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INCONTRO ALLA CAMERA TRA HAMBASTAGI E SEL

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IMG 2129 300x225Il 27 ottobre 2015  Ubaid Ahmad Kabir del Comitato Centrale di Hambastagi, Partito afgano della Solidarietà, ha incontrato l’On Arturo Scotto e Nichi Vendola di Sinistra Ecologia e Libertà alla Camera. L’incontro è stato organizzato dal CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane.

A. Scotto: Vi ringrazio per l’opportunità e per la sensibilità che avete avuto nel rivolgervi a noi, che siamo un piccolo partito della sinistra italiana, in questa fase all’opposizione. Il nostro partito si chiama Sinistra Ecologia e Libertà e mette al centro della propria agenda politica la pace e i diritti umani.

U. Ahmed: Ringrazio per questo incontro. In Afghanistan molti dei partiti progressisti e democratici che lavorano e lottano per i diritti umani sono molto piccoli dal punto di vista del numero di iscritti, ma il lavoro che fanno è impressionante e grandioso. Per noi la grandezza di un partito non ha importanza, se non c’è la qualità della proposta politica. Grazie per averci invitati.

A. Scotto: In Commissione Esteri e Difesa la posizione che si sta discutendo – a cui SEL si oppone – è quella di mantenere in Afghanistan i militari italiani – poche centinaia – senza una strategia di ricostruzione del Paese, senza comprendere neanche il perché manteniamo la nostra presenza lì.

U. Ahmed: Hambastagi lavora per la libertà e l’indipendenza dell’Afghanistan perché ritiene che le forze USA e Nato abbiano invaso l’Afghanistan. Stiamo combattendo per la parità dei diritti tra uomini e donne, perché negli ultimi 40 anni le donne sono state oppresse dai diversi regimi avvicendatisi nel Paese e in particolare dai partiti fondamentalisti. Anche l’Italia ha delle responsabilità, perché le sue milizie sono entrate nel Paese con lo slogan della liberazione delle donne, ma dopo 15 anni di presenza militare straniera i problemi non si sono risolti. Le donne e in generale l’intera popolazione continuano a subire condizioni di vita miserabili; le stesse del periodo talebano, che ora peggiorano con l’estensione del controllo di queste milizie su vasta parte del territorio.
Quando l’Afghanistan è stato invaso la Nato e gli USA hanno portato al potere gli stessi signori della guerra e criminali dell’epoca dei talebani. L’Italia ad esempio, nell’area di insediamento delle proprie truppe, sta sostenendo uno dei più brutali signori della guerra: Ismail Khan, governatore della provincia di Herat. Il figlio di Ismail Khan è stato portato a studiare in una delle principali Università italiane. Un domani il figlio di questo criminale governerà l’Afghanistan perpetrando gli stessi crimini del padre. Un altro esempio: il sostegno a Fausia Kufi, donna corrotta della zona a nord dell’Afghanistan (Badashar) che ha distorto soldi dalla cooperazione italiana per usi personali. Per questo motivo chiediamo l’uscita urgente delle forze militari NATO e USA, perché pur con la loro presenza l’Afghanistan non ha visto nessuna prosperità o pace. L’Afghanistan è divenuto un posto ancor più insicuro per le donne e i bambini.
Il Governo italiano e le truppe operano come strumenti e mano lunga degli USA e della Nato e dagli afgani i soldati italiani non sono considerati in maniera diversa da quanto lo siano le truppe americane. Non c’è alcun investimento in ospedali, scuole e infrastrutture.

 

A. Scotto: Qual è la situazione di Kunduz?

U. Ahmed: Per Hambastagi ciò che è accaduto a Kunduz non è certo una sorpresa, considerando che l’attuale governo è tra i più corrotti; l’elezione dello scorso anno è tutta da ridere. Anche il capo dell’intelligence afghana ha dichiarato che si aspettava un attacco a Kunduz ed aveva spedito un commando speciale afghano già quattro mesi prima dell’operazione, per mantenere i talebani fuori dalla città. Però, quando i militari sono arrivati all’aeroporto è stato impartito l’ordine di non attaccare (lui non dichiara chi diede quell’ordine ma Hambastagi è sicura che l’ordine sia arrivato dal Presidente e dalle truppe USA) e in qualche modo loro sapevano cosa sarebbe accaduto. I civili sono stati le vittime principali: più di 300 donne sono state violentate o rapite dai talebani, hanno ucciso civili, i negozi sono stati rapinati, gli abitanti sono fuggiti nelle aree rurali o a Kabul con indosso solo i propri abiti perché l’attacco ha avuto inizio alle 2 di notte e già alle 9 del mattino i talebani avevano il controllo della città. Così i civili fuggiti ora vivono una vita miserabile a maggior rischio a causa dell’approssimarsi dell’inverno. Il governo Afghano non è in grado di fornire abitazioni e cibo e molti di loro che non hanno trovato ospitalità presso parenti vivono per strada come miserabili. La città è ora sotto il controllo del governo ma le aree circostanti sono sotto controllo talebano.

A. Scotto: la posizione di SEL è sempre stata critica nei confronti della presenza dei militari. SEL ha più volte chiesto che la missione ISAF venisse chiusa e di comprendere cosa voglia dire la missione “resolute support” che ha ancora difficoltà a partire. Malgrado ciò ci domandiamo, se domani mattina le forze USA e Nato se ne andassero non ci sarebbe il rischio che i talebani prendano il controllo di tutto il territorio afghano? Con il quadro politico che è stato descritto: un governo che non riesce a garantire la sicurezza, incapacità di ricostruire infrastrutture civili e sociali, la condizione della donna ancora sostanzialmente simile a quella di 15 anni fa e forte instabilità delle istituzioni permanenti, il rischio che i talebani riprendano il controllo c’è?

U. Ahmed: il punto è che Hambastagi crede che i talebani non siano tanto diversi da personaggi che siedono in Parlamento e che hanno militato nelle file dell’Alleanza del Nord: Sayaff, Abdullah ecc. non sono diversi dai talebani. Crediamo che i talebani, e oggi anche l’ISIS, non sarebbero in grado di sopravvivere un solo giorno se non fossero finanziati dagli USA, dai servizi segreti Pakistani e dagli altri paesi del Medioriente. La storia non è cambiata, abbiamo diverse prove di questo sostegno, che è connesso con il commercio della droga. L’Afghanistan è il principale produttore al mondo di oppio – un report UNODOC dichiara che l’Afghanistan nel 2013 produceva il 92% del mercato mondiale dell’oppio. Agenti della CIA e dei Servizi segreti britannici (MI6) che ora sono divenuti scrittori hanno dichiarato che CIA e MI6 stanno guadagnano ogni anno dai 5 ai 600 miliardi di dollari dal traffico della droga. Ciò che hanno fatto in America Latina lo stanno rifacendo in Afghanistan. Un altro elemento importante è quello delle risorse naturali: metalli preziosi quali il litio, di cui il paese è ricco, e l’uranio. L’area di Helmand, ricca di uranio, è considerata la più insicura al mondo.
Gli Usa vogliono che il Paese rimanga in condizioni di insicurezza anche perché questo giustifica la loro presenza sul territorio. Vogliono controllare la Russia, la Cina e l’Iran.
Hambastagi non dice che con l’uscita della missione militare tutti i problemi si risolverebbero, ma quantomeno gli afghani avrebbero un problema in meno. Dovrebbero fare fronte ai talebani, all’ISIS e ai signori della guerra ma oggi, oltre a questo, si aggiungono i problemi con le forze armate NATO che si macchiano di crimini di guerra e bombardano interi villaggi.

A. Scotto: la maggioranza della popolazione afghana riuscirebbe a costruire un’alternativa democratica facendo fronte all’ISIS, ai talebani e ai signori della guerra?

U. Ahmed: la presenza delle forze armate straniere non garantisce nessuna democrazia né pace. Noi diciamo che devono uscire dal Paese, ma oltre a ciò è indispensabile che cessino di finanziare ai talebani perché noi crediamo che senza questo aiuto loro non sarebbero in grado di sopravvivere. Un esempio: un kalashnikov costa 1.000 dollari. In un paese povero come l’Afghanistan i talebani non potrebbero acquistare neanche le pallottole.
Quando Karzai riunì la Loya Jirga per la firma dell’Accordo Bilaterale di Sicurezza, Hambastagi e alcuni attivisti per i diritti umani come Malalai Joya e Belkis Roshan si opposero perché questo avrebbe comportato l’installazione permanente di basi militari in Afghanistan. Il governo dichiarò che questo accordo avrebbe portato la pace, avrebbe permesso di combattere i talebani e avrebbe aiutato a controllare paesi vicini come Iran e Pakistan, che così non avrebbero potuto attaccare l’Afghanistan. Ma una volta firmato l’accordo la situazione si è ancor più deteriorata: più attentati suicidi con l’esplosivo, attacchi dal Pakistan che ogni giorno sparano sui villaggi afghani, i talebani si sono rafforzati, più rapimenti, l’insicurezza è divenuta insostenibile. Le statistiche del Governo dello scorso mese dicono che i talebani sono presenti in 25 provincie afghane e Hambastagi crede che in realtà questi numeri siano anche più alti.

