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Roshan, la voce del dissenso

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Contropiano da Kabul – Enrico Campofreda – 17 marzo 2013

Roshan 150x150Belquis Roshan è stata eletta come indipendente nella provincia di Farah e siede nella Mehrano Jirga, la Camera Alta. È una delle 22 donne presenti in quel ramo del Parlamento afghano e una delle pochissime, se non attualmente l’unica, a esprimere energicamente il proprio dissenso alla politica dell’Esecutivo che ha conferito la carica di vicepresidente a due feroci Signori della guerra: Mohammed Fahim e Karim Khalili.

Per il ruolo ricoperto costoro si sono trasformati in Signori del business anche grazie agli assist ricevuti dall’occupazione occidentale. Roshan, formatisi nel movimento Rawa (Revolutionary Association Women of Afghanistan), è stata per un lungo periodo nella segreteria di Malalai Joya. Il padre anziano e cieco le diceva sempre di tenersi lontana dalla politica, lei caparbia ha fatto di testa sua. Ora che è entrata nella massima struttura legislativa del Paese l’ha convinto della bontà di scelte piene di profondo valore sociale.

Senatrice Roshan, lei non lesina aperte critiche al sistema Karzai, che futuro vede per il Paese?
Il futuro appare nero. Nerissimo. Non credo che il tanto sbandierato definitivo ritiro occidentale ci sarà perché ci sono troppi interessi strategico-militari e anche economici. Gli americani stanno lavorando per una riduzione cospicua delle truppe di terra che hanno incamerato sconfitte e registrato morti. Obama o chiunque per lui non può più giustificare così tante vittime verso la propria opinione pubblica. Gli Stati Uniti si concentreranno sulle basi aeree, controllando il territorio con l’uso dell’altissima tecnologia. 

Nel qual caso c’è chi ventila l’ipotesi di una riedizione della guerra civile.
È un’ipotesi sciagurata che nessun afghano vorrebbe, compresi taluni Signori della guerra ora molto occupati negli affari perseguiti con varie attività interne (commercio, edilizia, appalti) che gli fruttano capitali esportati all’estero e nei paradisi fiscali. Un nuovo conflitto interno, che peraltro non manca perché alcune province sono sotto il controllo talebano, è considerato da qualche osservatore uno spettro con cui intimorire la gente per lasciare inalterato l’attuale panorama. Il pericolo maggiore per il Paese è proprio rappresentato dal conflitto sospeso e protratto nei decenni a venire che blocca tutto e non risolve i problemi reali.

 

Basta girare nelle strade di Kabul per rendersi conto di quanto il quadro socio-economico sia desolante.
Proprio così. L’economia è un nodo centrale della politica assieme ai diritti. Le Istituzioni hanno il dovere di risolvere le contraddizioni della gente che deve vivere in pace, poter lavorare, nutrire e crescere i propri figli, migliorare le condizioni esistenziali che vedono la nazione precipitata agli ultimi posti della scala mondiale.
Una situazione ampiamente peggiorata nei dodici anni d’occupazione che ha fallito totalmente ogni obiettivo. Elementi noti e un nuovo ceto parassita, fomentato proprio dagli occidentali, fatto di mediatori, procacciatori d’affari privati, ingrassano gli interessi personali o quelli dei loro padroni in barba alle leggi e a danno di tutto ciò che occorre alla popolazione civile: scuole, ospedali, servizi di assistenza ai poveri e ai mutilati che sono tantissimi assieme alle vedove per i lunghi anni di guerra.

Lei sostiene che gli interessi imperialisti abbiano avvantaggiato i Signori della guerra gettatisi negli affari.
Senza dubbio, è una tendenza palese che i vertici dello Stato non nascondono più anche nei risvolti meno onorevoli come dimostra lo scandalo della Kabul Bank (cfr. articolo Economia afghana, la fame e i gioielli, ndr). La corruzione politica, i voti comprati, i brogli sono all’ordine del giorno.
Personalmente ho un elettorato forte nella mia provincia perché sono conosciuta e sostenuta dalle donne e dalle famiglie povere, ma non è escluso che una mia presenza alle elezioni del 2015 non possa venire inficiata da pressioni.
L’allerta è d’obbligo. Una linea che sostengo insieme all’amica Malalai Joya, e che continua a essere un nostro punto di riferimento, è la condotta morale nelle cariche pubbliche. Purtroppo ci scontriamo con la tendenza a lasciar correre, diventata imperante nel volto del sedicente Afghanistan democratico interpretato da Karzai. Da qui gli scontri verbali con lui nelle sedute parlamentari, ma io continuo a battere su questo tasto. E poi il clientelismo. L’ultimo esempio è recente: il governatore della provincia di Helmand ha sistemato l’intera famiglia a carico dello Stato, tutto ciò mentre abbiamo un’infinità di bambini orfani e abbandonati che muoiono di fame.

Quali spazi si prospettano per un impegno democratico?
Gli spazi sono direttamente proporzionali a una seria pratica del nostro lavoro che non può esimersi da atti d’accusa verso i responsabili del degrado che ci circonda. Non può esimersi per la coscienza del nostro credo e perché la realtà è effettivamente degradata, noi non stiamo inventando nulla. Al contrario questo governo appoggiato dall’Occidente è inerte, scusi se mi ripeto ma questo è il fulcro del problema. Sarebbero indispensabili un cambio di passo e di ceto dirigente. Noi voci democratiche che – e continuo a essere realista – siamo purtroppo minoritarie cerchiamo di coordinare le forze. Però dobbiamo fare i conti con due questioni: i fondi per sostenere tale impegno e gli spazi a disposizione che possono restringersi. Anch’io che sono senatrice vivo in una situazione precaria, la mia rete di protezione a Farah è ampia, ma quando vengo a Kabul sono continuamente sotto scorta per le molte minacce ricevute. Come vede la sto incontrando in un luogo segreto.

Senatrice ci dica quale Afghanistan sogna
L’Afghanistan che sogno è una nazione veramente indipendente e scevra da influenze estere che possa lavorare e produrre. Vorrei un’emancipazione economica per far sparire il flagello della fame, e una vera parità dei diritti fra i generi che sia tangibile ovunque. A Farah ho parlato con tanti uomini e li ho trovati anche disposti ad accettare e praticare questi princìpi in famiglia. Certo non giocano a favore la mentalità, le consuetudini, l’occhio della comunità sul proprio operato. Il cammino è lungo e deve coinvolgere le nuove generazioni ma se mai s’inizia non arriveremo ad alcun cambiamento.
Negli anni di Karzai c’è una completa discrasia fra quello che si decide con le leggi e la loro totale inapplicazione. Inoltre le aperture del presidente a talebani e politici profondamente conservatori vanificano ogni sforzo, anche quelli legislativi. Penso alla norma sulla violenza contro le donne che fa solo da paravento al mantenimento del pastunwali (le regole consuetudinarie, ndr). Se l’Occidente vuole davvero aiutarci deve contribuire al nostro impegno di rinnovamento del ceto politico.

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