Skip to main content

Pandemia o normalità?

|

 Cisda – 24 giugno 2020

PAN Ventilators Smuggle EN“Intorno alle nostre abitazioni, a Kabul, sappiamo che ci sono persone infette in ogni casa. In ogni strada quasi ogni 24 ore ci arriva notizia di qualche vicino che muore. Niente statistiche, niente dati ufficiali: non sappiamo a che punto siamo. Di solito quando ci ammaliamo l’unica possibilità è andare a curarci in Pakistan, ma ora anche lì la situazione sembra non sia molto diversa”.

Queste le laconiche informazioni che ci arrivano da fonti estremamente attendibili e accurate: le attiviste di Rawa, impegnate come sempre in prima linea nelle città e nei villaggi di tutto l’Afghanistan.

I dati dell’OMS e di altre organizzazioni internazionali danno, al 24 giugno, 29.481 contagiati, con 9260 guariti e 618 morti: cifre evidentemente inattendibili.

Ma l’Unione Europea (https://eeas.europa.eu/) si è accorta della gravità della pandemia in Afghanistan tanto da stanziare, già all’inizio di aprile, ben 117 milioni dei 20 miliardi resi disponibili per i paesi terzi (esterni all’Unione) sotto forma di pacchetti di aiuti per la risposta globale alla crisi sanitaria. L’obiettivo sarebbe quello di affrontare la pandemia e il suo impatto socio-economico. 50 milioni sono destinati, in modo specifico, a rafforzare il sistema sanitario con risorse materiali e umane, test, attrezzature per il trattamento, sia per far fronte all’emergenza, sia per garantire contemporaneamente i servizi essenziali materno-infantili.

Cosa accade tuttavia oggi, a fine giugno, sul terreno, nella capitale? Ancora la nostra fonte:

“Per due notti nessun ospedale ha accettato la mamma della nostra amica: è tutto pieno, ovunque, e il personale sanitario non ha alcun dispositivo di protezione. Per questo  i sanitari non osano avvicinarsi ai pazienti sospetti di coronavirus e non li aiutano in alcun modo. Medicine, ossigeno, non sono disponibili, e i familiari debbono procurarseli e portarli. Negli ospedali è il caos. Meglio appoggiarsi alle cure che ognuno può procurarsi da solo o morire, ma non andare mai in un ospedale pubblico. Milioni sono contagiati e tantissime famiglie stanno perdendo i propri anziani. Anche la mamma della nostra amica non ce l’ha fatta.”

Ma dove sono finiti allora i fondi stanziati dalla UE? E gli altri aiuti, arrivati a vario titolo da altri paesi donatori?

Un articolo del 22 giugno dell’agenzia indipendente Pajhwok Afghan News (https://www.pajhwok.com) documenta in modo meticoloso  una vicenda esemplare di corruzione e contrabbando di attrezzature mediche essenziali: 32 respiratori donati all’Afghanistan, al Ministero della Sanità, sono stati contrabbandati in Pakistan. Costano 600.000 dollari. Foto e registrazioni li mostrano a Peshawar e documentano le trattative per il loro eventuale acquisto e rientro in Afghanistan. Il Ministro della Sanità, interpellato, ha promesso un’inchiesta.

Il Ministero della Sanità ha affermato anche che esistono nel paese 336 attrezzature per ossigenare i pazienti ma che servono più respiratori, e che possiede una lista di quelli donati dai diversi Paesi. Ma la lista non è resa pubblica, mentre un coro di responsabili dai vari ospedali su tutto il territorio ne lamenta la gravissima carenza nelle proprie strutture e la necessità di personale qualificato per il loro utilizzo.

L’articolo documenta anche manifestazioni di protesta di attivisti locali per richiedere queste attrezzature, che evidentemente agli utenti appaiono, piuttosto, completamente assenti. Mentre lo stesso Afghanistan Medical Council, dopo aver monitorato gli ospedali di Kabul per due settimane, conferma che la maggioranza dei pazienti morti in ospedale periscono per mancanza di ossigeno. Affermazione “energicamente respinta” dal portavoce del ministero, secondo cui i pazienti invece muoiono per colpa loro, poiché non rispettano le linee-guida loro indicate quando evacuati dall’ospedale perché le loro condizioni sono peggiorate. Dichiarazione che non ha bisogno di commenti.

