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LE RAGAZZE E LE DONNE AFGHANE OGGI – REALTÀ E SFIDE

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Discorso di Jessica Mosbahi – Medica Mondiale – durante il Panel Meeting delle Nazioni Unite Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite – Ginevra – 9 giugno 2011

Medica Mondiale

Signore e signori,

Innanzitutto vorrei ringraziarvi per l’opportunità di poter parlare in questa sede in merito alla situazione attuale delle ragazze e delle donne in Afghanistan.

Rappresento l’organizzazione per i diritti umani Medica Mondiale che ha la sua base in Germania e opera a sostegno di donne e ragazze che vivono in territori di guerra e di crisi e hanno subito abusi sessuali o altre forme di violenza.

Medica Mondiale venne fondata durante la guerra in Bosnia ed Herzegovina nel 1993 dalla Dott.ssa Monika Hauser, vincitrice del Premio 2008 a Sostegno dei Diritti (Right Livelihood Award). Con la creazione di un centro terapeutico per donne a Zenica, Monica Hauser e le sue colleghe reagirono contro gli innumerevoli stupri di massa completamente ignorati dalle altre ONG internazionali e dalle istituzioni politiche.

Per quanto riguarda l’Afghanistan, Medica Mondiale ebbe l’opportunità di costruire un progetto in Afghanistan nel 2002 nelle città di Kabul, Herat, Mazar-e-Sharif e Kandahar dopo la caduta dei Talebani. Nel dicembre 2010 questo progetto si trasformò in una ONG afghana indipendente denominata Medica Afghanistan – Organizzazione a Sostegno delle Donne (Women’s Support Organisation).

Poiché le nostre colleghe afghane non possono essere qui con noi oggi, vorrei presentarvi il loro lavoro in modo che possiate rendervi conto dell’attuale situazione delle donne e delle ragazze in Afghanistan, consapevolezza che anche noi abbiamo acquisito attraverso una quotidiana collaborazione con le nostre colleghe afghane.

La direttrice di Medica Afghanistan, Humaira Ameer-Rasuli, che si è recata in Germania due settimane fa, ha affermato: “Dopo dieci anni di apparente democrazia, i veri luoghi democratici in Afghanistan sono decisamente pochi. Le donne non godono in nessun modo di una vera libertà. Non ci è permesso dire cosa pensiamo. Le donne non hanno nessun ruolo nella società afghana. I loro diritti civili come cittadine non vengono riconosciuti né rispettati”.

Tuttavia, i giornali mostrano spesso un quadro diverso della situazione attuale delle donne e delle ragazze afghane e tendono a evidenziare un netto miglioramento nelle loro vite dal 2001 ad oggi, in particolare in merito all’educazione delle ragazze, alla rappresentatività delle donne in politica e alle strutture sanitarie.

È sicuramente rilevante e positivo sapere che il numero delle ragazze che frequentano la scuola è passato dai 5.000 del regime talebano ai 2.4 milioni della situazione attuale. Tuttavia, bisogna anche tenere in considerazione che dal 2006 ad oggi gli sforzi per migliorare l’educazione femminile sono diminuiti o addirittura, secondo un sondaggio pubblicato recentemente ed effettuato da varie organizzazioni e istituzioni afghane e internazionali, si sono completamente azzerati negli ultimi cinque anni. Inoltre, dei 2.4 milioni di ragazze iscritte a scuola, il 20% non frequenta regolarmente. Da non dimenticare le aggressioni con acido nei confronti delle studentesse nell’ultimo anno, a dimostrazione del riemergere di una pericolosa tendenza a negare nuovamente i diritti femminili.

Se si osserva attentamente la situazione, si può notare che, oltre agli enormi ostacoli che le donne devono tuttora affrontare in ogni area dell’Afghanistan, la situazione si sta di nuovo deteriorando e i loro basilari diritti umani sono ancora in pericolo.

Permettetemi di citarvi alcuni dati:

Solo il 6% delle donne al di sopra dei 25 anni ha ricevuto un’educazione e solo il 12% delle donne al di sopra dei 15 anni sa leggere e scrivere.

  • Ogni 30 minuti una donna muore per complicazioni legate alla gravidanza.
  • Solo il 14% delle nascite è controllato da personale sanitario competente.
  • Circa il 60% delle ragazze si sposa prima dell’età minima legale di 16 anni.
  • La percentuale delle donne forzate al matrimonio va dal 60% all’80%.

In generale:

. La violenza domestica, sia fisica che psicologica, è un problema costante.

