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Il traffico di eroina dimostra il fallimento di USA e UK in Afghanistan

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Alfred McCoy – The Guardian – 9 gennaio 2018 – Trad. di Ester Peruzzi, Lucia Olimpia, Elena Boraschi, Claudia Pisello, Giulia Rodari e Cristina Cangemi.

163025578 2c753048 b4ef 42ac 8135 2fe068b1faaeDopo sedici anni e un trilione di dollari spesi, il conflitto sembra non avere fine, ma gli interventi dell’Occidente hanno reso l’Afghanistan il primo vero narco-Stato al mondo.

Dopo aver combattuto la guerra più lunga della storia, gli Stati Uniti si trovano sull’orlo della sconfitta in Afghanistan. Com’è possibile?

 

Com’è che l’unica superpotenza mondiale in guerra da più di sedici anni – che ha schierato più di centomila truppe nei momenti di picco del conflitto, sacrificato le vite di quasi duemilatrecento soldati, speso più di un trilione di dollari in operazioni militari, sperperato più di cento miliardi di dollari per la “nation building”, finanziato e addestrato un esercito di 350.000 alleati afghani –  non è ancora stata in grado di pacificare una delle nazioni più povere del pianeta?

Le previsioni di stabilità dell’Afghanistan sono così angoscianti che, nel 2016, la Casa Bianca guidata dal presidente Barack Obama, aveva bloccato il ritiro programmato delle forze armate, ordinando quindi a più di ottomila truppe di rimanere nel paese a tempo indeterminato.

È proprio nel fallimento americano che si trova il paradosso: l’imponente macchina militare di Washington è stata fermata da un piccolo fiorellino rosa: il papavero da oppio. Nei trent’anni di conflitto in Afghanistan, le operazioni militari statunitensi sono andate a buon fine solo quando si sono adattate in modo adeguato al traffico illegale di oppio dell’Asia centrale, hanno fallito invece quando non lo facevano.

Il primo intervento degli Stati Uniti in Afghanistan è avvenuto durante la guerra fredda, con il sostegno ai militanti musulmani in lotta per l’espulsione dell’Armata Rossa sovietica. Nel dicembre del 1979, i sovietici occuparono Kabul al fine di rafforzare il loro debole stato cliente; Washington, che stava ancora tentando di riprendersi dalla caduta di Saigon avvenuta quattro anni prima, decise di dare a Mosca “il suo Vietnam” supportando la resistenza islamica. Nei dieci anni successivi, la CIA rifornì la guerriglia Mujaheddin di tre miliardi di dollari di armi. Questi fondi, unitamente all’espansione della coltivazione di oppio, sostennero la resistenza afghana nel decennio che servì a scacciare le forze sovietiche. La strategia statunitense funzionò poiché la guerra surrogata messa in atto dalla CIA non ostacolava il modo in cui gli alleati afghani sfruttavano il crescente traffico di droga del territorio per sostenere la loro battaglia decennale.

Nonostante i continui scontri armati che procedono senza sosta dall’invasione dell’ottobre 2001, i tentativi di pacificazione non sono riusciti ad arginare l’insurrezione talebana, principalmente perché gli Stati Uniti non sono stati in grado di controllare l’aumento sempre crescente del traffico di eroina. La produzione di oppio in Afghanistan è aumentata da circa 180 tonnellate nel 2001 a più di 3.000 un anno dopo l’invasione, giungendo a 8.000 tonnellate nel 2007. Ogni primavera, il raccolto di oppio riempie le casse dei Talebani finanziando gli stipendi per un nuovo gruppo di guerriglieri.

Negli ultimi quarant’anni, in ogni fase di questa tragica e turbolenta storia – la guerra segreta degli anni Ottanta, la guerra civile degli anni Novanta e l’occupazione dal 2001 – l’oppio ha giocato un ruolo fondamentale nella determinazione del destino del paese. L’ironia sta nel fatto che la singolare ecologia afghana si è unita alla tecnologia militare statunitense per trasformare questo paese remoto e privo di sbocchi sul mare nel primo vero narco-Stato al mondo, un paese dove le droghe illegali reggono l’economia, stabiliscono le scelte politiche e determinano il destino degli interventi da parte degli Stati esteri.

