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L’analista dell’Afghanistan: “Talebani all’attacco per riprendere l’egemonia del jihad”

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Repubblica.it – esteri, di Giampaolo Cadalanu – 14 maggio 2015

234604251 d01ed945 5e88 43c1 b15a 4b5272eea912L’attentato alla guest house di Kabul sembra indicare una prova di forza eclatante per riassumere centralità dopo l’avanzata dell’Is nel Paese, che sta reclutando tra i comandanti

L’attacco alla guest house di Kabul serve ai Talebani per riprendere l’egemonia della guerriglia islamica nel paese, messa in discussione dall’avanzata del sedicente Stato Islamico. E’ l’ipotesi proposta da Fabrizio Foschini, studioso dell’Afghanistan Analysts Network, da anni osservatore privilegiato degli “studenti coranici” e della politica afgana.

Come va interpretato l’assalto alla guest house? Fa parte della tradizionale offensiva di primavera?
“Così è stato annunciato dai Talebani ma in realtà l’idea di un’offensiva di primavera vale solo per Kabul, per il semplice fatto che altrove quest’anno la pausa invernale degli scontri non c’è stata. Nel nord dell’Helmand, nelle zone di Musa Qala o Sangin, i combattimenti sono stati molto intensi. Lo stesso vale per la provincia di Kunduz, in cui i Talebani controllano sostanzialmente tutte le vie di accesso, ma anche per tante altre zone”.

Allora, qual è il senso dell’assalto?
“Credo che sia una prova di forza dei Talebani: un attacco di alto profilo, nel cuore della capitale, contro gli stranieri, serve per riprendere il centro della scena. Gli ‘studenti coranici’ vogliono segnalare che sono vivi e vegeti, anche se sono infastiditi dall’arrivo in Afghanistan di Daesh, lo Stato Islamico, a cui alcuni comandanti di medio peso hanno giurato fedeltà”.

Che cosa volevano segnalare i Talebani?
“Che non si sono ammorbiditi davanti alla prospettiva della pace e che restano loro i protagonisti della lotta al governo e ai suoi sostenitori stranieri”.
Valgono sempre le divisioni fra i Talebani fedeli alla Shura di Quetta e la rete Haqqani?
“In realtà anche la rete Haqqani, considerata autrice degli attentati più sanguinari a Kabul, non ha mai preso le distanze dal movimento dei Talebani. Le differenze sono interne al movimento, fra i duri e puri dell’ala ‘militare’ e gli esponenti dell’ala ‘politica’, la seconda più disponibile ai negoziati”.

Ma chi sono gli irriducibili?
“A rifiutare ogni prospettiva di negoziato sono soprattutto i comandanti ‘sul campo’, quelli che nella guerra hanno trovato un mestiere e non hanno nulla da guadagnare abbandonando il jihad. Sono loro i più disponibili per il reclutamento dello Stato Islamico”.

Perché?
“Intanto, per i grandi mezzi finanziari di cui questa organizzazione dispone. Poi ci sono quelli che combattono spinti da un’ideologia radicale e pensano di poter rovesciare il governo di Kabul, che se le aperture al negoziato mostrate da una parte del movimento si concretizzassero potrebbero decidere di continuare a combattere sotto le bandiere nere di Daesh. Infine ci sono elementi di attrazione ideologica in senso più ampio: lo Stato Islamico propone una lotta globale, e i Talebani invece hanno sempre avuto un profilo rigidamente nazionale. Per loro l’obiettivo è cacciare gli ‘invasori’ e riportare l’Afghanistan sotto la sharia, l’Is invece sogna un califfato mondiale. E un programma di ‘pulizia confessionale’, con attacchi alle comunità sciite, un terreno di scontro fino ad ora ‘poco battuto’ in Afghanistan, ma che potrebbe attirare i settori più radicali dell’Islamismo Afghano e interessi geopolitici esterni”.

Ma in passato anche i Talebani hanno decimato gli sciiti Hazara.
“È vero, ma lo hanno fatto perché si opponevano alla loro egemonia militare. I miliziani dell’Is in Iraq, invece, hanno attaccato sciiti, yazidi, cristiani, per motivi religiosi”.
Nei negoziati in Qatar ci sono segnali di disponibilità da parte dei Talebani per accettare una maggiore tutela delle donne, il loro diritto allo studio, al lavoro, alla scelta del coniuge.

Sono convincenti?
“Ci sono esponenti del movimento che mostrano aperture, ma non credo che questi negoziati porteranno presto alla pace. Restano ‘scoglì come la presenza di basi militari straniere, l’accettazione dei valori costituzionali e, infine, bisognerebbe trovare posti di governo da distribuire anche a loro, e non è facile, visto che solo per dividere le poltrone fra gli uomini di Ghani e quelli di Abdullah c’è voluto tantissimo”.

Che cosa è cambiato dopo la fine della missione Isaf?
“Le Forze Armate afgane sono messe a dura prova, perché non hanno appoggio aereo nelle loro operazioni. E poi gli stessi soldati mancano di motivazione e sono pagati miseramente”.

Insomma, quali sono le prospettive per il Paese? L’ipotesi Saigon, con un fuggi-fuggi generale, è plausibile?
“Non credo. Posso immaginare un periodo di stallo, in cui però l’Afghanistan non riparte e continua a impoverirsi”.

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