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USA – Afghanistan: la lunga mano della corruzione del Pentagono

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Ora Zero – 22 agosto 2020, di Alessia C.F. (ALKA) 

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Trump ha sempre ribadito la necessità di lasciare l’Afghanistan il prima possibile. Nonostante ciò, il Pentagono, la CIA e le organizzazioni industriali sono favorevoli alla permanenza delle forze militari in questo Paese.

Dietro agli aiuti finanziari verso l’Afghanistan c’è un mondo di corruzione. In quasi 20 anni Washington ha stanziato, tra NATO e la presenza militare americana nel Paese, circa 130 miliardi di dollari.

 

Secondo undefined non tutti questi soldi sono stati spesi per le necessità del Paese. Si è scoperto che una parte significativa di questi “aiuti” è stata intascata dagli americani corrotti. Numerosi sono i rapporti dell’Ispettore generale speciale americano per la ricostruzione dell’Afghanistan John F. Sopko.

USAID sarebbe l’attore principale. Ma comunque sono tanti i funzionari americani che hanno contratti vantaggiosi, montagne di denaro trasferito e poi acquisito attraverso meccanismi complessi. Sistemi di contrattazione multilivello con la partecipazione locale di appaltatori e subappaltatori che svolgono un ruolo importante nella distribuzione degli aiuti finanziari in Afghanistan. L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) è utilizzata principalmente per “deviare” gli aiuti in Afghanistan.

Circa il 50% del denaro che passa attraverso queste istituzioni va a chi è corrotto. Il 90-95% del budget stanziato per il programma di miglioramento della situazione delle donne nelle province di Bedahşan verrebbe intascato da persone corrotte. Le risorse vengono trasferite all’organizzazione afghana competente nell’ambito dello schema standard di USAID. Questa organizzazione ha precedentemente approvato i costi gonfiati al Ministero delle Finanze afghano. In conformità con il contratto, la metà dell’importo totale viene trasferita alle persone associate all’USAID attraverso un flusso di cassa in uscita, in questo modo gli aiuti della Banca Mondiale e del FMI vengono probabilmente “dirottati”.

Anche il volume degli aiuti finanziari americani porta a grossi interrogativi, qua John Sopko ha sottolineato che l’entità dell’aiuto effettuato (nel rapporto che ha presentato al Congresso USA nel febbraio 2020) ha superato il potenziale dell’economia afghana. Il volume delle risorse stanziate corrisponde al 15-45% del PIL dell’Afghanistan. Allo stesso tempo, le sovvenzioni degli Stati Uniti in Afghanistan nel 2007 e nel 2010 sono superiori all’intero PIL del Paese.

Sembra che i tentativi dei politici americani di ridurre le spese per l’Afghanistan siano ostacolati dai soldati che traggono un guadagno personale da questi aiuti e anche dagli appaltatori che operano in questo campo. A marzo 2020 Mike Pompeo annunciò che avrebbe tagliato un miliardo di dollari in aiuti a Kabul, ma è rimasta lettera morta.

Si sono interessati anche i senatori DEM che hanno chiesto al segretario alla Difesa statunitense Mark Esper i documenti che dimostrano le spese e la loro riduzione. A oggi non è stato presentato loro alcun documento. È chiaro che il Pentagono non vuole staccarsi da questa miniera.

L’industria della difesa americana nutre interesse nelle risorse destinate all’Afghanistan. Le vendite e le forniture alle truppe statunitensi e della NATO nel Paese, così come alle forze di sicurezza afghane, sono spesso effettuate a prezzi gonfiati economicamente non realistici, in linea con gli interessi dei produttori americani. Gli Stati Uniti stanno fornendo assistenza finanziaria alle forze di sicurezza afghane, non attraverso organizzazioni internazionali, ma attraverso le proprie istituzioni per eludere i controlli.

Gli appaltatori americani approfittano dei progetti civili allo stesso modo: offrono beni e servizi a prezzi gonfiati attraverso USAID. Le attività di lobbying per la fornitura di prodotti petroliferi, l’equipaggiamento dell’esercito afghano e delle forze NATO nel Paese, la fornitura di attrezzature tecniche, queste sono gestite dai membri del Congresso americano. In cambio hanno ottenuto posti nei consigli di amministrazione delle relative società. I maggiori funzionari mandano molti “interessati” in Afghanistan, sonori stipendi da 30-40.000 dollari al mese.

Il Piano Marshall afgano nonostante le dimensioni astronomiche, arricchisce tanti soggetti ma non si osservano effetti positivi e nemmeno i risultati concreti. ALKA

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