Durante gli anni Ottanta, la guerra segreta condotta dalla CIA contro l’occupazione sovietica ha trasformato i territori di confine tra Afghanistan e Pakistan in una piattaforma di lancio per il commercio globale dell’eroina. Il Dipartimento degli Stati Uniti nel 1986 ha dichiarato: “Nelle zone tribali non è presente alcun corpo di polizia, non ci sono tribunali, non c’è un sistema tributario. Le armi sono legali… l’hashish e l’oppio si trovano ovunque”. In quel periodo, la mobilitazione della guerriglia per combattere l’occupazione sovietica era già in corso. Piuttosto che istituire una propria coalizione di leader della resistenza, la CIA decise di fare affidamento sull’ISI, la potente Intelligence pakistana e i suoi clienti afghani, che divennero rapidamente i protagonisti del fiorente traffico transnazionale di oppio.

La CIA fece finta di niente mentre la produzione di oppio in Afghanistan cresceva dalle 100 tonnellate annue degli anni Settanta alle 2.000 tonnellate del 1991. Tra il 1979 e il 1980, proprio mentre gli interventi della CIA andavano intensificandosi, lungo il confine con il Pakistan nacque una rete di laboratori di eroina. Questa regione divenne in poco tempo il maggiore produttore di eroina in tutto il mondo. Nel 1984 era già diventato il fornitore di eroina del 60% del mercato statunitense e dell’80% di quello europeo. In Pakistan, il numero di tossicodipendenti passò da quasi zero (sì, zero) nel 1979 a 5.000 nel 1980, e a 1,3 milioni nel 1985, un tasso di tossicodipendenza talmente alto da essere definito dall’ONU “particolarmente scioccante.

Secondo un rapporto statunitense del 1986, l’oppio “è la pianta ideale per un paese devastato dalla guerra poiché comporta un minimo investimento di capitali, cresce velocemente ed è facile da trasportare e da vendere”. Inoltre, il clima in Afghanistan è adatto alla crescita del papavero. Mentre il conflitto CIA-Stati sovietici procedeva inesorabile, i contadini afghani iniziarono a coltivare l’oppio “per disperazione”, poiché generava “alti profitti” con cui potevano far fronte all’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Nel frattempo, secondo gli Stati Uniti, gli elementi della resistenza iniziarono a occuparsi della produzione e del traffico di oppio “per fornire alimenti base alla popolazione da loro controllata e per finanziare l’acquisto di armi”.

All’inizio degli anni Ottanta, mentre la guerriglia Mujaheddin guadagnava terreno contro l’occupazione sovietica e iniziava a istituire zone libere in Afghanistan, finanziava le proprie operazioni militari riscuotendo tasse dai coltivatori di papaveri da oppio a scopo lucrativo, soprattutto nella fertile provincia di Helmand. I camion della CIA che portavano armi alle forze della resistenza spesso tornavano in Pakistan carichi di oppio, a volte, secondo il “New York Times”, “con il consenso degli ufficiali di Intelligente pakistana e statunitense che sostenevano la resistenza”.

Più tardi, Charles Cogan, l’ex direttore dell’operazione afghana della CIA, chiarì le scelte fatte dall’Agenzia. “La nostra missione principale era arrecare il maggior danno possibile ai sovietici”, disse a un intervistatore nel 1995. “Non avevamo le risorse o il tempo per dedicarci a un’indagine sul narcotraffico. Non penso che dobbiamo scusarci per questo. Sì, c’è stata una ricaduta in termini di droga, ma l’obiettivo principale è stato portato a termine. I sovietici hanno lasciato l’Afghanistan.”

Sul lungo periodo, l’intervento degli Stati Uniti produsse un buco nero nell’instabilità geopolitica che non si sarebbe mai più chiuso o rimarginato. L’Afghanistan non riuscì a riprendersi facilmente dalla distruzione senza precedenti che subì negli anni del primo intervento americano. Non appena la guerra russo-afghana cessò tra il 1989 e il 1992, l’alleanza guidata da Washington fondamentalmente abbandonò il paese, venendo meno sia alla promozione di un accordo di pace sia al finanziamento per una ricostruzione.

Mentre Washington si allontanava dall’Afghanistan rivolgendo la propria attenzione ad altri focolai di politica estera in Africa e nel Golfo Persico, una violenta guerra civile scoppiò in un paese che aveva già contato, tra il 1979 e il 1989, circa 1,5 milioni di morti, quasi il 10% della popolazione. Durante gli anni del conflitto civile tra i numerosi signori della guerra ben armati che la CIA aveva lasciato pronti per la lotta al potere, i contadini afghani si occuparono dell’unica coltivazione che garantiva profitti immediati: il papavero da oppio. Avendolo moltiplicato di venti volte durante l’era della guerra segreta degli anni Ottanta, il raccolto di oppio sarebbe più che raddoppiato anche durante la guerra civile degli anni Novanta.

In questo periodo di crisi, l’ascesa dell’oppio veniva intesa come la migliore risposta ai gravi danni causati da due decenni di devastante guerra. Con il ritorno di quasi tre milioni di profughi in una terra distrutta dalla guerra, i campi di papaveri rappresentavano una vera manna dal cielo, un lavoro che richiedeva nove volte il numero di braccianti coltivatori di grano, la materia prima tradizionale del paese. Inoltre, solo i commercianti di oppio erano in grado di accumulare capitale abbastanza rapidamente da rifornire i poveri agricoltori degli anticipi di contanti necessari, che spesso coprivano oltre la metà del loro reddito annuo. Quel finanziamento si sarebbe rivelato fondamentale per la sopravvivenza di molti contadini poveri.

Durante la prima fase della guerra civile, dal 1992 al 1994, i crudeli signori della guerra locali misero insieme armi e oppio in una lotta nazionale per il potere. Più tardi, il Pakistan decise di sostenere una nuova forza pashtun, i Talebani. Dopo essersi impadronito di Kabul nel 1996 e aver preso il controllo della maggior parte del paese, il regime talebano incentivò la coltivazione locale di oppio, offrendo protezione governativa per le esportazioni e riscuotendo le tasse necessarie sia sull’oppio raccolto sia sull’eroina prodotta. Le indagini delle Nazioni Unite sull’oppio mostrarono che, durante i primi tre anni del governo dei Talebani, le colture di oppio in Afghanistan costituivano il 75% della produzione mondiale.

Nel luglio del 2000, tuttavia, mentre una terribile siccità si verificò per il secondo anno consecutivo e la fame si diffuse in tutto l’Afghanistan, il governo talebano introdusse improvvisamente un divieto su tutte le coltivazioni di oppio, in un evidente appello al consenso internazionale. Una successiva indagine delle Nazioni Unite sulle colture di 10.030 villaggi rilevò che questo divieto aveva ridotto il raccolto del 94%.

Tre mesi dopo, nel settembre del 2000, i Talebani mandarono una delegazione nel quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, per negoziare la continuazione del divieto di droghe nel paese nel tentativo di ottenere il riconoscimento diplomatico. Al contrario, le Nazioni Unite imposero nuove sanzioni contro il regime, perché quest’ultimo proteggeva Osama bin Laden. Gli Stati Uniti, invece, ricompensarono concretamente i Talebani con quarantatré milioni di dollari in aiuti umanitari, anche se avevano appoggiato la critica portata avanti dalle Nazioni Unite in merito a Osama bin Laden. Con l’annuncio di questi aiuti nel maggio del 2001, il segretario di Stato Colin Powell elogiò “il divieto di coltivare oppio, una decisione presa dai Talebani che noi accogliamo”, ma continuò a esortare il regime a porre fine “al loro sostegno al terrorismo; alla violazione delle norme sui diritti umani riconosciute a livello internazionale tra cui, in particolar modo, il trattamento riservato a donne e bambine”.

Dopo aver largamente ignorato l’Afghanistan per un decennio, Washington “riscoprì” il paese nel periodo successivo agli attacchi terroristici del 9/11. Nell’ottobre del 2001, gli Stati Uniti iniziarono a bombardare il paese e, successivamente, con il sostegno delle forze britanniche, intrapresero un’invasione capeggiata dai signori della guerra locali. Il regime talebano crollò con una velocità che sorprese molti funzionari del governo. A posteriori, sembra probabile che il divieto di coltivare l’oppio ne sia stato un fattore determinante.

In una misura non generalmente apprezzata, l’Afghanistan, per due interi decenni, aveva riservato una percentuale sempre maggiore di risorse – capitale, terreni, acqua e manodopera – alla produzione di oppio ed eroina. Nel periodo in cui i Talebani ne avevano vietato la coltivazione, l’agricoltura era diventata qualcosa in più di una monocoltura di oppio. Il traffico di stupefacenti rappresentava gran parte delle entrate fiscali del paese, la maggior parte del reddito derivante dalle esportazioni e una quota significativa dell’occupazione.

L’improvvisa eliminazione dell’oppio da parte dei Talebani si dimostrò un atto di suicidio economico che portò una società già indebolita sull’orlo del collasso. Un’indagine delle Nazioni Unite risalente al 2001 ha rilevato che il divieto aveva “portato a una pesante perdita di entrate per quasi 3,3 milioni di persone”, circa il 15% della popolazione. A questo proposito, secondo le Nazioni Unite, diventò “più semplice per le forze militari occidentali convincere le élite rurali e la popolazione a ribellarsi contro il regime”.

In poco più di un mese, la letale campagna di bombardamenti da parte degli Stati Uniti, unitamente agli attacchi di terra perpetrati dagli alleati dei signori della guerra, distrusse le difese indebolite dei Talebani. Ma la strategia a lungo termine degli americani avrebbe piantato i semi, letteralmente, per la sorprendente ripresa dei Talebani appena quattro anni dopo.

Mentre la campagna di bombardamenti americana infuriava nell’ottobre del 2001, la CIA inviò al paese settanta milioni di dollari in contanti per mobilitare la coalizione dei signori della guerra tribali dell’antica guerra fredda nella lotta contro i Talebani, una spesa che il Presidente George W Bush avrebbe successivamente acclamato come uno degli “affari” più grandi della storia. Per conquistare Kabul e altre importanti città, la CIA pagò i leader dell’Alleanza del Nord, una forza etnica del Tagikistan che aveva combattuto i sovietici negli anni Ottanta e che aveva poi contrastato il governo talebano negli anni Novanta. Questi, in cambio, avevano a lungo dominato il traffico di stupefacenti nella zona nord-orientale dell’Afghanistan che controllavano durante gli anni talebani. Inoltre, la CIA si rivolse a un gruppo di nascenti signori della guerra pashtun, lungo il confine pakistano, che avevano operato come trafficanti di droga nella zona sud-orientale del paese. Di conseguenza, quando i Talebani caddero, le fondamenta per la ripresa delle coltivazioni di oppio e del traffico di stupefacenti su vasta scala erano già state gettate.

Una volta impossessatasi di Kabul e dei capoluoghi di provincia, la CIA cedette immediatamente il controllo delle operazioni alle forze militari alleate e agli ufficiali civili. Negli anni successivi, i maldestri programmi di repressione della droga da parte di tali forze avrebbero ceduto i crescenti guadagni derivanti dal traffico di eroina prima ai signori della guerra e poi, anni dopo, principalmente ai guerriglieri talebani. Nel quadro di uno sviluppo senza precedenti, le droghe illecite sarebbero state responsabili del 62% del PIL afghano del 2003.

Tuttavia, secondo un rapporto del “New York Times” del 2007, pare che nei primissimi anni dell’occupazione, il segretario della difesa Donald Rumsfeld abbia “respinto le accuse sempre più frequenti di finanziare illecitamente i Talebani con il denaro proveniente dal traffico di droga”, mentre a quanto pare la CIA e i militari “chiusero un occhio sulle attività legate alla droga da parte dei principali signori della guerra”.

Alla fine del 2004, dopo aver affidato per quasi due anni il controllo dell’oppio agli alleati britannici e l’addestramento della polizia ai tedeschi, la Casa Bianca dovette improvvisamente affrontare i suggerimenti della CIA riguardo al fatto che il traffico di droga stesse alimentando il ritorno alla ribalta dei talebani. Sostenuto da George W. Bush, il segretario di stato Colin Powell espresse l’impellenza di una strategia contro-narcotica da attuare in alcune zone rurali dell’Afghanistan che comprendesse lo stesso tipo di defogliazione aerea usato in Colombia per distruggere le coltivazioni illecite di coca. Tuttavia, l’ambasciatore statunitense in Afghanistan, Zalmay Khalilzad, si oppose a tale approccio con il sostegno di Ashraf Ghani, suo alleato locale, ai tempi ministro delle finanze afghane –poi, dal 2014, presidente–, il quale sostenne che un simile programma di defogliazione avrebbe causato “un sostanziale impoverimento” del paese, a maggior ragione se fossero venuti meno i 20 miliardi di dollari di finanziamenti provenienti dall’estero per la creazione di “veri mezzi di sostentamento alternativi”. Per raggiungere un compromesso, Washington si affidò ad appaltatori privati come DynCorp per addestrare i corpi afghani a eliminare le droghe. Tuttavia, secondo la corrispondente del “New York Times” Carlotta Gall, nel 2005 tale sforzo era già diventato “una presa in giro”.

Nel 2007, secondo l’Afghanistan Opium Survey dell’ONU, il 93% dei rifornimenti di eroina illecita a livello mondiale proveniva dal raccolto di circa 8.200 tonnellate di oppio del paese, che al tempo rappresentò un record. Secondo le Nazioni Unite, non è un caso se i guerriglieri talebani hanno “iniziato a ricavare dall’economia della droga risorse per l’acquisto di armi, per un miglioramento dal punto di vista logistico e per il pagamento dei miliziani”. Pare che nel 2008 i ribelli abbiano guadagnato 425 milioni di dollari mediante “tasse” sul traffico di oppio e che da ogni raccolto ricavassero profitti sufficienti al reclutamento di un nuovo gruppo di giovani combattenti nei villaggi. Ciascuno di quei potenziali guerriglieri poteva contare su una paga mensile di 300 dollari, ben al di sopra dei salari che avrebbero ottenuto lavorando nei campi.

Per contenere la ribellione in espansione, Washington decise di spedire in Afghanistan altri 40.000 soldati a metà 2008, portando a 70.000 il numero di alleati. Riconoscendo l’importanza del denaro proveniente dal traffico di oppio nel reclutamento dei guerriglieri talebani, gli alleati mettevano in campo team di specialisti che sfruttavano i sussidi per lo sviluppo con lo scopo di supportare gli sforzi per reprimere la droga nelle province ricche di papaveri. Il raccolto record del 2007 fu provvidenziale: se da un lato aveva creato un surplus di oppio che ne aveva depresso i prezzi, dall’altro la contemporanea carenza di cibo rese competitivo il settore del grano. Poiché gli agricoltori utilizzavano i fondi esteri per piantare colture alimentari in zone chiave delle province di Helmand e Nangarhar, il raccolto di papaveri afghano passò dai 200.000 ettari record del 2007 ai soli 123.000 di due anni dopo, in ogni caso ancora sufficienti per sostentare i talebani. Nel frattempo, i tentativi maldestri e repressivi di porre fine al traffico di droga non fecero che rafforzare l’opposizione nei confronti degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Nel 2009 i guerriglieri si stavano espandendo così rapidamente che il neopresidente Obama scelse di portare a 102.000 il numero di soldati per vanificare l’azione dei talebani. Ci vollero mesi prima che le truppe completassero il proprio schieramento, ma la strategia di svolta del presidente Obama fu ufficialmente lanciata all’alba del 13 febbraio 2010 a Marja, una cittadina di mercato della provincia di Helmand. Elicotteri su elicotteri piombarono sui suoi sobborghi alzando  nuvole di polvere, centinaia di marines correvano tra i campi di papaveri pieni di oppio in fiore in direzione degli edifici dalle pareti di fango della cittadina. Malgrado avessero come obiettivo i guerriglieri talebani locali, in realtà i marines stavano occupando una delle capitali mondiali del traffico di eroina.

Una settimana dopo, il generale Stanley McChrystal atterrò in città insieme a Karim Khalili, il vicepresidente afghano. I due si erano recati a Marja per la presentazione ai media delle nuove tattiche di controguerriglia che, come spiegò il generale alla stampa, avrebbero certamente portato la pace in città come quella di Marja. Tuttavia, i trafficanti di oppio locali non erano d’accordo. “Se vengono con i trattori, dovranno passare sul mio corpo e uccidermi prima di poter far fuori i miei papaveri”, annunciò una vedova afghana tra le urla di sostegno da parte degli altri contadini. “È impossibile vincere questa guerra se non si affronta la produzione di droga nella provincia di Helmand”, mi spiegò via telefono satellitare un ambasciatore statunitense dai campi di papaveri della regione.

Attaccando i guerriglieri ma non riuscendo a estirpare le coltivazioni di papaveri che ogni primavera finanziavano nuovi guerriglieri con il loro oppio, la strategia di Obama fallì dopo poco tempo. Nel quadro dell’incapacità da parte degli alleati di rispettare la scadenza del dicembre 2014, imposta da Obama per motivi politici, per porre fine a qualsiasi operazione militare, il netto calo dei raid aerei permise ai talebani di lanciare offensive di massa che causarono un record di vittime tra i soldati e i poliziotti afghani.