A. Scotto: Quanti sono i combattenti talebani in Afghanistan?

U. Ahmed: dai 3 ai 4.000 combattenti e le forze ISIS sono dai 50 ai 100 combattenti; queste forze non dovrebbero dare problemi neanche a una sola provincia, ma hanno mani libere per fare ciò che vogliono perché sostenuti anche finanziariamente dalla NATO e dagli USA. Spesso le forze armate afghane preferiscono non attaccare i talebani per non avere ritorsioni. Molti traduttori afghani che lavorano con le forze armate Usa testimoniano che quando i Talebani vengono catturati, dopo pochi giorni vengono immediatamente rilasciati.

CISDA: Qual è il motivo per cui gli USA lasciano entrare le forze dell’ISIS nel Paese?

U. Ahmed: Il motivo risiede nel fatto che i talebani sono un gruppo radicato localmente in Afghanistan mente l’ISIS è un gruppo internazionale. Le forze Daesh vogliono prendere il controllo delle milizie talebane e molti combattenti vengono chiamati a schierarsi tra le loro fila. Vogliono far sì che l’Afghanistan diventi per loro un porto franco perché vogliono usare il territorio come base di attacco verso i paesi centro-asiatici come il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan; vogliono costituire una minaccia contro la Russia, l’Iran e la Cina.

A. Scotto: Come è collocato nel sistema politico istituzionale Hambastagi ?
Hambastagi è nato nel 2004, quindi è un partito giovane ma conta, nella sua breve vita, già 30.000 membri. Il 33% dei membri sono donne e la sua leadership è costituita dal 50% da donne. Vogliamo un Afghanistan indipendente, libertà, democrazia e laicità, perché la democrazia senza laicità non è possibile. Attualmente siamo considerati la principale forza di opposizione non violenta del paese, ma dobbiamo fare fronte a molte minacce. Ad esempio nel 2012 abbiamo organizzato una grande dimostrazione a cui hanno partecipato 5.000 persone che venivano da tutto il paese – e questi sono numeri importanti per un paese come l’Afghanistan – contro la presenza dei signori della guerra in Parlamento. La registrazione del nostro partito è stata cancellata e più di 25 attivisti – tra cui io stesso – sono stati incarcerati e torturati.
C’è stata allora una grande pressione pubblica e internazionale, in particolare dei paesi europei, tra cui l’Italia, e la solidarietà di tante organizzazioni e partiti politici della sinistra, che hanno fatto una campagna di denuncia contro la pretesa faccia democratica del governo afghano che opprime una pacifica manifestazione. Grazie a questa solidarietà internazionale il Presidente Karzai ha dovuto dichiarare che c’era stata una incomprensione ed è dovuto tornare sui suoi passi ripristinando la registrazione ufficiale del Partito. Ciò dimostra che il sostegno internazionale può avere forte impatto anche sulla politica interna afgana. Hambastagi è comunque fuori dal Parlamento ma è considerata la principale forza di opposizione.

A. Scotto: Come funziona in Afghanistan la legge elettorale?

U. Ahmed: I politici in Afghanistan si candidano individualmente per l’elezione in Parlamento e, anche se vengono eletti, non lo sono in virtù della rappresentanza del proprio partito politico.

A. Scotto: Ci sono collegi territoriali?

U. Ahmed: Sono previste due tipologie di elezioni: quella dei consigli provinciali e l’elezione parlamentare. I rappresentanti dei consigli provinciali entrano in Parlamento e vengono scelti sulla base di criteri di genere, estensione della provincia, numero di abitanti ed altro.

La richiesta che porto come rappresentante di Hambastagi è quella che, pur tenendo in considerazione il fatto che possa essere complesso far sì che le truppe lascino l’Afghanistan, è necessario dare maggiore visibilità a ciò che sta subendo la popolazione malgrado la presenza delle forze di intervento militare. Ogni giorno la popolazione subisce gli attacchi dei talebani, dei signori della guerra e delle truppe USA e NATO che generano vittime civili. Chiediamo il sostegno del governo Italiano affinché faccia pressione sul governo afghano perché i problemi della società civile siano affrontati e si trovino delle soluzioni che diano la possibilità al popolo afghano di riprendere nelle proprie mani il proprio destino. Per tutto questo è necessario fornire sostegno a quei partiti – quali Hambastagi – che sono in grado di offrire un punto di vista utile per la costruzione di una società realmente democratica. Il governo italiano potrebbe infine tenere in considerazione il fatto che, nei momenti delle scelte – ad esempio se rimanere o meno con le truppe in Afghanistan – Hambastagi, un partito registrato, potrebbe essere ascoltato per comprendere la realtà del Paese.

