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In Afghanistan, tra le tribù anti Isis

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Andrea Nicastro – Corriere della Sera – 1 giugno 2016

afghanistan ori crop MASTER 0x0 MGTHUMB INTERNALezioni all’aperto a Kot, in Afghanistan: l’Isis ha bruciato la scuola del villaggio prima di ritirarsi 

Radio Sharia era l’antenna del mullah Omar, l’emiro dei talebani, prima protetto e poi protettore di Osama Bin Laden. Trasmetteva letture coraniche, ore e ore di preghiere, e di tanto in tanto qualche avviso di pubblica utilità: l’annuncio di una fustigazione per una barba vezzosa, la cattura di un trafficante di oppio o la lapidazione di un’adultera. Da 15 anni si sente di rado in Afghanistan.

Si riceve nelle aree pashtun a sud e nelle province fuori controllo a est. Montare e smontare un’antenna trasmittente prima che venga bombardata dai droni americani limita il palinsesto, così è diventata un poco più pragmatica, ma sempre lacunosa tanto che per due anni ha tralasciato di annunciare la morte del mullah Omar in persona. Ora, però, anche quel che resta di Radio Sharia deve affrontare la concorrenza di un’altra emittente, La Voce del Califfo.

L’offensiva mediatica
La radio dello Stato Islamico in Afghanistan racconta di offensive militari, gode di sofisticati servizi giunti via Internet dagli studi di Raqqa (in Siria) e chiede la collaborazione o l’evacuazione dei civili, promette l’abolizione dell’odiata tassa sull’oppio che i talebani impongono ai trafficanti, ma allo stesso tempo pretende una «spontanea» zakat, la tassa per i più bisognosi. Tassa che poi sarà, come ovvio, l’Isis a gestire. Sempre al denaro si arriva.

160409 AFG 0250 MGTHUMB INTERNAL’Isis aveva stabilito il quartier generale a Kot nella scuola del villaggio. Prima di ritirarsi l’ha distrutta. Ora solo i maschi fanno lezione all’aperto.

Il franchising integralista

 
Talebani contro Isis, Isis contro talebani. L’espansione del franchising integralista del califfo Abu Bakr al-Baghdadi è partita due anni fa dalla roccaforte siro-irachena e ha raggiunto la Turchia, l’Egitto, la Libia, l’Europa, gli Stati Uniti, l’Africa sudsahariana, l’Africa nera, persino l’Indonesia.

Non poteva mancare in quel buco nero di sofferenza e violenza, creato dalle rivalità globali, che è l’Afghanistan da 40 anni a questa parte. Le foto di Véronique de Viguerie, in queste pagine, raccontano di una comunità che ha reagito all’occupazione delle bandiere nere del califfo. Le vedove, gli orfani, la scuola distrutta, le milizie.

I «ribelli tribali» che hanno combattuto lo Stato islamico sono di etnia pashtun e abitano a poco più di un’ora di automobile da dove, 15 anni fa, fu uccisa l’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli. Notevole, in questo servizio fotografico tanto prezioso quanto raro, è l’assenza di truppe dell’esercito regolare afghano. Paradossalmente, è la foto mancante quella più tragica, dolorosa, segno di un fallimento destinato a durare.

 

Le mille sigle del fanatismo

In queste regioni, come in quelle al di là del confine pachistano, o sei talebano o appartieni a una qualunque altra milizia armata. Disarmato, non sopravvivi. Di sigle ce ne sono a decine. Un rapporto del Pentagono del 2015 parlava, proprio per la provincia di Nangahar dove sono state realizzate queste immagini di Talebani, Haqqani Network, Al Qaeda, Lashkar-e-Tayyiba, Tehrik-e-Taliban Pakistan, Islamic Movement of Uzbekistan e, appunto, Isis che però in Afghanistan prende il nome di Khorasan Province, l’antico nome dell’area islamizzata che si estendeva dall’Iran all’India. Secondo gli Usa, il califfo al Baghdadi avrebbe inviato almeno 70 reclutatori in Afghanistan e questi sarebbero riusciti ad organizzare gruppi di simpatizzanti più o meno attivi nella maggioranza delle province. I combattenti sarebbero tra i mille e i tremila, in stragrande maggioranza ex talebani delusi dalla loro leadership o desiderosi di trovare fonti di finanziamento migliori per salire qualche gradino nella scala del potere.

Il collante sciita

Il comandante in capo delle forze armate afghane, generale Qadam Shah Shahim, il grande assente dall’Afghanistan delle foto, ha ammesso che «l’Isis recluta soldati, spende e assume». Non è difficile immaginare perché abbia successo. La necessità di guadagnare ha fatto sì che proprio gli afghani siano tra i gruppi nazionali stranieri più numerosi nella guerra all’Isis. Sono afghani di etnia azara inquadrati nella Brigata Fatemiyoun (in onore della figlia del Profeta) a combattere accanto agli Hezbollah libanesi contro i soldati del califfo.

La fede sciita unisce azara, iraniani e hezbollah, ma sono soprattutto i 6-700 dollari al mese di stipendio che Teheran può dare loro a spingere un profugo afghano disoccupato a rischiare la vita lontano da casa. Così, se l’Iran usa afghani sciiti contro lo Stato Islamico, l’Isis usa afghani sunniti contro le scarse probabilità di stabilizzazione di Kabul. Non è un caso se decine di azara siano stati rapiti negli ultimi mesi dai gruppi filo califfato nel sud dell’Afghanistan. Vendette, minacce e richieste di riscatto sono entrate in egual misura nelle trattative fallite per la loro liberazione. Sette di loro, tra cui due bambini, siano già stati fatti trovare decapitati appena a nord di Kandahar.

160412 AFG 1616 MGTHUMB INTERNAAl centro, Haji Zaher Qadeer comandante delle tribù anti-Isis. Con i suoi uomini ha ucciso sei simpatizzanti del califfo e ha esposto le loro teste nelle strade di Kot

L’intelligence con il nemico

Non è solo Teheran a giocare sporco pur di piegare al-Baghdadi. Anche Mosca, oltre a bombardare il califfato in Siria, scambia informazioni di intelligence con i suoi nemici talebani in Afghanistan. Solo in funzione anti Isis. E lo stesso farebbe Teheran.
«L’Isis — scrive Foreign Affairs di marzo — è una minaccia più simile a quella che emanava da Stati sponsor del terrorismo come Iran, Iraq, Libia, Unione Sovietica e Siria negli anni ’70 e ’80». I gruppi che possono approfittare dell’aiuto di uno Stato sono sempre i più pericolosi.

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