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Afghanistan: l’oppio è il miglior amico e il peggior nemico degli Stati Uniti.

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International Bussines Time – Ed. Italiana, di Andrea Spinelli Barrile – 2 marzo 2016.

Dalle ore 20:45 – afghane – di domenica 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti d’America combattono una guerra in Afghanistan: si tratta del conflitto più lungo nel quale l’America si è impegnata dal 1776 nel quale sono stati impiegati 100.000 dei migliori soldati, investiti 1.000 miliardi di dollari e perdute 2.200 vite di militari americani.

Ma quella contro l’Afghanistan non è solo il conflitto più lungo nel quale gli Stati Uniti hanno combattuto ma anche quello dal quale potrebbero uscirne sonoramente sconfitti: la Casa Bianca aveva preventivato, due anni fa, di ritirare le proprie truppe dall’Afghanistan e l’operazione sembrava essersi conclusa, salvo un repentino ripensamento da parte dell’amministrazione americana, che ha annullato il ritiro e lascerà 10.000 soldati nel paese “a tempo indeterminato”.

La missione americana in Afghanistan in realtà deve buona parte del proprio insuccesso a un fiore, il papavero da oppio. È l’oppio ad aver veramente segnato la storia dell’Afghanistan degli ultimi 40 anni: oggi il Paese asiatico è il primo narco-stato del mondo, un paradosso incredibile per la politica estera americana.

Gli Stati Uniti sono presenti in Afghanistan dal 1979, quando la CIA partecipava in segreto alla guerra surrogata contro i russi: le operazioni militari di Washington divennero efficaci quando si adattarono al traffico illecito di oppio dall’Asia centrale e la vittoria contro la Russia fu possibile solo quando gli alleati afghani degli Stati Uniti hanno usato senza impedimenti il traffico di droga per finanziare la loro lotta. In Afghanistan ha funzionato così per 30 anni, fino al 2001, e negli ultimi 15 gli americani non sono riusciti a limitare l’insurrezione armata perché non sono riusciti a controllare il maggiore traffico di eroina dal Paese: nei primi cinque anni di guerra la produzione di oppio è salita da 180 tonnellate l’anno a 8.200 tonnellate.

 

In questo senso gli Stati Uniti hanno pesanti responsabilità: un rapporto del 1986 del Dipartimento di Stato americano citato da Salon descrive le zone tribali dell’Afghanistan come terre nelle quali è possibile fare qualsiasi cosa: “Non ci sono forze di polizia, non ci sono tribunali, non vi è alcuna tassazione, nessuna arma è illegale e il commercio di hashish e oppio è fatto senza problemi […] l’oppio è una coltura ideale in un paese devastato dalla guerra in quanto richiede bassi investimenti di capitale, cresce rapidamente ed è facilmente trasportabile e commercializzabile”. Due anni prima il 60 per cento del mercato dell’eroina statunitense e l’80 per cento di quello europeo era appannaggio della droga afghana. Ma la guerra incessante della CIA contro la Russia ha generato 3 milioni di rifugiati e interrotto la produzione alimentare, convertendo le colture in papavero da oppio, e nei primi anni Ottanta sono spuntati come funghi laboratori per la raffinazione dell’eroina al confine afghano-pakistano: cinque anni dopo secondo le Nazioni Unite in Pakistan si era passati da zero a 1,3 milioni di consumatori di eroina. “La nostra missione principale è stata fare il maggior danno possibile ai sovietici. Non abbiamo le risorse o il tempo da dedicare a un’indagine sul traffico di droga e non credo che dovremmo bisogno di chiedere scusa per questo… C’è stata una ricaduta in termini di consumo di droga, sì, ma l’obiettivo principale è stato raggiunto: i sovietici hanno lasciato l’Afghanistan” dichiarò nel 1995 l’ex direttore delle operazioni della CIA in Afghanistan Charles Cogan.