. Lo stupro è un problema presente nell’intero Paese e trasversale a tutte le classi sociali. La maggioranza degli stupri avviene nei confronti donne in età compresa fra i 10 e i 20 anni, benché sia difficile avere dei dati corretti poiché solo poche di loro riescono a raccontare questa esperienza per timore dello stigma sociale.

. Le donne sono costantemente sottoposte a minacce, vessazioni e attacchi nella loro vita pubblica e le attiviste temono costantemente di essere assassinate, come è accaduto a Sitara Achakzai e Malalai Kakar.

. Il tradizionale meccanismo di risoluzione dei conflitti chiamato “baad” è tuttora diffuso: le donne e le ragazze vengono forzate al matrimonio dai parenti a compensazione di ingiustizie commesse dalla loro famiglia ad altri.

. Una conseguenza dei matrimoni infantili e forzati e della costante violenza fisica e psicologica è il suicido attraverso l’auto-immolazione.

Questi dati non sono conclusivi, ma possono dare un’idea generale dei principali problemi che le donne e le ragazze afghane devono tuttora affrontare.

Come precedentemente indicato, dal 2002 Medica Afghanistan cerca di contribuire al miglioramento della vita delle donne afghane.

Per utilizzare un termine professionale olistico, si può affermare che Medica Afghanistan offre servizi diretti a donne e ragazze e nel contempo porta avanti un lavoro di difesa e tutela per un cambiamento sostenibile della situazione politica e sociale delle donne afghane.

I servizi diretti si focalizzano su:

  • Assistenza psicologica a donne e ragazze vittime di abusi sessuali e altre forma di violenza.
  • Rappresentanza e assistenza legale per donne e ragazze carcerate e per coloro che vogliono divorziare da mariti violenti.
  • Mediazione familiare allo scopo di ottenere soluzioni pacifiche.
  • Formazione avanzata di personale sanitario e altri professionisti, in particolare nell’approccio traumatico.

Lo scopo del lavoro di avvocatura è quello di integrare questi servizi diretti facendo pressione direttamente sul governo afghano e costruendo una consapevolezza all’interno della società afghana. Per fare un esempio, Medica Afghanistan ha condotto una campagna di denuncia contro i diffusissimi matrimoni infantili e forzati e tiene corsi di formazione per Mullah e giudici in merito alle procedure di denuncia.

Grazie a questo lavoro Medica Afghanistan:

  • Ha fornito assistenza psico-sociale a 2300 donne.
  • Ha sostenuto con assistenza legale 8000 donne in casi criminali.
  • Ha offerto corsi di formazione legati agli approcci traumatici ad un totale di 440 operatori sanitari e sociali.
  • Ha condotto corsi di formazione per 35 giudici e 36 Mullah sul tema della denuncia di matrimoni.

Nonostante tutti i problemi che abbiamo dovuto affrontare durante il processo di nazionalizzazione, possiamo affermare che il lavoro di Medica Afghanistan è stato un successo. Inoltre, negli ultimi nove anni abbiamo notato, non solo grazie alla collaborazione con le nostre colleghe ma anche osservando il lavoro di altre attiviste e organizzazioni impegnate in Afghanistan, che nonostante tutto si è creato un forte movimento di donne afghane che lottano per i loro diritti.

In merito alla situazione attuale delle donne in Afghanistan, si evidenzia uno sviluppo ambivalente: da una parte, a partire dal 2001, molte donne istruite si sono impegnate in vari campi per i diritti e il miglioramento della qualità della vita femminile. Le reti di donne si sono evolute e la loro visibilità sul piano politico è notevolmente aumentata. Dall’altra parte, si verifica un incremento della tendenza conservatrice all’interno della società e tutti quei diritti garantiti costituzionalmente vengono messi a rischio dal sistema giudiziario e dallo stesso governo afghano.

Ciò che avviene in ambito legale evidenzia i vari tentativi di affossare i diritti delle donne passo dopo passo.

Forse alcuni di voi ricorderanno l’applicazione della famosa “Legge Shiita” del 2009. Questa legge venne emessa prima delle elezioni presidenziali dell’agosto 2009 e si diceva che il Presidente Karzai avesse accettato di promulgarla per ottenere i voti della popolazione maschile shiita che costituisce il 10% della popolazione afghana. Questa legge, che permetteva agli uomini shiiti di negare cibo e sostentamento alle mogli se queste si fossero rifiutate di obbedire alle richieste sessuali dei mariti, venne alla fine rettificata grazie alle forti pressioni internazionali. Tuttavia la nuova legislazione contiene ancora molti punti estremamente discriminatori per le donne e, in ogni caso, il fatto che il Presidente Karzai avesse accettato questa legge in prima istanza dimostra con estrema chiarezza che il rispetto per le donne e per i loro diritti costituzionali è decisamente irrilevante.

