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“La nostra linea è la legittima autodifesa”

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Erdal Er, Rete Kurdistan, parte 1 e 2 – 29 luglio 2019

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Pubblichiamo la riduzione redazionale dell’intervista, pubblicata sul quotidiano “Yeni Özgür Politika”, del giornalista Erdal Er  al comandante generale delle Forze democratiche della Siria (FDS), Mazlum Abdi, che si esprime sulle minacce della Turchia di dare avvio a un’offensiva a est dell’Eufrate,  parla della relazione con il regime siriano e della presenza delle potenze internazionali nella Regione. 

Com’è la situazione al confine?
La Turchia ha concentrato sul confine un numero consistente di truppe e costruito fortificazioni, ma anche noi abbiamo concentrato le nostre truppe. Questa situazione prepara il terreno a provocazioni; ogni errore, ogni scintilla può scatenare un incendio.

Lei si aspetta un attacco?

La situazione a est dell’Eufrate è diversa da Efrîn. Noi non permetteremo che si ripeta quello che è successo a Efrîn. Allora prendemmo una decisione strategica, per  evitare che la guerra si allargasse. Ma non sarà così a est dell’Eufrate. Se la Turchia attacca, non importa dove, si arriverà a una grande guerra.

Cosa intende con “grande guerra”?
Se veniamo attaccati, ne risulta una zona di guerra larga 600 chilometri. Questo significa l’inizio di un’altra guerra in Siria.

Quale strategia segue la Turchia?
La strategia turca è di prendere Girê Spî e Kobanê e tenerle. Ma se la Turchia attacca in qualche modo, la guerra durerà fino a quando non si sarà ritirata.

Cosa dicono gli USA in proposito?
Tra noi e gli USA c’è un’alleanza per combattere Stato Islamico (IS). Al momento la guerra è in corso a Deir ez-Zor e Raqqa. Se la Turchia ci dovesse attaccare, le Unità di Difesa del Popolo (YPG), come parte delle FDS, si ritirerebbero da lì e si fermerebbe la guerra contro l’IS. Gli USA non vogliono questo, né la coalizione, composta da 73 Stati, vuole che questa collaborazione subisca danni. E’ una questione internazionale, per questo la Turchia viene messa sotto pressione. A Efrîn non c’era una cosa del genere.

Che tipo di pressione hanno costruito gli USA?
Lavorano a livello diplomatico ed esercitano pressione, vogliono evitare una guerra incontrollata. Il Pentagono, lo stato maggiore e il Ministero degli Esteri hanno parlato con i loro omologhi turchi.

Lei tempo fa ha dichiarato che gli USA medierebbero tra la Turchia e il Rojava. Questo processo continua, a che punto si trovano i colloqui su una “zona cuscinetto”?
Erdoğan nel 2018 ha detto: “Noi abbiamo concluso i nostri preparativi e inizieremo un’operazione a est dell’Eufrate”. Noi non vogliamo una nuova grande guerra,  per questo vogliamo che i nostri alleati  parlino con loro. La nostra proposta è stata che se ne facesse carico l’incaricato speciale per la Siria James Jeffrey.  Così è iniziato il processo ed è andato avanti.

Poi è andato oltre “la zona cuscinetto”?
In una telefonata tra Erdoğan e Trump è venuta fuori l’idea di una “zona cuscinetto“. Anche noi come FDS abbiamo preparato il nostro progetto, assolutamente accettabile, e lo abbiamo fatto pervenire agli USA.

Cosa vuole la Turchia, e cosa volete voi?
La Turchia vuole una “zona di sicurezza“ di 30 chilometri. Noi diciamo che devono essere cinque chilometri, dove dovrebbero essere posizionate forze locali.

Cosa intende per “forze locali”?
Intendiamo la gente di Kobanê, di Serêkaniyê, di Qamişlo, di Girê Spî… Inoltre possiamo ritirare le armi pesanti fino alla zona di contatto con la Turchia. E la gestione deve essere passata alla popolazione locale.

È per questo che sono stati proclamati i consigli militari nella Siria del nord e dell’est?
Sì, non vengono guidati centralmente. I consigli militari locali si gestiscono da sé. La proclamazione dei consigli militari rappresenta un sostegno al progetto.

