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Giornalisti afgani sotto attacco

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I talebani prendono di mira chi li critica dai media afgani

Da The Guardian – 30 dicembre 2015

bambino giornaliJawed Kohistani non si è sorpreso che qualcuno lo volesse morto. Nello scorso novembre, i servizi segreti afgani gli avevano mandato una lettera avvisandolo che alcuni criminali stavano programmando di uccidere lui e altri analisti politici, tra cui il noto editorialista Ahmad Saeedi.

Ricevuta la lettera, il 24 novembre Kohistani ha chiamato Saeedi per metterlo subito in guardia, ma la chiamata è rimasta senza risposta: era già troppo tardi. Qualche minuto prima, Saeedi aspettava in macchina che la moglie uscisse dal dentista. Stava armeggiando con la radio quando alzando lo sguardo aveva visto un giovane uomo ben rasato e ben vestito, su una moto, che puntava una pistola con il silenziatore contro di lui. In un attimo, l’uomo gli ha sparato due colpi in faccia.

Saaedi si è salvato, anche se ha danni permanenti alla vista e all’udito. In un’intervista con il “Guardian” il giorno dopo il suo rientro a Kabul dal ricovero in India, dove era stato sottoposto a vari interventi chirurgici e trapianti, diceva: “Quando sono stato colpito, mi trovavo a meno di 100 metri dal ministero degli Interni. Chi mi ha voluto colpire è nel governo”. Una pallottola gli è rimasta conficcata nello zigomo.

L’attentato contro Saeedi fa parte di una serie di attacchi contro noti analisti politici, giornalisti e commentatori mediatici di Kabul. Mentre Saeedi punta il dito contro quella che lui chiama una “quinta colonna” di simpatizzanti dei talebani all’interno del governo, Kohistani, che fa spesso ricorso a fonti interne al mondo delle fazioni armate, crede che dietro gli attentati ci sia la rete Haqqani affiliata ai talebani. “Hanno più paura di noi che dei generali dell’esercito” dice.

Due settimane dopo l’attentato a Saeedi è stata la volta di Kohistani. Il giornalista è riuscito a scampare l’attentato grazie ai suoi vicini, che avevano notato tre uomini con il volto coperto stare in agguato nel suo giardino e li avevano cacciati armi alla mano.

Secondo NAI, un’organizzazione indipendente di media afgani, sono almeno sette gli analisti politici che hanno subito attacchi tra ottobre e novembre 2015. Tratto comune tra i bersagli, tutti erano stati molto critici sulla politica del Pakistan e avevano parlato apertamente di spaccature all’interno dei talebani, in un momento in cui il movimento sta patendo una profonda crisi di leadership.

Anche uno degli analisti di NAI, Sediqi Tawhidi, è stato oggetto di un attentato. Tawhidi lascia il al suo ufficio di Kabul sempre alla stessa ora, ma quel giorno era uscito prima. Il suo autista l’aveva portato a casa, aveva parcheggiato l’auto ed era andato a pregare. Era dentro la moschea quando ha sentito lo scoppio. “La bomba era sotto il sedile dove mi siedo sempre io” ha detto Tawhidi, che pensa ci fosse un timer programmato per fare scoppiare la bomba all’orario in cui era solito percorre il tragitto dall’ufficio a casa.
In Afghanistan, essere un personaggio pubblico comporta sempre un rischio; ma nel mese di ottobre il clima è sembrato improvvisamente peggiorare.
Durante l’assedio della città di Kunduz, nel Nord, i talebani hanno preso di mira due emittenti nazionali, TOLO TV e 1TV, dicendo che dovevano essere considerate legittimamente bersagli da colpire. La tragica presa di posizione veniva dopo che le due televisioni avevano denunciato abusi sessuali e violenze commesse da militanti talebani. Kohistani aggiunge: “I talebani sostengono che [le due reti televisive] sono finanziate da stranieri per lavorare dalla parte dei “crociati” contro il Pakistan e i talebani”.

Il portavoce del ministro dell’Interno, Sediq Sediqqi, non ha ancora detto nulla su eventuali sospetti degli attentati, mentre è in corso il processo investigativo. Afferma che tutti gli afgani sono potenziali bersagli dei terroristi, “ma certamente al momento c’è una minaccia contro le figure pubbliche”.

I media afgani e il dibattito pubblico hanno vissuto un notevole processo di trasformazione dal 2001 a oggi. Se durante il regime talebano non esisteva alcun organo di stampa libera, oggi ci sono più di 100 emittenti televisive e 250 radio distribuite nel Paese. Gli USA hanno speso più di 100 milioni di dollari per finanziare i media afgani, ma a mano a mano che le condizioni di sicurezza sono peggiorate in tutto il Paese molti dei risultati raggiunti corrono il rischio di perdersi. Secondo NAI, il 2014 è stato il peggiore anno per i giornalisti in Afghanistan dal 2001.

Kohistani accusa il governo di non sapere far fronte all’aumento di attentati nella capitale. “Non sono i talebani a diventare più forti, ma è il governo a essere più debole” dice.

Anche un altro analista politico, Toofan Waziri, è stato ucciso nella sua automobile. Il giornalista aveva detto pubblicamente che la morte del leader talebano Mullah Akhtar Mansoor avrebbe portato a una frattura nel movimento talebano. Gli era poi arrivato l’avvertimento che le sue dichiarazioni pubbliche non erano piaciute ai talebani. “Non mi sento più al sicuro ” aveva detto, aggiungendo che era preoccupato che gli attacchi potessero portare i giornalisti ad auto-censurarsi. “Ho visto vari analisti politici cambiare modi e toni.”

“Le condizioni di sicurezza erano un po’ meglio sotto [Hamid] Karzai,” afferma Tawhidi, che pure sotto il precedente governo ha ricevuto diversi avvisi dai servizi segreti su possibili attentati di cui sarebbe stato oggetto. “Questa volta non mi ha messo in guardia nessuno,” ha aggiunto.

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