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Il nostro Afghanistan, 8 donne raccontano

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di Viviana Mazza inviata a Kabul – Corriere.it – 5 Dicembre 2016

Dopo 15 anni di guerra, gli occidentali si ritirano. Siamo andati a vedere cosa è cambiato per le ragazze, madri, insegnanti, avvocate, sostenute dall’associazione italiana Cospe.

L’atmosfera a Kabul è da fine di un’era. Il rombo degli elicotteri militari è continuo, le barriere di cemento sono sempre più alte intorno alla «zona verde». I diplomatici non escono più e volano, anziché guidare, anche all’aeroporto, per evitare rapimenti, autobomba o piccole ma letali “sticker bomb” attaccate ai fianchi dell’auto da bimbi mendicanti pagati dai miliziani.

Quindici anni dopo l’inizio della guerra in Afghanistan, c’è grande insicurezza nella capitale, per non parlare delle province controllate al 30% dai talebani. Le truppe della NATO sono ridotte a 13mila, tra cui 8.400 americani e circa 800 italiani. Il governo è debole, corrotto e diviso, i soldati afghani caduti sono migliaia, l’economia è a pezzi. L’intervento nel 2001 fu motivato dall’11 settembre ma presentato anche come una opportunità di aiutare le afghane, oppresse dai talebani. Sono state elette in parlamento, ci sono leggi sulla carta che le proteggono, ma molte conquiste sono fragili e reversibili.

Per questo, 15 anni dopo, ascoltiamo le loro voci, in collaborazione con Cospe , associazione italiana che realizza con l’organizzazione femminile afghana Hawca progetti di cooperazione a sostegno dei difensori dei diritti umani e delle donne in particolare. Anche la presidente della Camera Laura Boldrini dovrebbe andare in Afghanistan il 10 dicembre per gli auguri di Natale al contingente italiano a Herat (crisi di governo permettendo).

saley politica opposizione kEsG U43250707094102QYE 593x443Corriere Web SezioniSelay, la politica contro la corruzione
«Non è importante la quantità di donne in Parlamento o quante escono con la sciarpa anziché il burqa. Quel che conta è il numero di lapidazioni, l’assenza di ospedali in Nouristan e di scuole femminili a Farah, le donne avvelenate a Kandahar, le detenute innocenti. Il sistema giudiziario è il pilastro più corrotto.

E il presidente Ghani non è meglio di Karzai. Ha fatto la pace con Gilbuddin Hekmatyar, il macellaio di Kabul che gettava l’acido in faccia alle donne. Il ministro della Giustizia appartiene al suo partito».

Selay Ghaffar è la portavoce del Partito della Solidarietà, laico e di sinistra. Ha lasciato il mondo delle Ong: «Ci usano per le photo opportunity. Se le 69 parlamentari avessero scioperato, forse ci sarebbe stata giustizia per Farkhunda, ma invece si mobilitano per il loro salario».

avvocata minacciata kV0G U43250707094102aEF 593x443Corriere Web SezioniLatifa, l’avvocatessa che aiuta le donne picchiate
Latifa Sharifi fa l’avvocato per Hawca, storica associazione femminile afghana. «Dopo la caduta dei talebani, ci sono stati molti cambiamenti», dice. Ma alle sue spalle un poster denuncia le auto-immolazioni: darsi fuoco per tante donne vittime di violenza domestica è tuttora l’unica ribellione. Latifa le aiuta a ottenere il divorzio. «Devi provare di essere stata picchiata. Ma alcune madri, quando scoprono che i figli dopo i 7 anni e le figlie dai 9 restano col padre, preferiscono sopportare le botte». Latifa non racconta al marito delle continue minacce che riceve, da altri uomini o da talebani. «Temo che non mi permetta più di lavorare». Cosa accadrà se gli occidentali lasciano l’Afghanistan? «Sarà molto peggio. Anche ora ci danno i soldi ma non abbiamo auto blindate né guardie».

foo t kEsG U43250707094102vJE 593x443Corriere Web SezioniMalalai, la calciatrice in nazionale
Malalai si toglie il velo a pois, rivelando una bella chioma bionda, comune tra le ragazze del Nouristan, provincia innevata al confine pachistano, e indossa la divisa della nazionale di calcio. Ha 19 anni, lo stesso nome dell’eroina che lottò contro i britannici e della Nobel pachistana Malala Yousafzai. «Sono la prima calciatrice del Nouristan», dichiara con orgoglio. «Le mie coetanee sono sposate, hanno tanti figli e non hanno il permesso di studiare». Ma alla morte del padre, lo zio che ha sposato sua madre ha lasciato che lei e le sorelle fossero accolte dall’orfanotrofio Afceco di Kabul. Protette da mura e guardie armate, studiano, fanno sport e suonano strumenti musicali. «Mio zio sa che gioco a calcio, la tribù no. I talebani una volta lo hanno arrestato perché studiamo, è libero grazie agli anziani». Malalai corre nello stadio tra ragazze pashtun, tagike, hazara. E in questo istante dimentica il rombo degli elicotteri e il dirigibile carico di telecamere che sorveglia preoccupato Kabul.