Dopo l’abbandono dell’Afghanistan da parte dei sovietici nel 1989 l’assenza di un piano finanziario e il progressivo disinteresse americano fecero precipitare l’Afghanistan in una guerra civile terribile, che consegnò il potere ai talebani nel 1996. Nella prima fase della guerra civile, tra il 1992 e il 1994, i signori della guerra locali e il fronte afghano fortemente disunito si sono combattuti tra loro per il controllo del commercio delle armi e sopratutto dell’oppio mentre il Pakistan entrava nel conflitto appoggiando i pashtun, movimento fondamentalista emerso nelle scuole coraniche militanti (da cui il termine Talebano, che significa “studente”).

Quando questi presero Kabul nel 1996 incoraggiarono la coltivazione dell’oppio offrendo la protezione del nuovo governo per il suo commercio e la sua esportazione e riscuotendo le imposte sia sulla produzione di oppio che di eroina. In tre anni la produzione schizzò a 4.600 tonnellate, accaparrandosi una fetta di mercato mondiale dell’eroina pari al 75 per cento. La siccità del 2000 fu letale per i raccolti, crollati del 94 per cento (in quell’anno la produzione fu di appena 185 tonnellate), e quell’anno i talebani vietarono improvvisamente le coltivazioni, cercando così un riconoscimento internazionale ufficiale del loro governo e preziosi aiuti internazionali.

Poi la situazione precipitò velocemente: nel maggio 2001 Colin Powell, allora Segretario di Stato americano, elogiò la nuova politica dei talebani sulla coltivazione del papavero da oppio, esortandoli ad agire anche su altri fronti, tra cui il sostegno al terrorismo. Pochi mesi dopo ci fu l’11 settembre e dopo appena tre settimane ancora gli americani cominciarono una guerra in corso ancora oggi. Il regime crollò con una facilità impressionante: l’improvviso divieto delle coltivazioni aveva asciugato le casse dei talebani e la teocrazia afghana andò in pezzi come un guscio vuoto. A quel punto le infrastrutture agricole del Paese erano quasi interamente dedicate alle monocolture del papavero e le entrate fiscali erano rappresentate unicamente dalle tasse sulle coltivazioni, le esportazioni di oppio e eroina erano l’unico reddito dello Stato afghano e il lavoro ruotava quasi interamente attorno alla produzione, alla raffinazione e al commercio di oppio ed eroina.

Secondo Salon nel primo anno di occupazione americana la produzione di oppio è risalita a 3.400 tonnellate, nel 2003 rappresentò il 62 per cento del PIL e Donald Rumsfeld, all’epoca Segretario alla Difesa americano, confessò a mezza bocca che CIA ed esercito americano “hanno chiuso un occhio per le attività dei signori della guerra di primo piano connesse al mercato della droga”. Erano amici, parliamo dell’Alleanza del Nord guidata dal Leone del Panshir Ahmad Shah Massoud, e secondo il Washington Post la CIA staccò in quel periodo un assegno da 70 milioni di dollari per ingraziarsi i signori della guerra afghani.

Negli anni successivi la CIA indicò più volte come il mercato dell’oppio afghano fosse alimentato da una rinascita dei Talebani e il segretario Powell corse ai ripari, chiedendo una strategia per il narcotraffico più aggressiva ma concentrando paradossalmente gli sforzi sul Triangolo d’oro (Birmania-Vietnam-Thailandia) e chiedendo 20 miliardi di aiuti internazionali per l’Afghanistan.

Negli anni a venire è stata un’escalation senza fine: le superfici coltivate a papavero hanno raggiunto il record nel 2014 con 224.000 ettari che producevano 6.400 tonnellate l’anno. Nel maggio 2015 gli Stati Uniti fanno sapere che la spesa per la guerra alla droga salirà a 8,4 miliardi di dollari l’anno e a fine anno i risultati in Afghanistan sembrano intravedersi: la produzione è scesa a 3.300 tonnellate e le colture a 184.000 ettari, ma la resistenza dei contadini all’eradicazione delle coltivazioni, l’unica attività che sono oramai in grado non solo di fare ma di adattare alle infrastrutture esistenti, è fortissima.

E nel frattempo gli Stati Uniti hanno trasformato il “successo militare” afghano in un pantano molto viscoso nel quale addentrarsi: Obama ci ha provato a uscire dall’Afghanistan ma non è andata in porto. Che la Mezzaluna d’Oro afghana possa diventare un nuovo Vietnam?

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