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NEGOZIATI DI PACE IN AFGHANISTAN: LE DONNE SACRIFICATE?

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images copyGéopolitique – 19 aprile 2019, di Pierre Haski

Sono in corso i negoziati di pace con i talebani, voluti dagli americani per porre fine alla guerra più lunga degli USA. Ma le donne e la società civile temono di essere lasciati alla mercé degli integralisti, militarmente potenti.

Una reale preoccupazione sta crescendo tra le donne afghane. Temono che saranno loro a fare le spese del tentativo americano di negoziare la fine di 18 anni di guerra con i talebani, proprio quelli che, quando erano al potere, tra il 1996 e il 2001, impedivano alle ragazze di istruirsi, alle donne di lavorare e le costringevano a coprirsi dalla testa ai piedi.

Dal 2001 in poi, le donne sono state impugnate come stendardi, quando si doveva combattere l’integralismo islamico: donne medici, piloti d’aereo di linea, studentesse o ragazzine che andavano a scuola… Ma 18 anni di guerra senza fine, il più lungo impegno militare degli Stati Uniti, e un totale fallimento politico nel costruire uno stato valido, in grado di difendersi, rischiano di rivoltarsi proprio contro le donne che hanno da perdere più di tutti.

Ci sono dei negoziati in corso con i talebani: sono ancora lontani dalla soluzione ma abbastanza avanzati da risvegliare l’angoscia di un passato a stento superato.

Da mesi Americani e talebani discutono, ma, proprio oggi, doveva svolgersi un incontro inedito in Qatar, tra la rappresentanza talebana e una delegazione di 250 persone venute da Kabul, formata da governo e società afghana.

Questo incontro è stato rinviato all’ultimo momento, perché i talebani non hanno voluto riconoscere la presenza del Governo Afghano intorno al tavolo dei negoziati. Non accordano nessuna legittimità al governo di Kabul, considerato come un governo fantoccio creato dagli Usa.

Questa piccola umiliazione è evidentemente di cattivo augurio, anche perché i talebani sono più attivi che mai sul piano militare. Hanno lanciato la loro tradizionale offensiva di primavera proprio nel momento in cui si stava preparando l’incontro di Doha, un modo per mostrare a tutti che non si sarebbero seduti al tavolo a discutere da una posizione di debolezza.

Questo incontro era tanto più importante per il fatto che il presidente afghano Ashraf Ghani ha vissuto malissimo le discussioni dirette in corso, senza il suo governo, tra i talebani e l’emissario americano Zalmay Khalizad, un neoconservatore nato in Afghanistan.

La grande paura degli Afghani è uno scenario alla vietnamita, cioè un accordo di pace che permetta agli Usa di ritirarsi dal pantano, a spese dei loro alleati locali, che non riusciranno a far fronte ai loro nemici.

All’epoca, nel 1973, Henry Kissinger aveva sperato in un ‘intervallo di decenza’,  prima che il Nord Vietnam ingoiasse il Sud; gli Afghani temono oggi di veder rinnovarsi lo stesso scenario con un Donald Trump a cui importa poco del destino dell’Afghanistan come degli equilibri strategici in Asia. La loro sola esigenza è che i talebani si impegnino a non nascondere, tra le loro fila, gruppi terroristici come Al Qaida, all’origine del loro intervento dopo l’11 settembre 2001.

L’equazione non è risolvibile: gli Stati Uniti non ne vogliono più sapere di una guerra senza fine, ma non c’è pace possibile senza un accordo con i talebani, il cui orizzonte invalicabile è quello della sharia. Quanto pesa il destino delle donne in questa equazione?

[trad. a cura di CISDA]

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