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Sopravvivere alla pandemia in Afghanistan tra impunità, fragilità politica e conflitto in corso

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Blog sulla giustizia transizionale – Istituto di Criminologia di Lovanio, 27 agosto 2020

In questo articolo Huma Saeed, ricercatrice affiliata all’Istituto di Criminologia di Lovanio, spiega come in Afghanistan la costante impunità dovuta all’assenza di sforzi per avviare un processo di giustizia transizionale, insieme a una situazione politica instabile e una condizione di sicurezza precaria, abbia vanificato gli sforzi per affrontare la pandemia di Covid-19

covid19 672x372La pandemia di Covid-19 ha colpito l’Afghanistan come tanti altri Paesi. Tuttavia, a differenza dei Paesi dove (apparentemente) regnano la legge e l’ordine, l’Afghanistan si è trovato ad affrontare la pandemia nel mezzo di un conflitto, con i negoziati di pace con i talebani in corso, un governo diviso e debole, una cultura radicata dell’impunità e della corruzione endemica. In queste circostanze, coloro che hanno in mano il potere sono riusciti a requisire per se stessi la maggior parte delle risorse (attrezzature di protezione o test) destinate a fronteggiare la pandemia del Covid-19 e hanno colto l’occasione per pescare nel torbido, impegnandosi a fondo nella corruzione, mentre la maggioranza della popolazione povera e indigente si è vista costretta ad affidare il proprio destino alla volontà di Dio.

 

Nel febbraio 2020 l’Iran è stato uno dei primi Paesi colpiti dalla pandemia. L’Iran confina con l’Afghanistan occidentale e ospita quasi 3 milioni di afghani, regolari e non. Sotto la pressione del governo iraniano o volontariamente, nel solo mese di aprile oltre 100.000 afghani sono tornati dall’Iran, principalmente attraverso il confine occidentale della provincia di Herat. Quest’area è divenuta l’epicentro della pandemia, che si è poi diffusa a Kabul e in altre grandi città. Secondo le ultime statistiche fornite dal Ministero della Salute Pubblica (MoPH), oltre 37.000 sono i casi confermati e 1.300 i morti attribuibili a Covid-19. Il MoPH ha ribadito che i numeri effettivi sono probabilmente molto più alti, considerando le limitate capacità di analisi (in tutto il Paese ci sono solo 11 laboratori per testare il Covid-19) e la scarsa segnalazione di casi di morte legati a Covid-19 dovuta alla preoccupazione di essere stigmatizzati. Un sondaggio nazionale pubblicato il 5 agosto 2020 ha indicato che un terzo della popolazione (circa 10 milioni di persone) potrebbe essere entrato in contatto con il virus, compreso il 55% degli abitanti di Kabul. Al momento è in corso un’indagine sul numero dei deceduti. Tuttavia, è probabile che il numero dei deceduti sia relativamente basso, grazie al fatto che la popolazione del Paese è per la maggior parte giovane (dei 33 milioni di abitanti dell’Afghanistan il 47% ha meno di 15 anni).

La pandemia ha colto di sorpresa il mondo intero, e ci siamo domandati per quale ragione tutte le innovazioni tecnologiche e scientifiche non siano state in grado di prepararci per far fronte alla minaccia di un minuscolo nemico invisibile. L’Afghanistan si è trovato in una situazione molto difficile fin dall’inizio, non tanto a causa di una situazione inaspettata, quanto per il fatto che la diffusione della pandemia è stata relativamente lenta rispetto a molti altri Paesi, e in particolar modo a causa di una situazione politica fragile, dei conflitti in corso e soprattutto della corruzione.

Durante la pandemia, mentre molti Paesi come l’Italia si sono concentrati soprattutto sull’adozione di misure per il contenimento del virus, la leadership dell’Afghanistan è stata impegnata a negoziare la condivisione del potere dopo le controverse elezioni presidenziali del 2019. Ci sono voluti più di sei mesi prima che l’impasse politica fosse apparentemente risolta dopo che la comunità internazionale (e in particolare gli Stati Uniti), ha minacciato di non voler garantire più alcun sostegno finanziario. Questo stallo politico ha distolto l’attenzione dalle misure necessarie al contenimento del virus. Mentre la leadership era impegnata nella sua lotta per il potere, il personale medico è stato tra i primi contrarre l’infezione e a morire di Covid-19 per la mancanza di accesso ai dispositivi di protezione essenziali. Il capo dell’ospedale afghano-giapponese (l’ospedale più importante per il trattamento di Covid-19) in un messaggio video pubblicato sui social media il 7 maggio 2020 ha criticato la leadership del Paese dopo la morte di tre medici nel suo ospedale. Sono morti perché l’ospedale non era in grado di fornire un respiratore al proprio personale medico. Sebbene l’ospedale possedesse dieci ventilatori, il personale non sapeva come utilizzarli. Nel video, il direttore dell’ospedale afghano-giapponese ha definito uno scandalo il fatto che, dopo 20 anni di aiuti internazionali per centinaia di milioni, il personale non fosse in grado di utilizzare un ventilatore. Ci sono numerose storie di individui che hanno dovuto attraversare un calvario prima di poter essere sottoposti al test e in alcuni casi i risultati sono arrivati solo dopo la guarigione o la morte del paziente. Solo coloro che occupano posizioni di potere e le loro famiglie sono stati sottoposti al test secondo le procedure standard. Ci sono stati casi in cui il personale medico ha respinto i pazienti perché temeva il contagio a causa della mancanza di misure di protezione di base. In un caso, i parenti di un paziente hanno aggredito il personale medico dopo il decesso del paziente a causa del virus.