A. Scotto: Quale ruolo svolge lei nel partito e che contatti ha avuto in Italia?

U. Ahmed: Sono un membro del Comitato Centrale di Hambastagi. Sono in Italia con l’aiuto del CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane che ha organizzato diversi incontri con associazioni, movimenti e partiti. Ad esempio a Vicenza ho incontrato il movimento NO Dal Molin che come Hambastagi si oppone alla presenza di basi militari sul territorio nazionale. Sono stato a Belluno in diverse scuole dove ho raccontato i problemi che devono affrontare i bambini afghani, a Udine in un Centro rifugiati dove ho raccontato i problemi che devono affrontare i rifugiati afghani e i motivi per cui lasciano il paese. Gli incontri che ho avuto anche a Milano e Roma hanno tutti avuto l’obiettivo di dare visibilità al lavoro che stiamo portando avanti e alle nostre posizioni politiche.

A. Scotto: il Partito Democratico sarà impegnato nei prossimi giorni con la discussione alla Camera sul prolungamento della missione militare in Afghanistan. Nella discussione rispetto alle strategie militari inseriremo senz’altro – come abbiamo sempre fatto, ma a maggior ragione dopo questo colloquio – la voce della società civile organizzata e dei partiti democratici. Spesso lo sguardo sull’Afghanistan è quello di chi vuole leggere unicamente il Paese come attore dello scacchiere geopolitico oppure viene mediato dalla voce dei giornali che raccontano il Paese solo per ciò che riguarda l’avanzata dei talebani o un eccidio particolarmente cruento. Non c’è un racconto sulla vita concreta delle persone, sulle condizioni economico-sociali, sulla condizione delle donne e anche sul tessuto democratico dell’Afghanistan che è molto più forte di come viene descritto. Per esempio il Partito della Solidarietà (Hambastagi) dà lezioni anche all’Italia, non soltanto è avanzato rispetto al quadro politico afghano, rispetto al principio della laicità, della non violenza e della parità di genere. Queste questioni, secondo il nostro punto di vista, dovranno essere messe in luce quando discuteremo della permanenza degli americani in Afghanistan, oltre ai dati molto interessanti che Ubaid Ahmed ci ha fornito rispetto alla guerriglia talebana e al giro e al volume di affari del narco-traffico. Questo è l’impegno che ci sentiamo di assumerci.

U. Ahmed: Anche in vista del dibattito sulla permanenza delle truppe italiane in Afghanistan, Hambastagi è disponibile a darvi spunti ed elementi di riflessione per poter offrire una chiave di lettura diversa di ciò che realmente succede in Afghanistan.

N. Vendola: Il CISDA si occupa dei diritti delle donne o della situazione politica in Afghanistan?

CISDA: Ci occupiamo dei diritti delle donne, certamente! Ma questi dipendono naturalmente dalla situazione politica del Paese. Siamo nate dalla rete internazionale delle Donne in Nero e il nostro contatto con l’Afghanistan è stato l’incontro con RAWA (Revolutionary Association Women of Afghanistan), una associazione femminista nata negli anni Settanta. Oltre a Rawa sosteniamo diverse associazioni in Afghanistan che operano per il sostegno umanitario, perché le attività sociali possono generare una presa di coscienza politica.

A. Scotto: La cosa straordinaria è l’impianto culturale di questo partito in un paese che vive condizioni così estreme!

N. Vendola: Abbiamo sempre lo stesso problema sin dai tempi della guerra nei Balcani: non vedere quello che di nuovo si muove e si organizza nella società civile, il terreno culturale che viene proposto. Penso all’ossessione dell’ISIS e al fatto che nessuno ragiona più sull’esperienza di Kobane. La politica ufficiale, come non vedeva il fenomeno delle Donne in Nero che si opponevano a Milosevich, in tutti i regimi totalitari, in tutte le dittature, non vede dov’è la possibilità di seminare per una nuova stagione. Vediamo solo stereotipi e non ci accorgiamo mai della realtà. Improvvisamente è caduto il mito negativo dell’Iran e si scopre che senza parlare con l’Iran non si può sconfiggere la barbarie. Questo è possibile perché lì, tra le donne e i giovani, c’è un fermento straordinario.

U. Ahmed: Siamo in contatto con molti partiti progressisti quali l’HDP turco, Die Linke in Germania, la sinistra Svedese e molti altri partiti progressisti del Pakistan e dell’Iran. Ci farebbe piacere rimanere in contatto anche con voi per una collaborazione stretta.

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