Cosa volete in cambio dalla Turchia?
Che garantisca di non attaccare. Che una potenza internazionale si faccia carico della sorveglianza della zona cuscinetto. Quindi la Coalizione o un’altra forza.

In quali condizioni accettereste la presenza di soldati turchi?
Noi abbiamo consentito in modo condizionato che soldati turchi siano parte delle pattuglie.

Cosa significa “condizionato“?
Vogliamo che tutte le persone di Efrîn possano tornare, che spariscano le bande armate, che siano restituite alla popolazione le proprietà rubate, che portino via i loro coloni. Tutto questo deve avvenire con la garanzia delle potenze internazionali e sotto il controllo del Consiglio di Efrîn. Se succede questo, allora come gesto di buona volontà, soldati turchi potranno partecipare alle pattuglie.

Anche il ritiro delle truppe turche da Efrîn è parte di queste condizioni?
No, di questo non abbiamo parlato. Non abbiamo posto il ritiro dei soldati turchi come condizione. Questo è un problema successivo.

Qual è stata la risposta della Turchia?
Il loro interlocutore sono gli USA. Per quanto ne so, finora non ci sono sviluppi. La palla è nel campo della Turchia, non nostro..

La Turchia attacca il Kurdistan del sud, concentra truppe sul confine con il Rojava e tratta con gli USA. Abdullah Öcalan ha di nuovo ricordato la strategia della terza via, le sensibilità della Turchia e proposto una soluzione con il governo siriano. Lei cosa deduce dal messaggio di Öcalan?
In primo luogo bisogna constatare che in Siria, come anche in Turchia, come ha detto Öcalan, esiste una situazione completamente nuova.
Lo Stato turco all’inizio della guerra in Siria aveva una strategia chiara, che secondo noi è fallita. Anche Efrîn non può essere considerata un successo. La Turchia voleva dominare la regione attraverso i suoi gruppi proxy entro il 2011, ma non ci è riuscita. Dal 2012 al 2013 l’ESL ci ha attaccati militarmente, ma noi siamo diventati più forti e abbiamo scacciato l’ESL. Negli anni dal 2013 al 2014 c’è stato un attacco ampio da parte di al-Nusra/al-Qaida.che si è esteso da Dêrik fino a Efrîn, ma noi abbiamo respinto tutti gli attacchii. Per ultimo contro di noi è stato messo in campo IS a Kobanê per sottometterci. Noi, insieme ai nostri alleati internazionali abbiamo scacciato IS e siamo avanzati oltre Deir ez-Zor. Questa è una sconfitta per la Turchia.

Ma è entrata a Efrîn ed è ancora lì…
Anche l’ingresso a Efrîn non rappresenta un successo. Il suo insuccesso è che resta limitato a Efrîn, e ciò per loro rappresenta un grande pericolo, perché quando vogliamo possiamo iniziare una grande offensiva e riprendere Efrîn, ne abbiamo la forza. Un’offensiva del genere da Efrîn fino a Dêrik non gliela permettono né le forze internazionali, nè noi. Questo è un vicolo cieco.

Öcalan come vuole superare questa situazione ingarbugliata?
Secondo me la Turchia ha bisogno del Presidente Apo, che ha detto “Questa situazione posso risolverla solo io, io posso svolgere un ruolo positivo” non riferendosi solo alla Siria ma anche alla Turchia. Anche noi la vediamo così. Se si volesse risolvere la situazione con l’aiuto degli USA, come vorrebbe la Turchia, a mio avviso sarebbe risolta subito. Noi lo abbiamo detto, ci sono state discussioni in proposito. Il Presidente Apo rispetto a una soluzione ha parlato di “sensibilità” della Turchia. La dichiarazione delle FDS di non usare violenza nei confronti della Turchia sostiene questi sforzi di soluzione, che riteniamo positivi, e lo abbiamo anche dichiarato.

Lei quindi per “sensibilità“, intende che non deve esserci un attacco alla Turchia?
Si, questo da un lato, ma si tratta anche del fatto di perseguire una soluzione attraverso il dialogo. Noi la vediamo così: il problema con la Turchia deve essere risolto al tavolo dei negoziati con concessioni reciproche per via diplomatica.

