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Nuove truppe Usa in Afghanistan.

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Gli occhi della guerra – Daniela Lombardi – 19 settembre 2016

LAPRESSE 20160911141634 20588001 1024x804Truppe ben addestrate, che conoscono a fondo il modo di agire dei talebani per averli combattuti fin dal 2002, sulle quali il Pentagono punta anche per la lotta all’Isis.

L’annuncio che 1400 truppe da combattimento verranno spedite in Afghanistan, solo due anni dopo che l’amministrazione Obama aveva annunciato il graduale disimpegno militare nel Paese, è stato dato in questi giorni da fonti ufficiali.

Nonostante le dichiarazioni iniziali, Washington si è affrettata a precisare che si tratta di un normale avvicendamento e che il numero complessivo di soldati presenti nelle province afghane non aumenterà. Quello che però gli osservatori fanno notare, evidenza rilanciata anche dal quotidiano spagnolo El mundo, è la qualità, la tipologia di forze armate che verrà dispiegata sul territorio.

I militari apparterranno tutti alla 101esima divisione aviotrasportata, truppe scelte, e non dalle diverse unità che hanno già attualmente base in Afghanistan. Il dato sembra dimostrare la volontà di contrastare in maniera forte Al Qaeda e l’Isis che si stanno contendendo a suon di attentati il territorio afghano.

È sotto gli occhi di tutti che gli abitanti della provincia di Helmand e di quella di Nangharar, insieme a quelli della capitale Kabul, stanno pagando sulla propria pelle il prezzo della contesa tra talebani e Daesh. E proprio il fatto che tra le province dove il numero di jihadisti è maggiore e sta creando numerosi problemi ci sia quella di Nangharar, aiuta a leggere un altro dato.
Le truppe impiegate apparterranno tutte alla terza brigata di combattimento, conosciuta col soprannome di “Akkasans”, che ha combattuto in Afghanistan dal 2002 e che ha addestrato l’esercito afghano proprio nella provincia di Nangharar, dove alla violenza talebana si sta gradualmente sostituendo (in alcuni casi sommando) quella dell’Isis. Un fazzoletto di terra in cui Isis continua a crescere gettando la propria sfida ai Talebani e dalla quale partono “missioni” terroristiche che nell’ultimo anno e mezzo hanno creato grossi problemi nelle due città di Kabul e Jalalabad.

 

Negli ultimi tempi anche gli Usa, dopo aver sbandierato i “successi” della missione Isaf conclusa nel dicembre 2014, non sono più riusciti a negare che i talebani, pur avendo perso terreno, non siano stati affatto sconfitti e che Isis, nella sua versione afghana denominata Wilayat Khorasan abbia ormai il controllo di vaste e popolate aree nella provincia di Nangarhar.

Proprio nel Khorasan, regione a cavallo tra Afghanistan e Pakistan, molti talebani pakistani sono passati ad Isis, come dimostra la recente uccisione di Saeed Khan, leader del movimento terroristico nell’area. Saeed Khan, infatti, era un talebano pakistano passato tra le fila del Daesh. A Nangharar e dintorni, Isis ha interpretato il suo solito copione: le scuole sono state chiuse, i bimbi presi e votati alla causa del Jihad, le donne costrette a matrimoni forzati coi seguaci del Califfo. Le case abbandonate dai civili in fuga, infine, sono state occupate per farne “uffici” o rifugi per i miliziani.

Quanto alla provincia di Helmand i talebani continuano a volerla tenere stretta con le unghie e con i denti. Su Kabul e sulla situazione nella capitale, parlano ben chiaro gli ultimi, numerosi e devastanti attentati rivendicati ora dai talebani, ora dal Daesh. Di fronte a tutto questo, la risposta dell’esercito afghano, pur addestrato dagli Usa nella missione Resolute support che ha sostituito Isaf e che è ancora in atto, non sembra aver dato risposte particolarmente efficaci. Probabilmente è nell’ottica di migliorare il training che gli Usa hanno scelto truppe particolarmente preparate e che conoscono da anni Al Qaeda e le sue strategie, ma che sono molto “forti” anche nelle possibilità di contrastare Isis e il suo modo di espandersi sul territorio. Del resto, molti analisti stanno da tempo facendo notare che il disimpegno in Afghanistan avrebbe potuto portare i talebani ad alzare di nuovo la testa e Isis a voler avere degli affiliati nel mondo in cui il jihadismo “moderno” ha mosso i primi passi.

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