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Violenza, matrimoni forzati di minori, abusi: quello che le donne afghane subiscono

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Cospe, gennaio 2018

Afghanistan70 300x225Riportiamo l’estratto di un articolo comparso il giorno 26 dicembre 2017 sul giornale online Newsweek scritto da Shafiqa Noori, direttrice generale della ONG Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan” (HAWCA) che dà assistenza a donne e bambini in Afghanistan. HAWCA è partner di COSPE Onlus nella campagna “Women for change”,  nata nell’ambito del progetto AHRAMAfghanistan Human Rights Action and Mobilisation”, che lavora sull’empowerment delle donne in Afghanistan a livello politico e sociale, e del progetto “Vite preziose” che  sostiene legalmente e psicologicamente donne e bambine vittime di violenza  nei centri di Hawca a Kabul e Herat.

Sahar aveva solamente 10 anni quando è stata data in sposa a un uomo più anziano. Suo padre ha accettato di darla in matrimonio secondo quella che, nella cultura afghana, è chiamata “badal” (vendetta), in modo da poter avere una seconda moglie. Una volta sposata, Sahar, è stata obbligata ad abbandonare la scuola, non le era permesso di mangiare e veniva picchiata.

Lina ha una storia simile, ma con radici più antiche. All’età di 10 anni, lo zio l’ha promessa in matrimonio a suo cugino. Dopo 30 anni di abusi, è riuscita a scappare, ma secondo la legge afghana, deve aspettare altri tre anni per divorziare dal marito.

 

Entrambe, Sarah, che ha adesso 14 anni, e Lina, che ne ha 43, sono riuscite a fuggire e raggiungere il nostro centro d’accoglienza a Kabul, dove sono ricoverate insieme ad altre 200 donne.

L’Afghanistan è uno dei paesi più pericolosi al mondo per le donne. Giornalmente, sia nella vita pubblica che privata, le donne sono soggette a una serie di pressioni e minacce che non permette loro di vivere liberamente.

L’arrivo e lo stanziamento di forze militari straniere sul territorio afghano, primi fra tutti Stati Uniti e Russia, non ha portato alla liberalizzazione dello Stato e dei suoi cittadini. È chiaro che la situazione debba essere cambiata dall’interno e che sia il governo il primo ad impegnarsi nella tutela del genere femminile.

L’abolizione del matrimonio forzato di minori è sicuramente uno dei principali cambiamenti che devono avvenire in Afghanistan. La legge in vigore stabilisce 16 anni come età minima per il matrimonio, ma raramente viene rispettata e bambine di 12 anni sono date in sposa se dimostrano più dell’età che hanno. Solo il 15% delle bambine afghane sono istruite e il 60% sono obbligate a sposarsi entro i 16 anni.

L’età minima per sposarsi dovrebbe essere aumentata ai 18 anni, standard internazionale. E dovrebbe essere prevista una pena per chi costringe minori al matrimonio, anche se parenti. Questo dimostrerebbe che bambine e bambini sono eguali e che meritano di essere trattati allo stesso modo.

Un’altra problematica con cui spesso ci confrontiamo nel nostro centro di accoglienza è l’obbligo per ogni donna che ha subito abusi da parte del marito di aspettare tre anni dalla denuncia per divorziare. Questa legge non difende l’incolumità delle donne, obbligandole a rischiare la loro vita ulteriormente.

Inoltre, il governo Afghano deve tutelare maggiormente le donne che fuggono da violenze domestiche, assicurandosi che – una volta fuori dal contesto domestico – non subiscano ulteriori vittimizzazioni. Secondo la regolamentazione 1133 della Corte Suprema Afghana, non è permesso alle donne che scappano per violenza sessuale di rifugiarsi in un hotel, ma devono necessariamente dirigersi da un parente, una ONG o un ente locale. Altrimenti saranno punite.

L’attività di stalking è un altro problema che sta recentemente aumentando, ma che non è ancora riconosciuto come un crimine dalla legge afghana. Da poco, è passata al governo una proposta di legge ma ancora non è stata messa in atto. A livello giuridico, se non vi sono sufficienti prove per dimostrare un’attività di stalking, non è prevista alcuna protezione per la potenziale vittima. La stessa società civile fa fatica a riconoscere lo stalking come una violenza contro le donne: i familiari della vittima o il perpetratore spesso fanno pressione sulla donna affinché non denunci la violenza.

Le leggi che tutelano, invece, donne che hanno già subito violenza non sono però molto diverse. Una donna abusata è normalmente messa di fronte a grandi ostacoli quando apre una causa contro il perpetratore. Coloro che commettono violenza contro le donne solitamente vengono assolti e il reato estinto. Il sistema giudiziario è altamente corrotto e molti giudici hanno paura di andare contro i perpetratori in difesa delle donne.

L’intero sistema legale afghano ha bisogno di essere migliorato e modificato. Avvocati e giudici dovrebbero essere assunti nelle Corti e nella Magistratura. Dovrebbe essere data maggiore priorità ai casi di violenza contro le donne e il reato per crimini morali dovrebbe essere inclusa nella legge contro la violenza femminile già in vigore.

Ma non basta difendere le donne, altre attività sono necessarie. Innanzitutto, chi sopravvive ad abusi deve anche ricevere un supporto per essere reintegrato nelle comunità. Donne e bambine hanno bisogno di istruzione, offerte di lavoro e assistenza psicologica. Inoltre, va educata la società civile. Dovremmo attivare un programma di sensibilizzazione a livello nazionale rivolto a studenti, autorità religiose e mullah (insegnati di religione islamica) per educarli all’eguaglianza di genere e contro la violenza delle donne. Per quanto riguarda i fondi governativi ai centri di accoglienza come il nostro, dovrebbero essere aumentati e resi sostenibili. All’inizio dell’anno 2017, i fondi sono stati tolti al nostro centro per un periodo. Non possiamo permetterci che ciò accada ancora, mettendo così a rischio la vita di centinaia di bambine e donne.

L’Afghanistan può diventare un paese più sicuro di quel che è ora, ma solo il nostro governo può aiutarci e fare in modo che donne e bambine come Sahar e Lina non debbano vivere nella paura. La lunga guerra portata avanti dagli Stati Uniti non ci ha certo resi più liberi. Dobbiamo dunque occuparcene noi.

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