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Afghanistan, l’orchestra al femminile che sfida i talebani

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Corriere della Sera – di Viviana Mazza 31/1/2017

AfcecoDavos 300x224Intrecciano melodie orientali e occidentali, usando strumenti a corda come il rubab e il sarod accanto al flauto e al piano. Sono tutte pioniere. «Nagira è la prima violoncellista afghana, mentre Gulalai e Huma sono le prime suonatrici di sitar», spiega al Corriere della sera Negin Khpolwak. E lei è la prima donna a condurre un’orchestra tutta al femminile in Afghanistan.

L’orchestra si chiama Zohra, è formata da ventinove ragazze adolescenti, e ha concluso martedì il suo primo tour in Europa. La generazione di Negin — che compie domani vent’anni — è la prima a tentare di ricostruire la propria libertà a partire dalla musica, in un Paese dove i musicisti sono stati controllati e censurati già sotto il regime comunista, costretti all’esilio e, sotto i talebani, la loro arte è stata vietata, punita e considerata blasfema.

Dopo aver suonato al forum economico mondiale di Davos il 20 gennaio, le ragazze si sono esibite a Zurigo, a Berlino e a Ginevra, dove hanno ricevuto il premio «Freemuse». Sempre con il velo sulla testa, applaudite anche da immigrati afghani orgogliosi. «Gli afghani amano la musica — spiegava Negin al telefono da Weimar, prima di esibirsi nell’ultimo concerto del tour ieri sera —.

Prima dei talebani, c’erano cantanti donne, anche se i musicisti erano per lo più uomini». Tuttora però, nel suo Paese, molti musulmani conservatori considerano la musica contraria alla tradizione — figuriamoci se a suonare è una donna. «In Afghanistan, molte persone non sono istruite, vivono nei villaggi, non lasciano che le figlie vadano a scuola perché credono che il loro posto sia a casa. Ma anche noi siamo esseri umani, e tutti gli esseri umani devono studiare».

 

Negin viene proprio da uno di quei villaggi poveri, nella provincia nord-orientale di Kunar. «E’ da tre-quattro anni che non ci torno, perché la situazione è pericolosa», spiega. A spaventarla non sono solo i talebani, che controllano diversi distretti di Kunar; il problema è la sua stessa famiglia. «La gente sa che sono una musicista, mi hanno vista in tv e mi considerano una cattiva ragazza. Mio padre è stato l’unico a sostenermi, ma i miei zii hanno minacciato di ucciderlo. Dicono: “Come può una ragazza pashtun suonare?”. Nella nostra tribù non hanno diritto a farlo neppure gli uomini».

Il padre di Negin l’ha mandata nella capitale a soli 9 anni, perché voleva che andasse a scuola. «A Kabul, alcune famiglie lasciano studiare le figlie». È stata ospitata nell’orfanotrofio di Afceco (Afghan Child Education and Care Organization), una villa circondata da alte mura incorniciate da filo spinato e protette da guardie armate, dove alcune decine di adolescenti — rimaste senza genitori oppure provenienti da provincie lontane — vivono, studiano, suonano strumenti musicali, giocano a calcio. All’inizio Negin ha tenuto segreta ai genitori la sua nuova passione per il sarod e il pianoforte (solo di recente ha scoperto di voler fare la conduttrice d’orchestra); quando ha trovato il coraggio di parlarne, la sua stessa madre non era molto contenta (pur appoggiando gli altri suoi studi).

Ma il padre l’ha difesa, e così Negin ha cominciato a studiare all’Istituto nazionale della musica, un luogo unico in Afghanistan, aperto nel 2010 — grazie a una donazione della Banca Mondiale e all’appoggio del ministero dell’Istruzione — da Ahmed Sarmast, musicologo fuggito sotto i talebani e ritornato dall’Australia. Su 200 studenti, 65 sono ragazze; maschi e femmine di diverse etnie imparano insieme: un punto di partenza per il dialogo e la riunificazione di una società divisa dalla guerra.

La strada è ancora lunga. I genitori e i tre fratelli minori di Negin si sono dovuti trasferire a Kabul per sfuggire alle ritorsioni dei parenti. Due anni fa Sarmast è stato quasi ucciso quando un giovane kamikaze si è fatto saltare in aria durante una performance; ma dice che non ha paura: «Noi, con l’arte e la cultura, siamo la resistenza alla violenza e al terrore. Insegniamo alla gente che si può vivere nell’armonia anziché ammazzarsi a vicenda».

Uno dei pezzi preferiti di Negin è la sonatina in Do maggiore di Muzio Clementi. E l’Italia la chiama a sé: grazie a un’iniziativa lanciata dal parlamentare Nicola Ciracì, che è anche direttore del conservatorio di Lecce, potrebbe venire a studiare nel nostro Paese. Ma precisa subito che intende tornare in Afghanistan e dirigere l’orchestra nazionale. «Non intendo sposarmi. Non mi arrenderò mai».

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