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Quelle frustate sul burqa e il nostro silenzio

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Corriere della Sera – 2 aprile 2019 di Marta Serafini

La punizione esemplare inflitta sulla pubblica piazza

Colpite con una cinghia, sul burqa blu. Mentre loro inermi non trovano nemmeno la forza di lamentarsi o ribellarsi. Intorno, un gruppo di uomini assiste allo spettacolo. Loro, le donne, sono «colpevoli» di aver ascoltato musica. Il filmato postato su Facebook proviene dalla provincia settentrionale del Noristan e non rappresenta certo un documento inedito.

 

Nelle zone controllate dai talebani – più del 50 per cento del Paese – le donne sono sottoposte ancora alla sharia, sono obbligate a indossare il burqa, non possono studiare. E non possono ascoltare musica. È così da decenni ed è ancora così nel 2019, dopo decenni di guerra.

Quello che lascia attoniti è che, dopo l’annuncio del presidente Trump che ha parlato di ritiro delle truppe, a parte un debole lamento da parte della comunità internazionale sui timori che i già fragili diritti delle donne afghane possano essere messi ulteriormente in pericolo, nulla più è successo. Nel frattempo i talebani si sono seduti al tavolo delle trattative per negoziare.

Ma non smettono di attaccare – è notizia di oggi l’uccisione di otto membri delle forze di sicurezza afghane. E tantomeno smettono — e nemmeno danno segni di volerlo fare — di massacrare le donne afghane. Ruolo e diritti delle donne non sono invece nell’elenco dei temi oggetto di negoziato, né lo saranno. Intanto sul piano politico pesa l’ennesimo rinvio delle elezioni presidenziali, previste per il 20 aprile e già rinviate una volta e slittate al 28 settembre.

 

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