Un pubblico ufficiale, fonte riservata dell’agenzia, sostiene invece che la consegna delle attrezzature acquistate all’estero viene deliberatamente rimandata a causa della corruzione, nell’attesa che i prezzi della merce salgano alle stelle. Il costo di un respiratore ruotava inizialmente sui 7.500 dollari, ma “una cerchia intorno al palazzo presidenziale” insiste ad acquistarli al prezzo di 50.000 dollari. E viene fatto anche qualche nome: “Shakir Kargar, capo dello staff del presidente, vuole comprare un macchinario per 25.000 dollari dalla Turchia”. Interpellato dalla redazione di Pajhwok, l’interessato non risponde.

L’articolo documenta anche altri acquisti governativi, da parte del NPA (National Procurement Authority) e segnala “costi addizionali” di 1,3 milioni di dollari, nonché spese per mascherine e materiali di consumo che però nessuno sembra avere visto sul campo.

Come sottolineano i commenti dei lettori di Pajhwok , la corruzione così ben documentata non è però una notizia, è la normalità.

Una corruzione endemica in tutta l’area, che rende ormai inutile anche il ricorso al Pakistan, tradizionale valvola di salvataggio per i pazienti con mezzi economici sufficienti a tentare le cure all’estero. Il Guardian (https://www.theguardian.com) documenta infatti una catastrofe sanitaria anche lì: ospedali strapieni, medici e infermieri che muoiono, contagio che esplode a tassi inimmaginabili. E su tutto questo, speculazione sul sangue dei pazienti sopravvissuti: un mercato nero dove il plasma viene venduto a 3000 dollari circa a chi è disperatamente alla ricerca di una cura, nel paese stesso  e all’estero. Anche le forniture essenziali, ad esempio le bombole di ossigeno, vengono rubate dagli ospedali e rivendute al mercato nero a un prezzo 25 volte più alto.

Il contagio è talmente fuori controllo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto al governo del Pakistan di imporre misure di distanziamento. Al contrario, il governo minimizza la pandemia ma ne lamenta i costi sanitari, mentre il personale sanitario è abbandonato, colpevolizzato per la morte dei pazienti, ed esposto ad aggressioni fisiche da familiari accecati dalla disinformazione e dalla propaganda.

In questo quadro più che fosco, l’Italia conferma la propria spesa militare https://www.ilfattoquotidiano.it

anche in Afghanistan, mantenendo lì il proprio contingente di circa 700 uomini. Tra i contagiati, per fortuna non gravi, oggi anche 4 militari italiani di stanza a Herat (https://www.ansa.it, nell’ambito della missione Nato Resolute Support, tesa a “garantire l’assistenza, la consulenza e l’addestramento alle Forze di sicurezza afghane”.

Sarebbe piuttosto interessante capire che senso abbia addestrare – a spese nostre – le forze militari di un governo imposto con la connivenza degli Usa nell’impossibilità di elezioni democratiche, la cui comprovata strutturale corruzione in ogni sua articolazione è impossibile non riconoscere, mentre tra attentati quotidiani, scontri armati e trattative, esso si appresta a spartire il controllo del paese con i talebani che hanno firmato accordi di “pace” con le truppe occupanti. Mentre i nostri governi e le istituzioni europee si ostinano a ignorare le forze democratiche, ben attive e radicate in Afghanistan, che sole potrebbero gestire una transizione alla pace e alla sicurezza, per la loro popolazione e per noi comunità internazionale coinvolta dalla pandemia e dall’insicurezza globale.

La crisi senza precedenti, sanitaria, ambientale, economico-sociale, politica, mette a nudo in modo drammatico la pericolosità di un sistema di dominio internazionale, di complicità e mancanza di democrazia e controllo da parte della maggioranza degli abitanti del pianeta sulle questioni vitali. Anche la nostra presunta democrazia sembra infinitamente inconsistente e inetta ad affrontare le sfide. Anche noi, espressione di una voce dal basso che non trova canali adeguati per farsi sentire, al pari delle nostre compagne e compagni democratici afghani, abbiamo bisogno di aprire gli occhi e allargare lo sguardo per individuare insieme il prossimo passo e non accontentarci di un micidiale ritorno alla “normalità”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *