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Osservatorio Afghanistan. Intervista di Natalia Benedetti a Gloria Geretto

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Samsara Route – 17 luglio – 2013.

meena redGloria Geretto inizia a collaborare con il CISDA (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane) nel 2010, dopo avere incontrato, tramite la medesima associazione, la portavoce dell’ Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane, nata nel 1977 come organizzazione socio-politica democratica, laica e anti-fondamentalista.

La denuncia dei crimini commessi dai signori della guerra, il racconto della forza straordinaria di queste donne che lottano per opporsi alla violenza e per rivendicare i propri diritti, sono gli elementi che la spingono a partecipare.

Con l’obiettivo di descriverne le principali attività, chiediamo a Gloria di parlarci di CISDA, l‘osservatorio sull’Afghanistan, per non dimenticare una realtà che, sebbene possa apparire lontana, ci mostra concretamente uno dei nodi chiave del nostro tempo: per tutelare i diritti umani non è sufficiente creare garanzie giuridiche, ma è necessaria la formazione e l’impegno di una coscienza civile che si imponga per pretenderne il rispetto.

Come opera CISDA? Quali attività svolge nella realtà italiana ed internazionale? Quali problematiche affronta ogni giorno?

Il CISDA, che ha sede a Milano ma è attivo in tutto il territorio italiano, promuove azioni di carattere politico-sociale a livello nazionale e internazionale, attraverso una vasta rete di associazioni contrarie alla guerra, ad ogni forma di fondamentalismo, che si occupano di tutela dei diritti civili. Il coordinamento lavora in partnership con alcune associazioni afghane nell’ambito della solidarietà sociale, dell’educazione e della tutela dei diritti delle donne. Raccoglie fondi destinati interamente a progetti rivolti alle donne e bambini in Afghanistan e Pakistan, tra questi il finanziamento a scuole, orfanotrofi e rifugi per donne vittime di violenza domestica in Afghanistan e Pakistan.

In Italia il Cisda organizza incontri politici fra la società civile afghana e le varie istituzioni italiane; conferenze e tour politici con rappresentanti delle associazioni afghane con le quali collabora, tra le quali RAWA, per far conoscere nel nostro paese la difficile situazione in Afghanistan e le attività di queste organizzazioni che danno voce a chi non ne ha. In ambito politico, il CISDA sostiene inoltre attivamente le giovani voci democratiche come il Partito Democratico Afghano Hambastagi, la deputata democratica afghana Malalai Joya – più volte ospite del CISDA in Italia per una serie di incontri pubblici e politici – e l’Associazione afghana dei richiedenti giustizia (SAAJS) che chiedono a nome delle migliaia di vittime dei crimini di guerra commessi negli ultimi trent’anni, che i colpevoli di queste atrocità vengano processati dinnanzi ad una Corte internazionale competente.

Quali sono le dimensioni della violenza sulle donne nella realtà Afghana?

Visto dall’Italia, con l’handicap della nostra sommaria informazione, sembra quasi che sia una condizione irrimediabile e senza tempo, conseguenza di una cultura estremamente radicata e poco sensibile alle spinte di cambiamento, è così?
A differenza di quanto i media nel nostro Paese lasciano ad intendere, la condizione delle donne in Afghanistan non è affatto migliorata negli ultimi dodici anni di occupazione, o “Missione di pace Isaf” come è stata definita: solo una minima parte delle donne afghane, principalmente residenti nelle grandi città, ha ottenuto qualche diritto; in realtà la situazione nelle provincie rurali più povere del Paese è sempre più critica. La liberazione delle donne afghane non è stata che il pretesto per invadere il Paese e proseguire così interessi strategici geo-politici molto più urgenti sull’agenda politica delle forze occupanti dei diritti delle donne.

Quali sono i numeri delle violenze?
Oggi in Afghanistan i casi di aggressioni, autoimmolazioni, stupri di gruppo, matrimoni forzati, rapimenti, tortura sono in continuo aumento. Il 90 per cento delle donne, delle ragazze afghane è vittima di violenza domestica. L’80 per cento dei matrimoni sono forzati. Secondo un recente rapporto Unicef l’Afghanistan è uno dei Paesi con il più alto tasso di mortalità materna al mondo.