Il conflitto in corso, unito alla pandemia, ha causato un ulteriore e grave impatto negativo sulla fornitura di servizi al settore sanitario. Secondo un rapporto della Commissione indipendente dei diritti umani dell’Afghanistan, nella prima metà del 2020 ogni giorno c’è stata una media di 16 civili uccisi o feriti. Gli insorti hanno volutamente preso di mira le strutture sanitarie. Il 12 maggio 2020, degli uomini armati hanno attaccato un ospedale di maternità a Kabul, uccidendo 24 persone e ferendone almeno 20, tra cui donne partorienti e neonati. Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha espresso profonda preoccupazione per il picco di violenze e gli attacchi mirati contro le strutture sanitarie in tempi di pandemia. I talebani sono i maggiori responsabili di questi attacchi. Nel febbraio 2020, dopo una serie di negoziati bilaterali, il governo statunitense e i talebani hanno firmato un accordo di pace. A questo è seguito un colloquio inter-afghano tra il governo e i talebani per porre fine al conflitto. Ad oggi, però, i negoziati inter-afghani non sono ancora iniziati e gli attacchi dei talebani continuano ogni giorno. La violenza, unita a un’alta percentuale di personale medico risultato positivo al Covid-19 (per esempio 60% a Herat), ha esercitato una pressione senza precedenti su un sistema sanitario già sovraccarico e sottodimensionato.

Anche la corruzione endemica in Afghanistan ha avuto un impatto sulle risposte alla pandemia di Covid-19. In seguito alla diffusione della pandemia, la comunità internazionale ha fornito centinaia di milioni di euro di sostegno finanziario per consentire al Paese di affrontare la crisi. Tuttavia, i media locali hanno riportato numerosi casi di corruzione che hanno coinvolto alti funzionari, tra cui l’ex ministro della Sanità pubblica, Ferozudin Feroz, che è stato costretto a dimettersi all’indomani dello scandalo; il Parlamento gli ha recentemente vietato di lasciare il Paese, perché è in corso un’indagine. In un’altra occasione, quando il Comune di Kabul ha deciso di distribuire attraverso i panifici il pane a chi ne aveva bisogno nel periodo di rigorosa quarantena, il “Daily 8” ha riferito che più di 9 milioni di euro (oltre 800 milioni di afghani) sono stati sottratti dalle autorità del Comune di Kabul, dall’Unione per l’approvvigionamento alimentare e dai panifici. I media hanno reso note anche denunce di corruzione durante la distribuzione del pane nella città di Herat. In un caso, un media locale ha rivelato che erano stati rubati 32 ventilatori e rivenduti in Pakistan a un prezzo maggiorato. Mentre il governo continua a promettere di indagare e di perseguire i responsabili, finora nessuno è stato arrestato e processato.

Questa situazione di fragilità politica, corruzione e impunità può, ancora una volta, essere collegata alla lunga incapacità dell’Afghanistan di avviare un processo di giustizia transizionale. Come risultato, gli autori delle passate violazioni dei diritti umani non sono stati incriminati ma messi in grado di legittimare e consolidare il loro potere in seguito alla caduta del regime talebano, nonché di arricchire se stessi, le loro famiglie e i loro stretti collaboratori attraverso la corruzione, l’appropriazione indebita e l’accaparramento di terreni. Eppure questi personaggi continuano a chiedere privilegi e diritti, come è successo durante le trattative per la condivisione del potere all’indomani delle elezioni presidenziali. Per esempio, il presidente Ghani ha recentemente onorato il generale Rashid Dostum, noto signore della guerra e criminale, con una promozione a maresciallo come parte di un accordo politico con Abdullah Abdullah, ex capo dell’esecutivo afghano (2014-2019) e suo rivale alle elezioni presidenziali. Ognuno di questi gesti è considerato un insulto a milioni di vittime di guerra, che per la quarta o quinta volta vengono rivittimizzati da una pandemia che ricorda loro i violenti conflitti che hanno vissuto di persona. Quando gli afghani, di cui oltre il 50% vive al di sotto della soglia di povertà, hanno assistito alla risposta alla pandemia da parte dei loro cosiddetti leader hanno ricordato il famoso proverbio afghano: “La capra è preoccupata per la sua vita, mentre il macellaio è preoccupato per la sua parte di grasso”. Trovandosi in una situazione di morte per fame o per Covid-19, molti afghani si sono resi conto di essere soli nella lotta contro la pandemia e hanno dovuto prendere ogni misura per proteggersi, questa volta da un nemico invisibile.

* La dottoressa Huma Saeed è consulente e ricercatrice affiliata presso l’Istituto di Criminologia di Lovanio (Università di Lovanio). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Criminologia presso l’Università di Lovanio ed è interessata alle questioni della giustizia transizionale, al danno socio-economico e alla criminalità economica di Stato. È afghana e sostiene con forza gli approcci dal basso e determinati dal popolo in contesti di conflitto e post-conflitto

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