Come valuta il messaggio di Öcalan rispetto a Damasco e agli USA?
Il progetto del precursore Apo non contraddice il nostro, da anni sosteniamo la stessa cosa. Questo per noi è il lato positivo. Da due anni abbiamo due richieste per la Siria: in primo luogo sosteniamo una soluzione nel dialogo con il governo centrale siriano con la salvaguardia dell’unità territoriale della Siria, in secondo luogo l’esistenza delle FDS come struttura autonoma. Questa nostra seconda richiesta fondamentale. Il Presidente Apo ha sottolineato entrambe le cose. Sia la struttura militare, sia quella politica lo devono accettare, altrimenti si arriverà a dei massacri.

Voi come FDS accettereste un’integrazione nell’esercito siriano?È nel nostro documento fondativo: noi ci consideriamo parte dell’esercito siriano. Noi abbiamo la responsabilità militare e quella della sicurezza sui territori nei quali ci troviamo. Il governo centrale deve accettarlo.

Ci sono stati colloqui diretti tra voi e Öcalan?
No, una cosa del genere non c’è stata. Apo ha detto: “Questo non è un accordo, questi non sono negoziati, neanche un dialogo”. Ci sono sforzi, si continua così.

La presenza degli USA rappresenta un problema per la soluzione dei problemi con Damasco?
Il problema è tra noi e Damasco, gli USA in questo non hanno un ruolo. Noi alla fine risolveremo il problema con la Siria, non stiamo costruendo uno Stato indipendente. Gli statunitensi dicono che il regime siriano non ha interesse per una soluzione, e in questo c’è del vero. Fin dal 2011 non abbiamo interrotto le nostre relazioni con la Siria, viviamo insieme, ma finora non siamo stati in grado di arrivare a una soluzione. Se dalla Siria parte un passo positivo, noi reagiremo.

Quindi lei può dire che l’iniziativa in questo senso sta completamente a voi?
Si, senza dubbio è così.

Cosa dice Damasco in proposito?
Ad oggi Damasco non è pronta per alcuna soluzione, vogliono un accordo sulla base di una sottomissione alla loro autorità statale. Anche in Turchia la situazione è simile. Pensano: “Noi vi diamo un’amnistia e cancelliamo tutto quello che avete fatto finora”. Vogliono ripristinare l’autorità dello Stato. Noi abbiamo parlato anche con Damasco. La nostra situazione è molto diversa da quella nelle altre parti della Siria, dove ci sono stati accordi a Dara, Hama, Homs e a ovest di Deir ez-Zor.

Perché la vostra situazione è diversa?
È diversa perché noi non abbiamo combattuto contro Damasco, non siamo stati sconfitti, quindi possiamo fare la pace. Abbiamo un problema nazionale che deve essere risolto. L’esercito siriano è entrato negli altri territori e ha eseguito operazioni, le altre forze sono state sconfitte. Poi hanno detto “Ok, lo Stato è potente, troviamo un accordo”.

Quindi come sarà?
Il regime deve accettare che la situazione non cambierà, deve capire che non ha la forza di cambiare qualcosa. Il regime non è in grado né politicamente, né economicamente o militarmente di escluderci. Se il regime comprende questo, il suo atteggiamento cambierà. Qui non è come in Kurdistan del sud. La Siria non può esistere senza la Siria del nord e dell’est, fallirebbe. Il Kurdistan del sud non rappresentava un grosso ostacolo per Saddam, del Kurdistan del sud si poteva fare a meno. In Siria non è così: l’economia siriana è al punto zero, la vera forza sta nella nostra regione. Se lo Stato siriano non sfrutta le nostre potenzialità non può avere successo.

La presenza degli USA non diventa un ostacolo?
Al contrario. La presenza degli USA non è impostata per il lungo termine. Non c’è un accordo internazionale. Finora la loro presenza è stata rivolta alla lotta contro IS ed è così che continuerà. Fino a quando esisterà IS questa collaborazione continuerà.

