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Cosa possiamo fare per aiutare?

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Forte è la partecipazione emotiva agli eventi in Afghanistan e insistente il tentativo di trovare informazioni sulle possibilità di aiutare

Marta Serafini, 27esimaora, 23 agosto 2021

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Cosa possiamo fare per aiutare il popolo afghano? In queste ore la domanda circola e rimbalza sulle bacheche. La risposta è che in realtà – purtroppo – possiamo fare ben poco.

In queste ore gli eserciti degli Stati che in questi 20 anni hanno preso parte alla missione internazionale stanno evacuando il loro personale e i loro collaboratori, oltre che i soggetti considerati più a rischio. Fin qui gli Stati Uniti affermano di aver portato in salvo 17 mila persone, 2.000 la Germania e la Gran Bretagna, mille l’Italia. Le operazioni però – come abbiamo raccontato qui – sono particolarmente difficili. Alle persone inserite nelle liste viene detto di recarsi coi propri mezzi all’aeroporto di Kabul ma, come abbiamo spiegato, la situazione è particolarmente caotica e pericolosa. E lo stesso presidente statunitense Joe Biden ha affermato come gli Stati Uniti probabilmente non saranno in grado di evacuare tutti e ha chiesto aiuto agli altri governi per ricollocare i rifugiati.

Gli eserciti degli stati che in questi 20 anni hanno preso parte alla missione internazionale stanno evacuando il loro personale e i loro collaboratori, oltre che i soggetti considerati più a rischio inseriti nelle liste. Fin qui gli Stati Uniti affermano di aver portato in salvo 17 mila persone, mentre 2 mila sono stati evacuati da Germania e Gran Bretagna, e poco più di mille dall’Italia. Le operazioni però — come raccontiamo qui — sono particolarmente difficili. Alle persone inserite nelle liste viene detto di recarsi coi propri mezzi all’aeroporto di Kabul ma, come è evidente ormai da giorni, la situazione è particolarmente caotica e pericolosa. Lo stesso presidente statunitense Joe Biden ha affermato che gli Stati Uniti probabilmente non saranno in grado di evacuare tutti e ha chiesto aiuto agli altri governi per ricollocare i rifugiati.

In questo quadro come società civile è possibile però impegnarsi e dare il proprio supporto. Innanzitutto informandoci e informando. Può sembrare poco ma è importante sia per chi esce dal Paese sia per chi resta. Anche i grandi network — come la Cnn — stanno ritirando o hanno ritirato i loro reporter. Dunque è quanto mai necessario affidarsi a media attendibili che hanno contatti e protocolli per verificare le informazioni e proteggere le fonti. La propaganda talebana ha già iniziato da tempo la sua corsa, mentre sono pochi i media afghani indipendenti che ancora riescono a operare. Per supportare i giornalisti afghani ed aiutare a metterli in salvo, è in atto un lavoro importante da parte delle organizzazioni come la Committee to Protect Journalists (Cpj). La stessa Fnsi, la Federazione nazionale della Stampa italiana, si sta adoperando per sostenere i collaboratori locali che in questi anni ci hanno aiutato a fare il nostro lavoro sul campo. In loco, un progetto importante è Rukshana Media, un’organizzazione di notizie gestita da donne che prende il nome da una ragazza lapidata a morte dai talebani, che fin qui ha coperto l’invasione fornendo notizie affidabili.

Altra possibilità è fare pressione affinché i governi impegnati in questi 20 anni nella missione internazionale in Afghanistan non lascino indietro nessuno dei loro collaboratori nei confronti dei quali tutti noi cittadini abbiamo un dovere e un debito di riconoscenza. A questo scopo stanno già girando diverse petizioni online affinché vengano aperti i corridoi umanitari e non vengano sospesi i ponti aerei già in atto. Altra opzione, il sostegno alle organizzazioni governative. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha in funzione una campagna di donazione specifica per l’Afghanistan. Stessa procedura per Unicef che ha attivato un piano di emergenza che comprende la fornitura di servizi idrici e igienici di emergenza, forniture di cibo e ha aperto scuole mobili.

Sul fronte delle organizzazioni non governative rimaste in Afghanistan e che continuano a offrire il loro supporto medico alla popolazione locale e che hanno mantenuto parte del loro staff internazionale a Kabul, da menzionare sono sicuramente Emergency e Medici Senza Frontiere, i cui ospedali sono ancora operativi sia nella capitale che in altre province. E ovviamente la stessa Croce Rossa Internazionale che resta a Kabul. Tra le onlus, particolarmente attive sono Pangea e Nove, che si stanno adoperando per portare fuori le donne considerate più vulnerabili. A fronte di chi sostiene gli afghani che vogliono partire, ci sono anche realtà attive da anni come il Cisda, il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne afghane, che sta dando il suo supporto alle attiviste che hanno deciso di rimanere nel Paese e lottare per i propri diritti.

Infine, quando migliaia di rifugiati busseranno alle porte dell’Europa (già lo stanno facendo e lo hanno fatto), tenendo a mente un passato fatto di respingimenti e di rimpatri forzati che Bruxelles ha autorizzato definendo Kabul un luogo sicuro dove vivere, non va dimenticato che molto spesso è il nostro passaporto a determinare il nostro destino. «Lo straniero è come un fratello che non hai mai incontrato», recita un proverbio afghano. Un associazione per aiutare in questo senso è Miles4Migrants, che permette di donare le proprie miglia ai migranti che non possono sostenere il costo di un biglietto aereo.

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