 

lattivistachehalottatoperfarkhunda kEsG U43250707094102EiE 593x443Corriere Web SezioniWeeda, l’attivista che documenta i crimini di guerra
Weeda Ahmad studiava filosofia quando nel 2007 furono scoperte tre enormi fosse comuni. «E il governo non fece nulla». Ha iniziato a documentare i crimini di guerra commessi in tre decenni in Afghanistan. Ci ha provato anche con Farkhunda, la 27enne uccisa a Kabul perché falsamente accusata di aver bruciato il Corano. Weeda organizzò la prima manifestazione.

«Le donne affrontano violazioni quotidiane, ma questa è la più brutale dalla guerra». La condanna a morte di 4 persone è sospesa e la famiglia di Farkhunda è fuggita. A casa di Farkhunda, un poliziotto ci impedisce l’accesso. «Fu uccisa in una zona sotto controllo di un comandante jihadista, che garantisce ai suoi l’impunità». Le donne hanno costruito un monumento — un pugno rosso verso il cielo — nel luogo del martirio.

ragazzascappata kEsG U43250707094102ApD 593x443Corriere Web SezioniMeena, fuggita dalle nozze forzate
Magrissima ma volitiva, Meena, 19 anni, insiste nel versare il tè nonostante il braccio ingessato. «Quando mia madre è morta, mio padre voleva costringermi a sposarmi per ottenere per sé un’altra moglie. Il ragazzo non mi piaceva, mio padre non voleva più mandarmi a scuola. Sono scappata. Mi sono sentita fortunata ma quando una donna lascia la propria casa è come se morisse».

Il Dipartimento per gli affari femminili di Herat l’ha mandata nella casa rifugio di Hawca, una delle 22 gestite in luoghi segreti da varie associazioni. Solo qui arrivano 120 donne l’anno. «La gente pensa che qui ci prostituiamo, non è vero». Da tre anni è al sicuro ma nel limbo. Si cerca di mediare il ritorno a casa, ma si teme che i padri le uccidano per il disonore. «L’altra via è il matrimonio, ma io vorrei cavarmela da sola». Ma nella società non è accettato.

DETENUTA kEsG U43250707094102KZG 593x443Corriere Web SezioniYalda accusata di adulterio
Accasciate nei letti a castello, coi bimbi, 16 donne aspettano il verdetto: «Tre danzavano, 2 hanno bevuto vino e si sono picchiate, 2 adultere, 3 accusate di traffico di droga…», conta la direttrice del centro di detenzione temporaneo. Yalda, 32 anni, è qui da tre mesi ma la prigionia inizia a 13 anni: «Mio padre mi ha data a un vecchio. Beveva, mi picchiava, mi rubava i soldi, molestava le nostre figlie.

Ho divorziato e ha presentato una mia foto con un uomo, falsa, fatta al pc». Condannata a 13 anni, Yalda aspetta l’appello. Scappare di casa non è più un crimine, grazie alla legge per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma i mariti le accusano di adulterio. I carcerieri dicono che «quelle che danzano, bevono o hanno rapporti illeciti sono sottoposte a test di verginità»: tortura che, malgrado i dinieghi ufficiali, continua.

gener kEsG U43250707094102FkG 593x443Corriere Web SezioniHakmat, da casalinga a super poliziotta
L’Afghanistan è uno dei posti più pericolosi per i poliziotti. È dura per gli uomini, ed è peggio per le donne, spesso in borghese: è troppo pericoloso mostrarsi in uniforme. «Sono la terza donna a diventare generale della polizia», dice Hakmat Shaheen dietro la scrivania, in completo nero e col velo viola in testa. Al quartier generale della polizia a Kabul, i poliziotti la salutano sull’attenti. Ha 5 figli e un marito ingegnere con 11 anni in meno.

«Ho 38 anni d’esperienza. Prima dei talebani non c’erano donne generale, sotto i talebani stavo a casa. Mio zio era generale della polizia, vivevamo con lui dopo la morte di mio padre. Mi incoraggiava sempre, non pensava che dovessi essere una donna normale, una casalinga. Ora il governo dice che dobbiamo attirare più donne nella polizia». Ma per ora sono 2.700 su un totale di 157 mila poliziotti.

madre divorziata kEsG U43250707094102W4B 593x443Corriere Web SezioniMomana che cuce vestiti e mantiene da sola i suoi figli
Quella di Momana Mohmad Azim è una storia a lieto fine, nonostante il burqa. Una storia quasi impossibile. Scappata dal marito, uomo potente di Kunduz, tossicodipendente che picchiava lei e i bambini, ha ottenuto il divorzio e, dopo la morte di lui, ha trovato lavoro come sarta in campagna, in una casa rifugio «aperta» della Mezzaluna rossa: paga l’affitto, cresce i tre figli e porta il burqa per sicurezza. Spari in lontananza. «Non sono talebani, è l’accademia di polizia!», ride la più piccola, Fareshteh, 9 anni.

Quando Momana fuggì la prima volta, era incinta di Fareshteh: la casa rifugio la spinse a tornare indietro. «A dieci giorni dal parto, mio marito disse che l’avrebbe venduta o uccisa». Quell’incubo è finito. Ora la inquieta che il figlio maggiore, 17enne, non voglia studiare. «Ha paura di uscire, uno zio vuole portarlo a Kunduz».

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