All’epoca John Sopko, l’osservatore speciale per l’Afghanistan, offrì una spiegazione per la sopravvivenza dei talebani. “Abbiamo fallito sotto tutti i punti di vista. La produzione e la coltivazione continuano a esistere, mentre la repressione e la messa al bando non ci sono più; il sostegno finanziario e le ribellioni continuano senza sosta, mentre la dipendenza e l’abuso sono a livelli senza precedenti in Afghanistan”, affermò Sopko. Eppure gli Stati Uniti avevano speso ben 7,6 miliardi di dollari in programmi di “repressione della droga” nei dieci anni precedenti.

Subito dopo il raccolto di oppio del 2014, i dati ONU appena pubblicati suggerivano che i livelli di produzione erano sempre più vicini al record del 2007. Nel maggio del 2015, preso atto dell’ondata di droga entrata sul mercato globale nonostante gli Stati Uniti fossero arrivati a spendere 8,4 miliardi di dollari per i programmi contro-narcotici, Sopko tentò di spiegare questi sviluppi con un’immagine tipicamente americana: “In Afghanistan ci sono più di due miliardi di chilometri quadrati coltivati a papaveri da oppio, l’equivalente di più di 400.000 campi da football americano, fondocampo compresi”.

Durante i combattimenti del 2015 in Afghanistan i Talebani si appropriano fermamente dell’iniziativa degli scontri, e l’oppio pareva essere ancora più profondamente incorporato alle loro operazioni. A ottobre del 2015 le Nazione Unite divulgarono una cartina che mostrava che i Talebani avevano un controllo “elevato” o “estremo” su più della metà dei distretti rurali del paese. Entro un mese, i Talebani scatenarono offensive in tutto il paese mirate all’appropriazione e alla conservazione del territorio. Non è una sorpresa che gli attacchi più forti siano avvenuti nel cuore della provincia di Helmand, dove allora cresceva metà dell’oppio di tutto il paese.

Nel 2016, 15 anni dopo che l’Afghanistan era stato “liberato”, e con un capovolgimento significativo delle politiche di riduzione militare dell’amministrazione Obama, Washington inviò una piccola task force nella provincia di Helmand con “centinaia” di nuove truppe statunitensi, per negare ai ribelli il “premio economico”, i campi di papavero da oppio più produttivi al mondo. Nonostante il supporto di forze aeree e di 700 truppe speciali, a febbraio e a marzo 2016 le forze del governo afghano sotto attacco si ritirarono da altri due distretti, lasciando i Talebani in controllo di ben 10 dei 14 distretti della provincia.

Con le forze scoraggiate e gli aggressivi combattenti talebani in campo dotati di visori notturni e armi sofisticate, gli attacchi aerei statunitensi diventarono l’ultima, tenue linea di difesa del governo afghano. E con una tacita ammissione di fallimento, a giugno 2016, l’amministrazione Obama pose fine al ritiro pianificato delle truppe, portando le forze statunitensi da semplici consiglieri ad attori nel vivo dei combattimenti, e annunciando, un mese più tardi, che 8.400 truppe sarebbero rimaste dov’erano, in caso di futura necessità.

A Hemland e in altre provincie strategiche, l’esercito afghano sembrava perdere una guerra che ormai era orientata – in modi che sfuggivano alla maggior parte degli osservatori – al controllo dei privilegi dell’oppio nel paese. Nella provincia di Hemland, sia i ribelli talebani che gli ufficiali di provincia erano bloccati in una sfida al controllo del redditizio traffico illecito. “Gli ufficiali del governo afghano sono ora coinvolti direttamente nel mercato dell’oppio”, affermava il “New York Times” a febbraio del 2016. In questo modo, avevano inasprito “la rivalità con i Talebani”, rendendola “una sfida per il controllo del traffico illecito” imponendo “una tassa sugli agricoltori, praticamente identica a quella che imponevano i Talebani”. In un processo che in pratica implicava il governo intero, gli ufficiali di provincia passarono parte del loro guadagno illecito “più in alto nella catena di comando, fino agli ufficiali di Kabul… continuando ad assicurarsi un appoggio delle autorità locali dai piani alti, che gli permettesse di continuare a far crescere l’oppio”.

