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Missione compiuta? L’Afghanistan è un fallimento disastroso e i nostri leader devono pagare

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di Seumas Milne – 18 Dicembre 2013 – The Guardian

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Le truppe inglesi non hanno raggiunto un solo obiettivo tra quelli previsti dalla loro missione in Afghanistan. Come in Iraq ed in Libia, è un vero disastro.

Di tutte le menzogne senza senso pronunciate dai politici, le parole di David Cameron in merito all’imminente ritiro delle truppe inglesi dall’Afghanistan e alla loro ‘missione compiuta’ meritano una riflessione a parte.

Sembrava quasi che, evocando il tristemente noto discorso di George Bush nel maggio 2003 in cui annunciava la vittoria americana in Iraq, il primo ministro britannico volesse a tutti i costi rendersi ridicolo.

In realtà le truppe inglesi, americane e Nato sono in Afghanistan da così tanto tempo – due volte la Seconda Guerra Mondiale – che forse i rispettivi leader hanno dimenticato il vero obiettivo della loro missione. Lo scopo iniziale della guerra in Afghanistan era quello di combattere Al-Quaeda, sconfiggere i talebani e catturarne o ucciderne i leader, Osama bin Laden e il Mullah Omar.

Questo obiettivo si è presto trasformato in una campagna militare in difesa della democrazia e dei diritti delle donne, volta a difendere le nostre città da possibili attacchi terroristici, debellare la produzione di oppio in Afghanistan e garantire sicurezza e stabilità politica in tutto il paese, da Helmand a Kandahar.

 

Ad eccezione dell’uccisione di Bin laden – avvenuta dopo dieci anni e per di più in un altro paese – nemmeno uno degli obiettivi inizialmente prefissati è stato raggiunto.

Al contrario, le cellule di Al-Qaeda si sono moltiplicate e diffuse in tutto il mondo arabo e musulmano, insediandosi prima in Iraq e ora anche in Siria. Lontana dal proteggere le nostre strade da possibili attacchi terroristici, la guerra in Afghanistan è stata ripetutamente usata come giustificazione da tutti coloro che la combattono – e più recentemente da Michael Adebolajo che lo scorso maggio uccise nelle strade di Londra Lee Rigby, veterano che aveva combattuto in Afghanistan.

I talebani sono sempre più forti, hanno compiuto 6600 attacchi terroristici tra maggio e ottobre di quest’anno e stanno ora negoziando il loro ritorno al potere. Il Mullah Omar è ancora in libertà. La produzione di oppio in Afghanistan ha raggiunto un record senza precedenti, aggiudicandosi il 90 per cento della produzione mondiale. Oggi meno della metà del paese è ‘sicura e pronta per essere ricostruita’, mentre nel 2009 il territorio considerato stabile era circa il 68 per cento.

Nel frattempo la condizione delle donne sta peggiorando e gli episodi di violenza contro quest’ultime sono in continuo aumento sotto l’occupazione delle forze Nato: solo nei primi sei mesi di quest’anno gli osservatori dei diritti umani hanno registrato più di 4000 episodi di violenza contro le donne, tra cui casi di stupro, attacchi con l’acido, maltrattamento e mutilazione. Le elezioni sono state vergognosamente truccate, il regime corrotto formato da criminali e signori della guerra rimane al potere grazie al sostegno delle forze straniere mentre la violenza dilaga pericolosamente verso il vicino Pakistan, tutt’oggi molto instabile.

Il conflitto ha poi causato la morte di decine di migliaia di civili afghani, di soldati americani, inglesi e delle forze alleate. Ma tutto ciò non è stato uno semplice imprevisto, anzi. Quando dodici anni fa, all’inizio della guerra, i media parlavano di vittoria certa in Afghanistan e i toni trionfalistici di Tony Blair raccoglievano consensi in tutto l’establishment politico, le voci di coloro che si opponevano all’invasione militare si fecero sentire, prevedendo che quella non sarebbe stata una guerra lampo ma semmai un’enorme calamità per il popolo afghano nonché una sconfitta militare per le forze occupanti – all’epoca però, queste voci furono difinite dai politici ‘false’ e ‘ridicole’.

