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Afghanistan, Nahal e le sue sorelle fuori dall’aeroporto: «Eravamo in lista di evacuazione ma i talebani ci hanno frustato»

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27esimaora.corriere.it – Marta Serafini – 21 agosto 2021

sorelle

«Da un lato c’erano i talebani che ci frustavano e ci insultavano, dall’altro i soldati americani che se ne stavano dall’alta parte del muro a guardare senza fare niente». Nahal — che pochi giorni fa al Corriere raccontava di essersi nascosta insieme alla sorella per paura delle liste dei talebani in cui vengono inserite le donne single — non ha dormito tutta la notte e ora è sotto choc, demoralizzata ed esausta. 

Sono le quattro di venerdì notte quando la giovane si muove dalla casa dove si è nascosta. L’obiettivo è raggiungere l’aeroporto di Kabul per salire sul volo di evacuazione organizzato dalla nostra ambasciata. Nahal è una ex dipendente della cooperazione italiana. Con lei, anche le sue tre sorelle. Una di loro, Amina, è incinta all’ottavo mese. Sono quattro donne giovani, tre di loro sono senza marito, giovani, indipendenti. Hanno lavorato con gli stranieri. Devono uscire dal Paese subito. Perché ogni minuto passato a Kabul le avvicina alla morte.

«Siamo partite verso le quattro. Ci avevano detto che dovevamo trovarci vicino all’ingresso principale». A convincerla, la comunicazione dell’ambasciata italiana che il suo nome e quello delle altre era nelle liste di evacuazione. «Quando è arrivato il messaggio siamo scoppiate a piangere dalla gioia». A Nahal e le sue sorelle — come a tutte le persone nella loro stessa situazione — viene spiegato che devano raggiungere l’Hamid Karzai Airport da sole. Le forze straniere non controllano più la città e possono assicurare la protezione solo all’interno dell’aeroporto. A fare da ponte associazioni e gruppi che tentano in queste ore di portare fuori le donne più vulnerabili. 

Il racconto prosegue. Il respiro si fa sempre più affannoso. «All’ingresso dell’aeroporto ci siamo subito rese conto di quanto fosse difficile passare. Prima di tutto i talebani insultavano e picchiavano con bastoni e fruste chiunque cercasse di entrare. Ma soprattutto la folla e la ressa contro il secondo cancello urlava e spingeva rendendo impossibile l’ingresso».

È da quando i talebani sono entrati nella capitale che l’aeroporto viene preso d’assalto tutti i giorni. Nella calca, Nahal prova a proteggere la pancia della sorella incinta. «Mi sono messa a gridare contro alcune persone, supplicavo di non colpirla. Ma anche tra la folla c’erano persone armate di bastoni, non solo tra i talebani». 

Nahal e le altre riprovano quattro volte senza successo. Un gruppetto di donne riesce a passare. Loro non ce la fanno. Restano ore sotto il sole, senz’acqua in mezzo alla polvere, senza che nessuno si prenda cura di loro. «Mi sono sentita umiliata, non solo per le botte ma anche perché ci hanno trattato come animali, come se fossimo qualcosa di diverso da un essere umano. Io ho una dignità, non sono una bestia. E sto cercando di mettermi in salvo, perché devo essere trattata in questo modo». Non respira mentre parla Nahal, Alla fine della giornata lei e le sue sorelle si arrendono. «Abbiamo portato Amina da un dottore, eravamo preoccupate. Ora sta meglio ed è monitorata ma ha rischiato di perdere il bambino per le botte». 

E ora? Ora cosa faranno Nahal e le sue sorelle che fino a una settimana fa vivevano la loro vita a Kabul come migliaia di altre giovani andando a lavorare e incontrandosi con amici e conoscenti? «Mi hanno detto che ci saranno altri voli di evacuazione. Riproveremo. Riproveremo ancora. Non voglio che mio nipote resti senza istruzione o che alle mie sorelle sia negato il diritto di esistere. Ce l’ha insegnato nostro padre: dobbiamo lottare per la nostra vita». Nahal prende un poco di fiato. Ma la rabbia è le lacrime sono ancora tutte lì. «È tutto così ingiusto e non ho più forze. Ma non posso arrendermi».

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