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Apparenze da salvare, l’accordo tra Usa e Talebani non arriva

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Il Manifesto – 15/3/19 di G. BattistonI

talebani est2Ai colloqui di Doha i barbuti devono dissociarsi da al-Qaeda ma non dal jihad nazionale, mentre Washington non può cedere troppo. Kabul sempre meno credibile: ieri scontro a fuoco tra forze di sicurezza afghane.

Afghanistan. Ai colloqui di Doha i barbuti devono dissociarsi da al-Qaeda ma non dal jihad nazionale, mentre Washington non può cedere troppo. Kabul sempre meno credibile: ieri scontro a fuoco tra forze di sicurezza afghane.

A Doha, in Qatar, americani e Talebani negoziano la fine del lungo conflitto afghano. A Mazar-e-Sharif, città strategica dell’Afghanistan settentrionale a due passi dal confine con Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan, le forze di sicurezza afghane si sparano addosso a vicenda. L’ennesima dimostrazione della debolezza e della litigiosità del governo di Kabul, escluso anche dall’ultimo giro di discussioni che si è chiuso a Doha martedì.

Si è trattato di una consultazione durata ben 16 giorni, a cui hanno partecipato anche Zalmay Khalilzad, l’inviato del presidente Usa Trump, e mullah Abdul Ghani Baradar, tra i fondatori del movimento talebano, in carcere per molti anni prima di essere rilasciato lo scorso ottobre dai pachistani, nominato responsabile dell’ufficio politico dei barbuti a Doha.

Dopo l’ultimo incontro di gennaio, qualcuno si aspettava un accordo vero e proprio. Che però non è arrivato. L’inviato americano assicura comunque che «le condizioni per la pace sono migliorate» e «ci sono stati passi in avanti reali».

Khalilzad ha ribadito che sono quattro le questioni su cui occorre trovare un accordo, nero su bianco: «garanzie sul contro-terrorismo», in altri termini l’assicurazione da parte talebana che romperanno ogni legame con i gruppi jihadisti a vocazione globale; «il ritiro delle truppe» straniere; «il dialogo intra-afghano»; e «un cessate il fuoco generale». Già a gennaio Talebani e americani avevano trovato un accordo di principio sui prime due punti. Ora c’è invece «una bozza di accordo», sempre sulle prime due questioni, spinose.

La definizione di cosa sia terrorismo ha rischiato di mandare a monte i negoziati. I punti di vista sono diversi. E i margini di manovra dei Talebani stretti. Devono trovare il modo di denunciare o dissociarsi dal terrorismo a vocazione globale di gruppi come al-Qaeda – con cui pur perseguendo obiettivi diversi hanno intrattenuto negli anni rapporti continui, ma problematici – ma senza tradire simpatie eccessive per gli Stati uniti e senza delegittimare il loro jihad di liberazione nazionale.

Il testo sarà limato fin nei minimi particolari. Un passo troppo in là potrebbe provocare il risentimento di parte dei militanti. Per gli americani si tratta di salvare le apparenze, dopo quasi vent’anni di guerra al terrore con esiti fallimentari.

Sui tempi del ritiro, ancora non ci sono certezze. Per gli americani, e per la Nato, si tratta di garantire una transizione graduale, come se 18 anni di occupazione non fossero già sufficienti; per i Talebani di poter rivendicare vittoria, in tempi brevi. Per il governo di Kabul si tratta di capire chi finanzierà le forze di sicurezza afghane in futuro. Per ora, dipendono dagli aiuti stranieri, soprattutto Usa.

Khalilzad continua a dire che «non ci sarà nessun accordo finale fino a quando non ci sarà accordo su tutto», dunque anche su cessate il fuoco e dialogo tra il governo afghano e i Talebani, per cui Kabul è un attore illegittimo. Ma quel dialogo partirà solo dopo che sarà finalizzato l’accordo sui primi due punti.
Rischia dunque di mettere i barbuti in posizione di forza e di delegittimare ulteriormente Kabul, considerato alla pari di altri interlocutori della società. Un declassamento bello e buono rispetto a quando, pochi mesi fa, tutti parlavano della necessità di un negoziato «a guida afghana».

Osservando ciò che accade in queste ore a Mazar-e-Sharif, nel nord del Paese, qualcuno potrebbe ritenere che il declassamento sia meritato. Due giorni fa il ministro dell’Interno, su indicazione del presidente Ashraf Ghani, ha nominato un nuovo capo della polizia nella provincia di Balkh, di cui Mazar-e-Sharif è capoluogo.

Ieri il generale Abdul Raqib Mubariz si è insediato al posto del predecessore, Ikram Saami, legato a uno dei più potenti uomini politici dell’Afghanistan, Atta Mohammad Noor, per molti anni governatore di Balkh e a capo di un discreto impero economico. Così Atta Mohammad Noor ha chiamato alle armi gli uomini a lui fedeli e invitato i residenti a chiudere i negozi della città.

Mentre scriviamo, molte strade della città sono bloccate. Ci sono scontri tra le forze speciali afghane e gli uomini sodali del capo della polizia appena rimosso, anche all’interno dell’esercito. Ci sono feriti. Qualcuno parla di morti. Il bilancio si farà domani.

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