L’aspettativa di vita per le donne afghane è di 44 anni. Il tasso di alfabetizzazione femminile è del 4 per cento. Queste cifre parlano chiaro, ma difficilmente fanno notizia. Le bambine sono spesso vendute in matrimonio dalle famiglie per pagare debiti; l’accesso all’istruzione, così come alle cure mediche, per le donne afghane è estremamente limitato. Andare a scuola per molte bambine afghane significa mettere a rischio la propria vita. Non sono rari infatti i casi di avvelenamento nelle scuole femminili, di bambine sfregiate con l’acido mentre si recano a scuola, tutti atti intimidatori rivendicati da fondamentalisti e signori della guerra legati al governo la cui mentalità misogina e oscurantista è tutt’oggi dominante.

Non c’è da stupirsi se poi per la maggior parte di queste donne l’unica via di fuga è l’autoimmolazione. Le donne afghane preferiscono morire dandosi fuoco pur di sottrarsi alle violenze o ad un destino di esclusione sociale e povertà. Le violenze sessuali sono infatti una vera e propria condanna a morte per le vittima, macchiatasi di una vergogna punibile secondo la legge islamica, la sharìa, anche con l’uccisione della vittima stessa per mano della famiglia o comunità. Alcune di queste donne trovano la forza di fuggire e, se sono fortunate, riescono a raggiungere una delle poche case-rifugio per donne vittime di abusi gestite da organizzazioni che si battono per i loro diritti, e qui continuano a vivere nel silenzio. Il CISDA a questo proposito finanzia, attraverso l’organizzazione afghana HAWCA (Humanitarian Association of Women and Children of Afghanistan), alcuni di questi shelterper donne vittime di abusi: rifugi che negli ultimi anni sono stati bersaglio delle intimidazioni del governo Karzai che ne ha persino minacciato la chiusura con l’accusa di promuoverne la prostituzione.

Non ci sono strumenti giuridici che possano tutelare le vittime di queste violenze?
Purtroppo le leggi di tutela alle donne afghane difficilmente trovano applicazione nella realtà quotidiana. I responsabili di queste violenze restano impuniti, e le donne vengono lasciate sole; molte di loro non conoscono nemmeno i propri diritti. Questo dimostra il carattere fondamentalista e misogino del governo afghano, che non solo non ha investito nella tutela dei diritti femminili ma li ha addirittura minacciati. Sicuramente il CISDA, in linea con le associazioni e i movimenti democratici che sostiene, considera chiave in questo processo di emancipazione delle donne afghane il ruolo dell’educazione in quanto strumento per acquisire una maggiore consapevolezza dei propri diritti, una coscienza politica, un miglioramento delle condizioni di vita delle donne ed infine per avviare un vero e proprio cambiamento più radicale a livello sociale.

Come si svolge il lavoro di informazione e sensibilizzazione di CISDA nella realtà italiana? Collaborate con i quotidiani nazionali o avete un vostro canale di informazione?
Certo. L’ informazione e sensibilizzazione sulla difficile situazione in Afghanistan è uno dei punti chiave del lavoro del CISDA. Il coordinamento può contare su un’importante rete di contatti – giornalisti, associazioni, attivisti, figure politiche – sul territorio italiano che aiutano a dare visibilità alla realtà afghana, senza filtri, così come ci viene riportata dalle associazioni partner in Afghanistan o dalle nostre delegate. Oltre al lavoro di sensibilizzazione nelle scuole italiane, l’organizzazione di incontri pubblici, presentazioni di libri e film relativi all’Afghanistan, il CISDA opera attraverso il proprio sito web (www.osservatorioafghanistan.org), e la pagina facebook CISDA dove è possibile ottenere maggiori informazioni e contattarci.

Com’è possibile collaborare con CISDA? Quali sono i suoi progetti?
Tra i vari progetti che il CISDA sostiene in Italia vi è l’accoglienza di bambini provenienti dagli orfanotrofi afghani di AFCECO presso famiglie del milanese; la promozione di adozioni a distanza per sostenere gli orfanotrofi di AFCECO; il finanziamento di borse di studio in Italia a cittadine afghane; la copertura delle spese mediche per cittadini afghani in Italia e in Afganistan.

L’associazione collabora a progetti di finanziamento a rifugi per donne vittime di violenza domestica (in partnership con HAWCA), ad ambulatori medici, tra questi l’Ospedale Malalai nel campo profughi di Peshawar, a corsi di alfabetizzazione e centri polifunzionali per donne afghane, acquisto e distribuzione di capre e generi alimentari nelle provincie più povere del Paese, e molto altro ancora.

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