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Fuga negata dall’Afghanistan: i corridoi umanitari sono ancora bloccati per una macchinetta.

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Altreconomia, 6 giugno 2022  di Ilaria Sesana

Oltre 1.200 cittadini afghani, in larga parte donne e bambini, avrebbero dovuto trovare rifugio in Italia ma nelle nostre rappresentanze consolari in Iran e Pakistan manca da sette mesi lo strumento per rilevare le impronte. Arci, Caritas, Sant’Egidio e Tavola valdese chiedono al governo una deroga per accelerare le partenze

Nahal ha vent’anni e si presenta come “una ragazza come milioni di altre ragazze afghane, ma sono diversa. Non sono come le altre: sono una lesbica e per questo ritenuta colpevole”. Per anni la giovane ha tenuto nascosto il suo segreto: in Afghanistan, infatti, l’omosessualità è considerata un crimine, da punire con la pena di morte.

“Potrei anche essere lapidata”, racconta nella testimonianza raccolta da Arci. A rendere ancora più precaria e insicura la sua vita è il fatto che Nahal (nome di fantasia) è hazara: appartiene cioè a una minoranza etnica di fede sciita che da anni viene colpita da sanguinosi attentati e feroci discriminazioni da parte dei Talebani.

“Nessuno può capire quanto sia difficile e dolorosa la vita in questa situazione per una ragazza che vive in un Paese che considera le donne senza valore -spiega Nahal-. Ho paura che la mia famiglia sia in pericolo a causa mia”.

Il 15 agosto 2021, con la caduta di Kabul, i talebani hanno ripreso il controllo su tutto il Paese e Nahal ha deciso che era arrivato il momento di fuggire. A gennaio 2022 è riuscita a raggiungere l’Iran, dove ha trovato temporaneamente rifugio, da qui avrebbe dovuto raggiungere l’Italia grazie a un corridoio umanitario organizzato da Arci, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Fcei/Tavola valdese che prevede di portare in salvo nel nostro Paese circa 1.200 cittadini afghani (in larga parte donne e bambini) che sono riusciti a raggiungere Iran e Pakistan. Il 4 novembre 2021 le associazioni hanno firmato l’apposito protocollo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Sono passati sette mesi e da allora è tutto fermo.

A bloccare gli arrivi, spiega Arci, è la mancanza delle macchine necessarie a rilevare le impronte digitali dal costo di poche migliaia di euro. Una strumentazione che deve essere fornita dal Viminale alle sedi diplomatiche italiane in Iran e Pakistan. “La situazione per queste persone si sta facendo sempre più difficile -spiega ad Altreconomia Valentina Itri, di Arci-.

Molte hanno lasciato l’Afghanistan con un visto turistico, altre con un visto per motivi di studio o cure mediche: tutti, però, hanno una durata limitata che è già scaduta o in scadenza. Rinnovarli non è facile e chi viene trovato senza documenti rischia il rimpatrio da parte delle autorità iraniane e pakistane”.

Segnaliamo l’appello “Se 1200 vi sembrano tanti!” promosso da Cisda e sottoscritto già da numerose organizzazioni 

 

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