Nella primavera del 2010 il Consiglio dell’Ulema – composto da religiosi – emise un decreto che consisteva in tre articoli i quali affermavano che una donna diretta in un luogo molto lontano da casa sua non dovrebbe viaggiare senza un mahram (accompagnatore maschio), anche se si dovesse trattare di un pellegrinaggio alla Mecca, poiché un comportamento simile andrebbe contro la Sharia e verrebbe considerato un crimine punibile per legge.

Tale decreto affermava anche che una donna che lavora in un’organizzazione straniera non deve essere lasciata sola nella stessa stanza con un uomo sconosciuto poiché, secondo la visione del Profeta, in tal caso ci sarebbe sicuramente una terza presenza, il diavolo, che scatenerebbe un’attrazione sessuale fra i due.

Lasciate che vi faccia un altro esempio: il cosiddetto “Decreto di Fuga” della Corte Suprema, emesso nell’ottobre 2010 è sulla stessa linea dei due precedenti. Infatti, questo decreto minaccia di punire quelle donne e ragazze che abbandonano la loro casa per sfuggire alla violenza e si recano in casa di gente sconosciuta poiché potrebbero commettere adulterio.

La coerenza, purtroppo negativa, fra tutte queste leggi diventa evidente con il famoso regolamento sugli shelters (case rifugio per donne maltrattate), la cui proposta è stata fatta poco dopo l’entrata in vigore del “Decreto di Fuga”.

L’obiettivo di questa proposta di legge era privare le ONG internazionali e afghane del diritto di gestire gli shelter, lasciandone la sovranità esclusivamente al Ministero degli Affari Femminili. L’apparente motivazione – estremamente superficiale – era il miglior coordinamento di tutte le attività degli shelter nel Paese.

Inoltre, questa legge conteneva provvedimenti che limitavano i diritti delle donne che cercano rifugio in queste case sicure e le avrebbe sottoposte a trattamenti decisamente indegni, come ad esempio venire esaminate da un gruppo di medici prima di essere ammesse.  Infatti, le attiviste per i diritti femminili ipotizzano che questo esame medico avesse lo scopo di verificare la verginità della donna in questione. Se consideriamo che questo decreto contiene molti altri provvedimenti allarmanti che non starò ad elencarvi ora, possiamo dedurre che il Ministero degli Affari Femminili non è assolutamente in grado di coordinare e organizzare il lavoro degli shelter. Infatti, prima della proposta di questo decreto, non aveva mai mostrato alcun interesse in merito né alcuna conoscenza specifica in questo campo.

Di fatto, l’enorme campagna diffamatoria creatasi in Afghanistan contro gli shelters, che li definiva luoghi di prostituzione, ha fatto sì che il governo decidesse di emettere la suddetta proposta di legge.

Fortunatamente, grazie ad una serrata azione delle attiviste e ad una forte pressione internazionale, alla fine il governo ha rettificato questa proposta. Le nostre colleghe afghane ci hanno informato che molti provvedimenti sono stati modificati a favore delle donne e che il governo si è astenuto dal rilevare la conduzione diretta degli shelters. E’ stato recentemente firmato un accordo tra le rappresentanti delle donne e il ministero della giustizia in merito a questo nuovo regolamento, che verrà presto messo in atto.

La legge sull’eliminazione della violenza contro le donne e la proposta di legge sulla famiglia sembrano essere a prima vista traguardi positivi, poiché entrambe rafforzano i diritti delle donne e le proteggono dalla violenza. Ma se li osservate più attentamente, noterete che questi apparenti traguardi sono ben lontani dall’offrire sicurezze.

L’applicazione della legge contro la violenza è stata recentemente sospesa per apparenti errori formali legislativi. Le attiviste temono che la revisione di questa legge sia in realtà una scusa per far sì che le forze conservatrici all’interno del governo afgano possano modificarla a discapito delle donne. La proposta di legge sulla famiglia attende da mesi l’approvazione del ministero della giustizia. Due settimane fa il ministro della giustizia ha dichiarato che l’applicazione di questa legge non costituisce per lui una priorità, di conseguenza non si sa se e quando verrà applicata.