Il regime siriano deve capire che questa questione non può essere risolta con la violenza. Dicono: “Quando gli USA hanno annunciato il loro ritiro, l’amministrazione della Siria del nord e dell’est è venuta da noi e ha chiesto aiuto”. Questo non è vero, è stato il regime a venire da noi dicendo: “Gli USA vanno via, la Turchia non deve entrare. Non sarà come a Efrîn – veniamo e ne parliamo”. Anche la Russia si è fatta vedere e si è arrivati a un dialogo, ma questo dialogo è nato per loro desiderio. La presenza attuale delle forze internazionali è utile fino a quando non ci sarà una soluzione politica e un accordo con Damasco.

Avete avuto incontri con Assad?
I nostri colloqui con il regime continuano; se avessimo deciso di fare la cosiddetta opposizione, allora il regime oggi non esisterebbe più.

A Idlib per il regime non sta andando bene. Lei cosa direbbe se Damasco arrivasse e chiedesse una partecipazione alla sua azione lì?
La guerra intorno a Idlib è molto più un conflitto interno siriano. Lì ci sono molti partiti. Questa volta però manca un fattore, l’Iran. Le forze che appartengono all’Iran non prendono parte all’ultima operazione.

L’Iran è rimasto fuori su pressione della Russia?
No, è stata una decisione dell’Iran. L’Iran ha posto condizioni, di cui una è quella di Israele. Non è stato possibile rispondere a queste condizioni nell’immediato, per questo l’Iran non ha partecipato. Con questo rimanevano solo piccoli gruppi che non potevano ottenere niente. Non possono fare niente. Anche i bombardamenti russi non bastano. Ma infatti prendere Idlib non era affatto nei piani. Si trattava di aprire la strada tra Aleppo e Hama, e non sono riusciti neanche in questo.
Hanno preso una nuova ricorsa, ma di nuovo non sta andando bene. Inoltre la coalizione e gli USA hanno fatto sentire il loro peso, costringendo la Russia al cessate il fuoco. È diventato chiaro che il regime e la Russia senza l’Iran sono condannati a fallire. La Russia e il regime vogliono aiuto da noi, ma noi non niente da fare lì. Il nostro problema è Efrîn, facciamo tutto ciò che è necessario per Efrîn, Idlib non ci riguarda.

Lei ha detto che se volete potete cacciare la Turchia da Efrîn. Se è così, perché allora vi siete ritirati?
Efrîn è una situazione molto particolare, un complotto internazionale. Le potenze internazionali si erano accordate: nell’ambito degli accordi di Sochi e Astana, Efrîn è stata scambiata con Hama, Homs, Damasco e Deir ez-Zor. C’era una roadmap e noi lo sapevamo. Il 70% della Siria si trovava nelle mani di gruppi armati, Efrîn è stata data in cambio di questo.

Questo accordo è nato nell’ambito di Astana?
Si, è nato in quel periodo. Tutto ne faceva parte. Gli USA, la Francia e la coalizione hanno partecipato indirettamente, tacendo. C’era una roadmap di ampia portata. Avevano chiarito fino a che punto dovesse arrivare l’occupazione. Noi abbiamo opposto resistenza nelle prime settimane, una grande resistenza. Abbiamo avuto 1.500 caduti, ma se anche ne avessimo avuti 5.000 non sarebbe cambiato niente, quindi abbiamo ritirato le nostre forze.

Gli USA vi hanno invitati a questo ritiro?
No, una cosa del genere non c’è stata. Hanno dichiarato che a Efrîn non avrebbero fatto niente e non si sarebbero immischiati.

Hanno agito in un equilibrio tra la Russia e la Siria. Con la liberazione di Raqqa e Deir ez-Zor questo equilibrio è stato distrutto e Efrîn occupata con l’aiuto della Russia. Com’è ora la vostra relazione con la Russia?
La Russia sta dalla parte del regime, per questo la nostra relazione con questa forza è abbastanza compromessa, perché è stato un duro colpo. Durante la ritirata ci sono stati molto colloqui con rappresentanti russi, anche a Mosca, ma la Russia non aveva interesse per una soluzione. E è ancora così per quanto riguarda Efrîn. Non ha modificato il suo vecchio atteggiamento e sostiene la Turchia, come a Şehba e Tell Rifat. Ma la Russia è un fattore forte e svolgerà un ruolo decisivo nella determinazione del futuro della Siria. Per questo continuiamo le nostre relazioni.

