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Fotografie di donne condannate per “reati contro la morale” in Afghanistan

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ilPost.it – 27/5/2015

Maj Daylight AlmondGarden 062 721La foto di una donna detenuta con la sua bambina in un carcere dell’Afghanistan (dal libro Almond Garden di ©Gabriela Maj)

Un reportage su donne incarcerate per aver violato “la legge di Dio”, spesso destinate a essere uccise una volta rilasciate.

Gabriela Maj è una fotogiornalista polacco-canadese che ha collaborato con diverse testate internazionali e televisioni. Il suo ultimo lavoro è stato raccolto in un libro intitolato Almond Garden e racconta per immagini e attraverso una serie di interviste la vita delle donne afghane detenute in carcere per “reati contro la morale”.

“Reato contro la morale” è un termine molto vago applicato per qualsiasi violazione della legge islamica, la shari’a: in alcuni casi queste donne sono fuggite da matrimoni in cui venivano abusate o ridotte a condizioni di schiavitù domestica, in altri sono colpevoli di aver fatto sesso prima o fuori del matrimonio (nel diritto islamico, si tratta del reato di zina), in altri casi ancora si tratta di donne che sono state stuprate o costrette a prostituirsi. Mentre i responsabili di queste violenze restano liberi, le loro vittime sono condannate a vivere in carcere, a volte incinte e con poche speranze di un futuro per sé e per i propri figli.

 

Gabriela Maj ha avviato il suo progetto nel 2010 su incarico e per uno specifico servizio. Nei quattro anni successivi, fino al 2014, è tornata in Afghanistan sei volte cercando di avere accesso anche ad altre carceri del paese, spesso non ottenendo il permesso. In diverse prigioni le è invece stato concesso di entrare, perché era una donna e dunque il suo lavoro non era percepito come minaccioso o politicamente rilevante: in molti casi, quando veniva lasciata alla sola presenza di un’interprete, è riuscita a parlare liberamente con le detenute. Ha avuto contatti con decine di donne nelle loro celle, venendo molto spesso disprezzata perché le trattava con cura e dignità. Maj ha pubblicato solo le parole o le immagini per le quali ha ricevuto uno specifico permesso dalle dirette interessate: i nomi delle donne sono stati comunque cambiati e le loro storie sono state volutamente separate dai loro ritratti.

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