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Malalai Joya e l’Afghanistan

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scritto da S.

“By the permission of the esteemed attendees, and by the name of God and the colored-shroud martyrs of the path of freedom, I would like to speak for a couple of minutes”. Diciassette Dicembre 2003, Loya Jirga, Kabul. Malalai Joya, dalla provincia di Farah, tiene un discorso di tre minuti, così concesso dal capo dell’assemblea, nel quale denuncia pubblicamente i “Warlords”, i Signori della Guerra, responsabili delle atrocità commesse in Afghanistan e del continuo impoverimento del paese, lì presenti, alla Loya Jirga come “esponenti politici” del nuovo governo democratico in Afghanistan. Viene allontanata dall’Assemblea, definita comunista e infedele. Da quel giorno rischia la vita, con continue minacce di morte e attentati.

Nel corso degli anni, soprattutto a partire dal 2001 successivamente all’attacco alle Twin Towers, abbiamo osservato la mobilitazione di un numero elevato di contingenti militari provenienti dagli U.S.A, iniziata sotto l’amministrazione Bush e successivamente dai vari paesi NATO. Nonostante tra gli obiettivi ufficiali ci fossero anche quelli di stabilizzare il paese, di ridurre le ingiustizie e di eliminare i fondamentalisti armati, la situazione non può dirsi di certo migliorata: dall’inizio del conflitto è stimato che i civili uccisi potrebbero arrivare anche a 35.000, senza contare che essi sono le maggiori vittime dei bombardamenti e dei raid aerei delle forze NATO.

 

Secondo l’ultimo report del 27 Febbraio 2018 di UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) nel 2017 gli attacchi aerei sono aumentati del 67.7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le uccisioni “mirate” e i rapimenti del 6% mentre gli attacchi suicidi del 50%. Si conta anche che il 30% delle vittime durante il 2017 fossero bambini. La giustizia e il risarcimento per le donne sono rimasti risibili in mezzo alla continua prevalenza di violenza contro di esse. Il paese è al quarto posto al mondo per corruzione e uno dei peggiori per l’istruzione femminile. L’Afghanistan continua ad essere soggetto ad ingiustizie e violenze.

È il 17 Aprile 2018,nell’aula magna di una scuola in Italia, Malalai presenta “Immigration is not a crime”- “L’immigrazione non è un crimine” a noi studenti dell’istituto, un titolo pienamente azzeccato se si pensa al periodo storico in cui viviamo. Durante l’incontro veniamo a conoscenza della situazione dell’Afghanistan, della guerra, della povertà, dell’immigrazione ma anche della sua vita rendendoci partecipi di qualcosa che spesso ci sembra lontano ma che in realtà è molto più vicino di quanto pensiamo, complici spesso i media a caccia delle notizie “nuove” e che fanno più scandalo, che lasciano una vera e propria zona d’ombra su molti degli avvenimenti nel mondo che invece dovrebbero essere conosciuti per capire meglio ciò che ci circonda. Ci troviamo di fronte a una donna che combatte tutti i giorni perché il suo paese possa avere un sistema politico senza corruzione, a sostegno della popolazione afghana che cerca in tutti i modi di risollevarsi dalla continua guerra e dalle ingiustizie perpetrate attraverso gli anni. Alla ricerca di eguali e giusti diritti e di una giustizia che possa portare pace alle vittime e condannare chi non ha fatto altro che fomentare odio e violenza in un paese che chiede di essere ascoltato da noi.

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