal Governo turco come capro espiatorio dell’attentato. Come scrive ReteKurdistan in Italia, «indicare le istituzioni del Rojava come responsabili dell’attentato non è altro che un goffo tentativo di legittimare agli occhi dell’opinione pubblica una nuova invasione del Rojava, in particolare della città di Kobane, la cui occupazione completerebbe il progetto neo ottomano iniziato con le invasioni del 2018 e 2019. Anche la tempistica di questi attacchi non è casuale.

Il Governo AKP-MHP è in calo nei sondaggi che lo vedrebbero sconfitto nelle prossime elezioni, nonostante Erdoğan abbia tentato di ritagliarsi una posizione di rilievo attraverso gli accordi economici con l’UE e tentando di acquisire una posizione centrale nel conflitto tra Russia e Ucraina. In un momento storico in cui il mondo sta seguendo con attenzione le rivolte in Iran, al grido di “Jin Jiyan Azadi”, Donna Vita Libertà, il Governo turco sta lavorando attivamente per distruggere la rivoluzione delle donne del Rojava, il luogo in cui da dieci anni questo motto è stato applicato e si è tramutato in pratica politica».

I morti sotto i bombardamenti turchi si contano ormai a decine e nel Kurdistan iracheno viene l’impiego anche di armi chimiche. Il Governo di Erdoğan sostiene di avere neutralizzato centinaia di terroristi e dichiara che questo “è solo l’inizio”. Intanto sul confine si ammassano carri armati e truppe, il che rende verosimili imminenti attacchi da terra.

Non è certo la prima volta che ciò accade ma oggi l’offensiva dell’esercito di Erdoğan si intreccia con i bombardamenti iraniani nella zona di Erbil e Sulaymaniyah. Diversi testimoni riferiscono di bombe a tappeto anche su campi profughi con decine di morti. A giustificazione dell’intervento Teheran evoca il traffico, attraverso la frontiera iracheno-iraniana, di armi destinate ad alimentare le proteste scoppiate dopo l’uccisione di Mahsa Amini e diffusesi ormai a macchia d’olio nel Paese in aperta ribellione contro il regime degli ayatollah. Più realisticamente si tratta di un tentativo di regolare i conti con gruppi di opposizione fuggiti dal Paese e rifugiatisi in territorio iracheno. Comunque sia, i bombardamenti continuano e, contestualmente, centinaia di blindati vengono fatti affluire in prossimità della frontiera. Quel che si delinea è, dunque, l’accantonamento (momentaneo) delle tradizionali rivalità tra Ankara e Teheran in vista di un’azione simultanea, anche con l’invasione militare del Kurdistan. La cosa non deve stupire: tanto Ankara quanto Teheran aggiungono alle mire territoriali e agli interessi geopolitici la volontà di risolvere le difficoltà interne con la costruzione del “nemico esterno”.

In questa situazione – e, a maggior ragione, se si verificasse un’invasione militare del Kurdistan – c’è da chiedersi come reagiranno la comunità internazionale e, in particolare, l’Occidente. Alla luce delle posizioni assunte negli ultimi anni da Stati Uniti e UE e da alcuni bruschi cambiamenti di atteggiamento intervenuti da ultimo – come quelli di Finlandia e Svezia e di Svizzera e Olanda – è prevedibile che ci sarà una totale inerzia, se non addirittura un appoggio esplicito, accompagnato da aiuti militari, alla Turchia. Se così fosse, la differenza di trattamento rispetto all’Ucraina sarebbe ancor più stridente di quanto già non sia. Non hanno nulla da dire i, normalmente così loquaci, “pacifisti con l’elmetto” che non perdono occasione per dare lezioni su libertà e diritti a chi chiede che, ovunque, tacciano le armi come primo passo verso la pace?

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