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Pontecorvo: “La Nato impegnata nelle evacuazioni, i taleban non controllano la situazione”

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La Stampa – 24 agosto 2021 – Francesco Olivo

L’ambasciatore è il rappresentante civile della Nato e coordina i rimpatri: l’Isis è una minaccia concreta

talebaniA gestire il cuore di questa crisi drammatica c’è un italiano. Stefano Pontecorvo, già ambasciatore in Pakistan, è il Senior Civilian Representative della Nato, ovvero l’uomo che coordina le operazioni nell’aeroporto di Kabul. Mentre sullo sfondo si sentono spari e la calca continua a premere, Pontecorvo racconta al telefono queste ore drammatiche, con una serie di pericoli ancora da affrontare: le evacuazioni degli afghani, il ritiro delle truppe dei Paesi Nato e le ultime operazioni di salvataggio prima che, fra pochi giorni anche l’ultimo soldato occidentale avrà lasciato questo Paese disastrato.

Ambasciatore, cosa vede attorno a lei?

«Dentro all’aeroporto c’è una calma relativa, il problema è il sovraffollamento: ci sono oltre diecimila afghani che aspettano di essere evacuati, poi seimila militari americani e altri tremila di altre nazioni. Il tutto in una base che ha i servizi per 5 mila persone».

Fuori cosa succede?

«C’è una folla che si va assottigliando, ma restano 10-12 mila persone ai cancelli, senza titolo per viaggiare, che rendono difficile l’ingresso di coloro che hanno i documenti per partire. La situazione è tesa: c’è stata poco fa una sparatoria, in un punto esterno al perimetro, sentiamo spesso dei colpi di arma da fuoco, uno dei metodi che usano i taleban per controllare la folla, ma sono spari in aria. Ci sono 35 gradi e le persone sono ferme da vari giorni lì fuori senza dormire, in condizioni igieniche precarie. Stiamo chiedendo ai taleban di stare attenti a non provocare una scintilla».

Con i taleban che tipo di contatti avete?

«Sul piano operativo abbiamo dei contatti attraverso gli americani ed altri, per facilitare la gestione dell’ordine pubblico e facilitare il transito in città di convogli di afghani e cittadini di Paesi Nato».

Cosa fa il suo ufficio?

«La Nato, attraverso il mio ufficio, sta facendo un’opera di coordinamento costante e operativo. Ci scambiamo le notizie e le informazioni sulle cose da fare. Se c’è una cosa rassicurante di questa grande tragedia è la solidarietà sul terreno».

Il rischio del terrorismo è concreto?

«L’Isis ha centinaia di miliziani sparsi per l’Afghanistan. Ora c’è una chiamata generale per recarsi a Kabul. I taleban non sono in grado di controllare a fondo la situazione».

Cosa succederà dopo il 31 agosto? Biden non esclude di poter posticipare il ritiro definitivo, i taleban iniziano a minacciare, per voi è una scadenza concreta?

«Molto concreta. Per ora stiamo facendo una programmazione sulla scadenza del 31 agosto».

Significa che queste operazioni devono finire il 31 agosto?

«Ad oggi sì. Anzi, qualche giorno prima. Per consentire agli americani di lasciare il Paese serve tempo, sono diecimila e non possono partire tutti in un giorno».

Lei è uno dei massimi esperti della zona, si aspettava un crollo così rapido delle forze di sicurezza afghane?

«No, né io né altri. Ma le forze armate agiscono in quadro istituzionale e l’amministrazione del presidente Ghani non è riuscita a dare motivazione. I taleban sono motivati, noi pensavamo lo fossero anche i militari delle forze governative, ma non lo erano e hanno ceduto».

Cosa pensa del governo Ghani?

«Le sue colpe sono grandi. Non ha saputo unificare un Paese che è frammentato, ma nei momenti difficili è stato unito».

A questo sfaldamento ha contribuito la modalità di un ritiro che in molti stanno criticando?

«Di fronte di un crollo così dello Stato afghano ogni altro discorso è superato. Noi le forze afghane le abbiamo addestrate e messe nelle migliori condizioni per combattere. Ma da alcuni anni la Nato non combatte sul terreno. Chi poi è sorpreso della data del ritiro deve andarsi a leggere l’accordo di Doha».

Un diplomatico della sua esperienza si sta interrogando su quello che è successo?

«Me lo continuo a chiedere. Certamente è il momento per la comunità internazionale di fare una profonda introspezione su come sono andate le cose e il dibattito tra noi è già cominciato».

I taleban sono cambiati o è solo tattica?

«Sugli aspetti fondamentali non credo siano cambiati. Ma sono consapevoli di alcune linee rosse della comunità internazionale, con la quale vogliono avere rapporti, sia economici che politici. Davanti però hanno una società afghana che è cambiata in questi 20 anni. Questo Paese loro lo conoscono poco».

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