Per concludere, si può affermare che negli ultimi anni ci sono stati dei “tentativi” di miglioramento della legislazione riguardante i diritti e la protezione delle donne. Tuttavia, né i diritti costituzionali che in realtà avrebbero già dovuto offrire le stesse garanzie di queste leggi emesse in seguito, né altre leggi nazionali a favore delle donne hanno mai apportato un vero cambiamento nella situazione femminile in Afghanistan.

Il modo conservatore di interpretare la Sharia da parte dei giudici e degli studiosi islamici che spesso interferisce nell’applicazione delle leggi nazionali, alcuni funzionari dei tribunali decisamente “poco educati”, la quasi totale mancanza di figure femminili all’interno del settore giustizia e il problema dilagante della corruzione, sono i maggiori ostacoli nella costruzione del sistema giudiziario afghano.

Il problema della scarsa presenza femminile in posizioni elevate e influenti non riguarda solo l’aspetto giudiziario. Nonostante le quote prevedano la presenza di un certo numero di donne nelle Jirga Wolesi e Meshrano, di fatto queste hanno poca influenza su istituzioni quali i ministeri e gli organismi che promulgano le leggi.

Anche in merito ai fattori legati alla pace e alla sicurezza, la partecipazione femminile è irrilevante. Nonostante la ratifica della risoluzione 1325 delle Nazioni Unite, nell’attuale processo di pace le donne appaiono raramente.

Solo grazie alla forte pressione delle attiviste afghane, un quarto dei 1600 posti alla Jirga della Pace a Kabul del giugno 2010 venne assegnato alle donne, anche se in origine non erano previste. In ogni caso, a queste rappresentanti femminili non venne permesso di tenere alcun discorso durante la conferenza.

Uno dei risultati di questa Jirga della Pace fu la costituzione nel settembre 2010 dell’Alto Consiglio per la Pace, un organismo indipendente creato per negoziare trattative con i Talebani. Dei suoi 70 membri, di cui molti sono ex signori della guerra, solo 10 sono donne. Questo esiguo numero fa sì che ci si chieda se il tema legato ai diritti e bisogni delle donne venga affrontato o meno.

Nonostante una delle cosiddette linee rosse per la negoziazione con i Talebani sia l’accettazione della costituzione afgana e di conseguenza dei diritti delle donne da essa garantiti, le attiviste afghane temono che tali diritti vengano venduti in cambio di un accordo di pace. In particolare in tempi come questi, in cui è già stata fissata la data del ritiro delle truppe internazionali.

Questi timori sono stati ulteriormente avvallati dal viaggio che l’Alto Consiglio per la Pace ha fatto in Pakistan nel gennaio di quest’anno per discutere il ruolo del Pakistan nel processo di pace afgano: nessuna donna membro del Consiglio era presente.

Permettetemi di concludere il mio discorso con alcune considerazioni.

Attualmente il mondo sta aspettando la 2^ Conferenza di Bonn in Germania che si terrà nel dicembre di quest’anno. Circolano voci riguardo a dialoghi tra i rappresentanti del governo afgano e dei talebani; la Comunità Internazionale sta programmando il ritiro delle truppe e l’eventuale trasferimento di responsabilità al governo afghano è sulla bocca di tutti.

Il tempo che rimane per arrivare alla prossima Conferenza di Bonn è limitato. È lì che verrà discusso il futuro dell’Afghanistan, dieci anni dopo la prima Conferenza che ebbe luogo nel 2001, e le attiviste per i diritti delle donne si chiedono se saranno incluse in questo processo di trasferimento. Finora, nessuno le ha interpellate in merito ai loro desideri, bisogni o richieste.

Nonostante le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon del settembre 2010 sull’applicazione delle risoluzioni 1325, 1888 e 1889 riguardanti le donne, la pace e la sicurezza: “Dobbiamo collocare le donne in testa e al centro del processo di pace, nelle negoziazioni e mediazioni, nel governo e nella ricostruzione post-conflitto”, finora non si sono visti in Afghanistan sforzi in questa direzione.

Noi e le nostre colleghe temiamo che i piccoli risultati ottenuti a favore delle donne e delle ragazze siano arrivati ad un punto di stallo e che la stabilizzazione dell’Afghanistan non potrà avvenire finché permarrà questa diffusa violenza contro le donne e finché i loro diritti non verranno accettati.

Voglio concludere con un’altra citazione di Humaira Ameer Rasuli: “Eravamo piene di speranza per un futuro migliore e in molte abbiamo lavorato per migliorare la vita delle donne. Tuttavia, continuare questo lavoro sta diventando ogni giorno piu’ difficile. E’ piuttosto semplice: se la comunità internazionale non ci sostiene non siamo in grado di andare avanti”.

Grazie infinite!

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