Contemporaneamente, un’indagine del Consiglio di sicurezza dell’ONU scoprì che i Talebani avevano sistematicamente attinto “dalla catena di fornitura in ogni stadio della vendita dei narcotici”, raccogliendo una tassa pari al 10% sulla coltivazione dell’oppio a Hemland, mentre combattevano per il controllo dei laboratori di eroina e diventavano i “principali garanti per l’esportazione di oppio grezzo ed eroina”. Non si limitavano più semplicemente a tassare il contrabbando, ma erano coinvolti così profondamente che, sempre secondo il New York Times, “è diventato sempre più difficile distinguere il gruppo da un cartello della droga”.

Queste tendenze sconfortanti rimasero tali per tutto il 2017, mentre la raccolta del papavero da oppio per poco non raddoppiava fino a raggiungere le 9.000 tonnellate, quantità ben al di sopra del picco precedente di 8.200 tonnellate nel 2007. Nella provincia di Hemland, distrutta dalla guerra, l’area dei papaveri da oppio era cresciuta del 79% per un totale di 144.000 ettari, che equivalevano al 44% totale delle coltivazioni del paese. A novembre, convinti che l’oppio stesse fornendo il 60% dei fondi dei Talebani per salari e armi, il comando statunitense, incoraggiato e ingrandito dalla decisione di Trump di “vincere” la guerra in Afghanistan, utilizzò, per la prima volta in assoluto, caccia F-22 e bomber B-52 per distruggere a Hemland 10 raffinerie talebane di eroina, solo una piccola porzione delle 500 raffinerie presenti nel paese.

È probabile che in futuro l’oppio rimanga legato all’economia rurale, alla ribellione talebana e alla corruzione del governo, sintetizzata nel paradosso dell’Afghanistan.

Il fallimento dell’intervento americano in Afghanistan offre una visione più ampia dei limiti del suo potere globale. La sopravvivenza sia della coltivazione dell’oppio che della ribellione talebana suggerisce che le politiche imposte da Washington sull’Afghanistan dal 2011 sono arrivate a un vicolo cieco. Per la maggior parte delle persone in tutto il mondo, l’attività economica, la produzione e lo scambio di beni sono il principale punto di contatto con il loro governo. Tuttavia, quando il maggior bene di un paese è illegale, le fedeltà politiche scivolano naturalmente verso le reti economiche che permettono al prodotto di passare in modo sicuro e segreto dai campi al mercato internazionale, che forniscono protezione, fondi e impiego ad ogni stadio. “Il mercato dei narcotici avvelena il settore finanziario afghano e alimenta un’economia illecita in crescita”, spiegava John Sopko nel 2014. “Questa, in cambio, indebolisce la legittimità dello stato afghano fomentando la corruzione, nutrendo le reti criminali e fornendo un supporto finanziario significativo ai Talebani e ad altri gruppi ribelli.”

Dopo 16 anni in continuo stato di guerra, Washington ha davanti la stessa opzione che aveva nel 2010, quando i generali di Obama portarono i marines a Marja. Esattamente come in questi ultimi quindici anni, gli Stati Uniti possono rimanere intrappolati nello stesso ciclo senza fine. Mentre la neve si scioglie dai versanti delle montagne e le piante di papavero spuntano dalla terra ad ogni primavera, ci sarà un nuovo gruppo di reclute adolescenti provenienti da villaggi poveri pronti a combattere per la causa dei ribelli.

Ma ci sono alternative, anche per questa terra afflitta da problemi e con un complesso e sconvolgente problema di politiche. Investire anche una piccola parte di quei soldi sprecati in missioni militari nell’agricoltura del paese potrebbe aumentare la scelta per i milioni di agricoltori che lavorativamente dipendono sulla crescita dell’oppio. I frutteti rovinati potrebbero essere ricostruiti, i greggi devastati ripopolati, le scorte di semi avanzati fatti crescere di nuovo e i sistemi di irrigazione che si avvalevano della neve, che un tempo, prima di questi decenni di guerra, sostenevano un’agricoltura diversificata, riparati. Se la comunità internazionale continuasse a combattere contro la dipendenza del paese dall’oppio illegale sostenendo lo sviluppo rurale, allora forse l’Afghanistan smetterebbe di essere lo stato leader del narcotraffico al mondo e forse il ciclo annuale di violenza potrebbe finalmente essere spezzato.

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