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AFGHANISTAN – Concluse le elezioni presidenziali: Ghani e Abdullah alla resa dei conti.

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Afghanistan: Sguardi e analisi di Claudio Bertolotti – 28 luglio 2014

ghani abdullah electionpage 2a232Afghanistan: i numeri dell’impegno Nato post-2014 e la conclusione del processo elettorale
Il 25 giugno, i ministri della Difesa dei paesi componenti la Nato, unitamente agli altri alleati non-Nato partecipanti alla missione Isaf, si sono incontrati con il vice ministro della difesa afghano, Ershad Ahmadi, per definire i tempi e le necessarie attività di coordinamento per il futuro – e non problematico, anche sul piano formale – schieramento sul suolo afghano della nuova missione dell’Alleanza atlantica.

A conferma di quanto previsto oltre un anno fa su «Osservatorio Strategico», è stato deciso che l’ammontare delle truppe straniere che andranno a costituire la nuova missione Nato “Resolute Support Mission”,sarà di circa 12.000 unità; il loro ruolo sarà di “train, advise e assist” a favore delle forze di sicurezza afghane. Del totale, 8.900 saranno statunitensi e le restanti ripartite tra i paesi partecipanti alla missione: l’Italia confermerà la propria leadership nella parte ovest del paese.

Chi sarà il successore di Hamid Karzai?
Sabato 14 giugno si è svolto il secondo turno elettorale per la presidenza dell’Afghanistan: finisce così l’epoca di Hamid Karzai.
Nel complesso, l’ultimo appuntamento elettorale ha visto una partecipazione superiore a quella registrata nel 2009: circa il 50 % di elettori in più, di questi il 36 % donne. Un dato importante da leggere come segnale di fiducia in contrapposizione all’alto livello di conflittualità socio-politica.

Abdullah contro Ghani
Zalmai Rassoul, candidato sponsorizzato da Karzai, non ha ottenuto il successo elettorale sperato accontentandosi dell’11,5 % delle preferenze. Ma il suo ruolo ha influito sugli equilibri elettorali dei due candidati rimasti in corsa: Abdullah Abdullah (ex ministro degli Esteri) con il 45 % delle preferenze e forte dell’endorsement di Rassoul, e Ashraf Ghani Ahmadzai (ex ministro delle Finanze) fermo al 31,6 %.

Ma il cambio alla guida dell’Afghanistan non avverrà prima della fine dell’estate: le elezioni si sono concluse il 14 giugno e i risultati finali – previsti per il 22 – hanno tardato ad arrivare; la proclamazione avverrà non prima del 22 luglio, tempi burocratici, brogli elettorali e probabili ricorsi permettendo. Lo stesso Abdullah ha dichiarato di non voler riconoscere i risultati ufficiali della Commissione Elettorale Indipendente fin quando questa non avrà escluso dal conteggio quella parte di schede su cui incombe il dubbio di irregolarità. Un’ipotesi che porterebbe a vivaci contestazioni alle quali potrebbero seguire, con ogni probabilità, manifestazioni di massa anche violente.

Breve analisi conclusiva
Nel confermare gli instabili equilibri afghani e la variabilità delle previsioni elettorali, alla data del 9 luglio, l’80% delle schede scrutinate ha consegnato un risultato parziale favorevole a Ghani (in vantaggio con il 56% di preferenze), con “non buona pace” di Abdullah (44%). Ma che vinca l’uno o l’altro, le problematiche da affrontare rimarranno le stesse; potrebbero però cambiare i ritmi della politica presidenziale.
Sebbene il presidente uscente, Karzai, abbia interrotto unilateralmente i colloqui negoziali con i taliban lo scorso 19 giugno, a fronte di una condizione complessivamente critica, il punto nodale della politica afghana (e regionale) è incentrato sul ruolo che i gruppi di opposizione armata avranno nel futuro assetto del paese.

La posizione assunta da Karzai è in questo momento ininfluente, almeno sul piano formale. Ghani, pragmatico e flessibile, si è dichiarato propenso alla riconciliazione con i taliban; un passo importante fondato sul principio di una possibile spartizione del potere (power sharing).
Un’opportuna linea strategica che anche Abdullah, sebbene riluttante, sarebbe costretto a seguire. È una questione di tempistiche poiché l’unica soluzione oggi perseguibile si basa su tale compromesso che, aprendo ai taliban – quei taliban formalmente imbattuti sul campo di battaglia –, imporrà una parziale revisione dei diritti costituzionali.

Un prezzo da pagare che la Comunità internazionale ha da tempo messo, a fronte dei risultati parziali, ma non del tutto negativi, ottenuti in tredici anni di guerra: una guerra non vinta e ormai lontana dai riflettori mediatici internazionali.

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