Cosa vi propone la Russia?
Le proposte della Russia si distinguono a stento da quelle del regime e non vanno oltre in alcun modo. Potranno essere diverse nella forma, ma nella sostanza sono la stessa cosa. Per noi non è possibile accettarle.

Come sono le vostre relazioni con l’Iran? Gli USA vi hanno chiesto qualcosa in relazione all’Iran?
Non c’è stato alcun tipo di richiesta degli USA rispetto all’Iran. Naturalmente il conflitto tra l’Iran e gli USA ha la sua influenza. L’Iran fa un errore pensando che lo attaccheremo. Sono stati discussi diversi scenari in proposito. Una cosa del genere non c’è. Noi abbiamo la nostra regione, ci basiamo sulla legittima autodifesa. Chi non ci attacca, anche noi non lo attacchiamo.

Per questo l’Iran ha taciuto sugli attacchi della Turchia al Kurdistan del sud?
Questo è possibile. Solo che l’Iran nel frattempo ha capito che noi non seguiamo alcun progetto contro di lui.

Si parla ripetutamente dei membri di IS detenuti. Come risolverete questo problema?
Non sembra che ci sarà una soluzione nel prossimo futuro, anche se è necessario affrontare la situazione. Per questo dobbiamo collaborare con gli Stati e le istituzioni, ma questa cooperazione è del tutto insufficiente. Solo il 30% dell’aiuto che va ai campi con i membri di IS viene dall’esterno, noi copriamo il resto. Nelle carceri è la stessa cosa. Solo nella battaglia per al-Baghouz si sono arresi a noi 8.000 membri di IS. Questa è stata davvero una decisione molto difficile. Cosa dobbiamo fare con queste 8.000 persone?

Sono tutti uomini?
Sì, tutti uomini. Le donne le abbiamo sistemate nei campi insieme ai bambini. Abbiamo 12.000 seguaci di IS in prigionia. Il numero di donne è inferiore. Le mogli di jihadisti siriani le abbiamo consegnate alle loro famiglie. Il destino delle straniere deve essere chiarito con gli Stati interessati. Alcuni Stati aiutano, altri no.

Perché la Turchia non si riprende donne di IS e che sono loro cittadine?
La Turchia finora non ci accetta come interlocutori ufficiali, vuole averle attraverso la mediazione di altri, ma questo secondo noi è inaccettabile.

Come sono le vostre relazioni verso il Kurdistan del sud?
Non sono quelle che vorremmo. Ci sono diversi problemi, ma c’è il desiderio generale nel governo del Kurdistan del sud di migliorare le relazioni.

Oltre all’accordo con l’ONU nel contesto umanitario, c’è stato qualche tipo di colloquio politico?
È iniziato un processo, una nostra delegazione si è incontrata con l’incaricato speciale dell’ONU per la Siria, ma abbiamo sempre avuto relazioni con i rappresentanti dell’ONU. Il tema dei civili e dei bambini è stato buono per iniziare un processo con le Nazioni Unite, speriamo che si sviluppi del’altro.

Il governo del Rojava finora non era stato invitato a nessuno dei colloqui di Ginevra. L’ONU ora l’ha invitato per la prima volta. Cosa vi aspettate che succeda ora?
Giusto, ci hanno invitati per la prima volta. Noi pensiamo che continuerà così. All’incontro ha preso parte un nostro rappresentante governativo. È stato firmato un contratto. Virginia Gamba, l’incaricata delle Nazioni Unite per i bambini nei conflitti armati ha dichiarato che dopo questo incontro si andrà avanti. È stata molto positiva e ottimista, ha dichiarato che verrà l’UNICEF e lavorerà qui, che apriranno scuole… Alla fine si arriverà a un accordo politico. Questi li hanno fatti e hanno messo in conto le reazioni della Turchia. Questo è positivo.

L’intervista in forma integrale è stata pubblicata tradotta in tedesco da ANF il 24 e 25 luglio 2019.

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