Afghanistan, Balquis e le sue compagne: «Costrette a nasconderci ma noi non scapperemo»
La 27ma ora corriere.it Marta serafini 19 agosto 2021
«Celebro la festa nazionale nella mia mente. Oggi (ieri per chi legge, ndr) qui in Afghanistan è il giorno dell’indipendenza dall’occupazione britannica ottenuta nel 1919, che per noi simboleggia l’indipendenza da ogni occupazione». Negli ultimi giorni Kabul si è svuotata, è piombata nel silenzio. Il suo traffico impossibile, la polvere sollevata dalle auto, i bazar brulicanti di gente, tutto si è fermato. Poi gli uomini, alcuni, sono tornati in strada. Ma le donne per strada, anche quelle sotto il burqa, sono pochissime. «A tratti si sentono rumori di spari».
Balqis (il nome è di fantasia) è un’attivista di Rawa, Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, associazione politica indipendente, supportata dal Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane. Con le compagne hanno deciso di restare a Kabul, nascoste per continuare la loro lotta clandestina.
«Nei giorni scorsi si sentivano gli spari dei talebani dall’aeroporto. La disperazione del popolo afghano che cerca di scappare, la si percepisce nell’aria. Nessuno crede alle promesse dei fondamentalisti. Dicono di essere cambiati, parlano di amnistia per tutti gli ufficiali del governo precedente, dicono di voler lasciare che noi ragazze andiamo a scuola e lavorare. Promettono addirittura di concedere libertà di espressione. Ma noi come possiamo fidarci? Abbiamo visto sparire ed essere uccise giornaliste, giudici donne, soldati, medici e infermiere, fino a pochi giorni prima del 15 agosto. Hanno provato a eliminare i loro oppositori e le oppositrici politiche prima di arrivare al potere. C’è chi ha ricevuto minacce di morte», racconta ora.
Per Balqis resta un senso di amarezza nei confronti del governo afghano e delle forze militari che hanno voltato le spalle al popolo. «Quelli che possono scappano. Scappa il presidente Ghani, scappano i collaboratori degli occidentali. A cosa è servito occupare la nostra terra? A cosa è servito mettere in piedi un governo fantoccio, che poi ha consegnato la capitale in poche ore? A cosa sono serviti i miliardi di dollari spesi e le migliaia di vite perse in questa guerra? A riportare al potere gli stessi terroristi, molto più forti, meglio armati e riconosciuti ora come “legittimi”?». Per le donne di Rawa resta ora l’impegno sul campo, a costo della propria vita. «Tanti, troppi, scappano. E lo capisco. Ma noi no. Noi sapevamo benissimo che lo scopo di questa guerra non era liberare né le donne, né l’Afghanistan. Conosciamo questa situazione da ben prima che arrivassero i talebani al potere nel ‘96. Alcune di noi hanno vissuto la guerra civile tra mujahideen e i signori della guerra, sanno bene cosa aspettarsi da un governo di fondamentalisti».
La via per donne come Balqis resta quella dell’autodeterminazione. «Noi crediamo che solo un governo democratico e laico possa garantire al popolo afghano la sicurezza, l’indipendenza, l’uguaglianza di genere e la fine delle discriminazioni razziali. Oggi, ovviamente, torniamo ad agire dietro le quinte. Lo facevamo già nei campi di rifugiati in Pakistan. Ora — conclude — cerchiamo di dare una mano agli sfollati che arrivano a Kabul, è una situazione di emergenza. Continuiamo e continueremo a insegnare a leggere e a scrivere a bambini e bambine, alle loro mamme. Aiutiamo a creare una coscienza politica afghana, aiutiamo le donne a sentirsi libere di pensare e dire quello in cui credono».
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