Alla fine questo è esattamente ciò che è accaduto. Diversi studi hanno confermato un’escalation di violenza nelle operazioni militari delle forze inglesi una volta insediatesi nella provincia di Helmand nel 2006, dove furonoo uccisi oltre 500 civili in una campagna militare costata tra i 25 e i 37 miliardi di sterline. Dopo quattro anni le forze militari americane dovettero correre in loro soccorso, ma nessuno dei leader politici che promossero questa missione è stato chiamato a rispondere in merito a questa immane tragedia.

Stesso epilogo, ma più catastrofico, si verificò in Iraq. L’occupazione doveva essere una passeggiata per le truppe inglesi che avrebbero dovuto guidare le operazioni militari della contro insorgenza. Quelli contrari all’invasione militare ancora una volta diedero voce al proprio dissenso, preannunciando che il conflitto avrebbe scatenato una feroce resistenza che non si sarebbe placata se non con il ritiro delle truppe straniere. Quando ciò si verificò, le truppe inglesi, sconfitte, furono costrette a lasciare la città di Bassora ormai ridotta ad un cumulo di macerie.

Sei anni più tardi, chi ha pagato per tutto questo? Un solo caporale inglese è stato condannato per aver commesso crimini di guerra mentre la casta politica ha scaricato le proprie responsabilità per le atrocità commesse in Iraq sull’inchiesta Chilcot – il cui rapporto finale continua a tardare nonostante siano passati già tre anni dall’ultima revisione. Data la mancanza di informazioni e dibattito in merito a ciò che è davvero accaduto, non soprende più di tanto se la maggioranza del popolo britannico ritiene oggi che i morti di questa guerra siano meno di 10 mila, quando in realtà le cifre ufficiali parlano di almeno 500 mila vittime.

L’Iraq tuttavia non è stato l’ultimo disastroso intervento militare condotto dalle forze americane ed inglesi. La guerra in Libia avrebbe dovuto essere un vero trionfo umanitario, ma la campagna militare Nato a sostegno della rivolta libica non solo fece salire vertiginosamente il bilancio dei morti, provocando una vera pulizia etnica di massa e una lunga serie di massacri, ma finì anche per lasciare il paese nelle mani di milizie inferocite e ribelli separatisti che ancora oggi minacciano di dilaniare il paese.

Nel frattempo, l’alternativa militare delle forze occidentali in Siria si sta rivelando ancora una volta un grandissimo fallimento. Le fazioni del Esercito Siriano Libero appoggiate dalle forze americane, inglesi e francesi hanno subìto un durissimo colpo da parte dei combattenti jihadisti legati ad Al-Qaeda – creati dall’intelligence occidentale durante la guerra fredda e diffusi poi in tutta la regione in seguito all’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq.

Le guerre scatenate o fomentate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dai loro alleati negli ultimi dodici anni sono vergognose. Lontane dall’aver raggiunto i propri obiettivi, queste guerre hanno portato solo miseria estrema, hanno alimentato il terrorismo in tutto il mondo e si sono rivelate una clamorosa sconfitta per tutti quelli che le hanno promosse. Nel caso dell’Afghanistan poi, la fine del conflitto non sembra esser poi così vicina dal momento che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna intendono mantenere le proprie truppe e basi militari nel paese ancora a lungo.

Se gli obiettivi fossero davvero valutati con trasparenza e onestà, fallimenti di tale proporzione dovrebbero essere al centro di ogni dibattito politico. Invece la classe politica e i media preferiscono chiudere gli occhi dinnanzi a tutto ciò e avvalersi di toni patriottici per placare l’opinione pubblica ormai stanca di conflitti senza fine.

Lo storico voto parlamentare di sfiducia all’attacco in Siria lo scorso agosto è un importante passo verso un possibile cambiamento di tendenza, tuttavia il percorso di democratizzazione di guerra e pace è ancora lungo. Nel frattempo, anziché glorificare missioni disastrose, i politici responsabili di queste catastrofi devono cominciare a rispondere delle proprie azioni.

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