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LE OMBRE DELL’ACCORDO UE/AFGHANISTAN SUI RIMPATRI.

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Gigliottina.it – di Angela Caporale – 15 novembre 2016

afghani 01Firmato lo scorso 2 ottobre a Bruxelles, il “Joint Way Forward Agreement” prevede che 80.000 afghani vengano rimpatriati, volontariamente o forzatamente. Una scelta che conferma la volontà di esternalizzare la gestione dell’immigrazione, ma l’Afghanistan è un paese sicuro?

L’Afghanistan si trasformerà presto in uno dei Paesi al mondo che ospita più profughi. Paradossale, dati alla mano, poiché si tratta della seconda nazionalità più rappresentata tra i richiedenti asilo in Europa sia nel 2015 che nei primi sei mesi del 2016. Sono state presentate 196.170 domande, solo lo scorso anno. Inoltre, Eurostat ha rilevato come la metà dei minori non accompagnati che approdano in Europa provenga proprio dall’Afghanistan: 40.025 bambini e ragazzini, il 52% del totale.

Come è possibile che uno stato da cui scappano così tante persone si trasformi in un Paese accogliente? Da un lato, l’irrigidimento dei rapporti con il vicino Pakistan, dove vivono 1,3 milioni di rifugiati afghani e oltre 700mila persone non registrate, ha fatto sì che si stia realizzando un contro-esodo. Ha fatto scalpore la vicenda della celebre ragazza con gli occhi verdi ritratta da Steve McCurry per National Geographic: Sharbat Gula, questo il suo nome, è stata condannata al rimpatrio forzato in Afghanistan dal tribunale di Peshawar poiché trovata in possesso di documenti falsi, quasi una consuetudine per molti degli afghani che vivono da anni in Pakistan in un limbo giuridico e privi di tutele.

 

Il ritorno dei profughi afghani nel loro Paese non è soltanto l’effetto delle politiche d’accoglienza pakistane, al contrario l’Unione Europea gioca un ruolo fondamentale in questa partita. Il 2 ottobre scorso è stato infatti firmato un accordo bilaterale tra le autorità europee e quelle afgane per promuovere un sistema congiunto di rimpatri, volontari e forzati. Il testo prevede che debbano tornare in Afghanistan colori i quali non hanno base legale per restare sul suolo europeo. Le stime parlano di circa 80.000 persone. I rimpatri volontari dovrebbero essere la norma, quelli forzati l’eccezione: viene infatti posto un tetto massimo di 50 rimpatri forzati per ogni volo charter in partenza per Kabul, ma contemporaneamente non esiste un limite massimo ai voli giornalieri né un numero da non superare di rimpatri da completare nei prossimi sei mesi.

Il “Joint Way Forward Agreement” è stato presentato nel corso della Conferenza internazionale per l’Afghanistan di Bruxelles, all’inizio di ottobre. Non una coincidenza fortuita dato che diverse fonti giornalistiche sostengono che la firma dell’accordo sia connessa con lo stanziamento di un fondo di aiuti diretti a Kabul che raggiunge i 16 miliardi di euro. Inoltre, l’Unione Europea si occuperà di sostenere i costi del rimpatrio e del reinserimento dei migranti nel loro paese d’origine. L’impressione è che sia stato replicato il modello del discusso accordo promosso lo scorso marzo dall’UE con la Turchia ed è segno della precisa volontà politica di Bruxelles di esternalizzare la gestione del “problema” immigrazione.

Così come in seguito all’accordo con Ankara, si sono levate forti voci critiche. Liza Schuster, esperta di migrazioni che lavora proprio a Kabul, ha dichiarato al The Guardian che l’intero negoziato è stato caratterizzato da una carenza di trasparenza: “Non c’è stata alcuna revisione, né consultazione, né tantomeno alcun coinvolgimento di nessuna delle organizzazioni che, in Europa, si occupano di immigrazione e diritti. Non c’è stata alcuna possibilità di opporsi contro questo accordo”.

Rincara la dose padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, secondo quanto riportato dall’Associazione Carta di Roma: “Si tratta dell’ennesimo colpo inferto dall’Unione europea alla dignità della vita umana, aggravato da uno spreco sproporzionato di risorse economiche che potrebbe essere destinato alla creazione di canali umanitari sicuri e ad un’accoglienza programmata e progettuale che impegni tutti gli Stati UE. È illegale oltre che immorale che l’UE gestisca in questo modo il flusso dei migranti sul proprio territorio”.

Nonostante l’assenza di notizie sulle prime pagine dei giornali europei, l’Afghanistan non è un Paese in pace. I gruppi Taliban hanno ripreso il controllo di ampie aree del territorio che sfuggono all’autorità centrale, violenti attentati si susseguono soprattutto nella regione di Kunduz e la ripresa della coltivazione di oppio ha comportato l’aggravarsi delle condizioni di vita dei civili nelle aree dei campi di papaveri, in particolare nella regione di Helmand. L’economia stenta a crescere, l’autorità di Kabul non ha il controllo totale del paese. Secondo il rapporto annuale di Reporters Without Borders, l’Afghanistan si colloca al 122 posto su 180 Paesi per quanto riguarda la libertà di stampa. HAWCA, Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan, sottolinea nei suoi report periodici che nemmeno la condizione di donne e bambine è sostanzialmente migliorata: insicurezza, violenze e violazioni restano all’ordine del giorno.

Come sottolineato da Annalisa Perteghella dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), l’Afghanistan è oggi tutt’altro che un paese pacificato e stabilizzato. Non si vuole negare la necessità di fornire aiuti ad un paese ancora in forte difficoltà dopo essere stato teatro di una guerra in cui alcuni stati europei sono stati direttamente coinvolti, ma condizionare questi aiuti ad una gestione dei flussi migratori risulta frutto di una strategia miope. Il flusso di profughi dal paese calerà soltanto quando l’Afghanistan diventerà un paese stabile, dove i cittadini si potranno sentire sicuri e dove sapranno a chi rivolgersi per esigere una tutela dei proprio diritti più basici. Fino ad allora, il rischio è che accordi del genere vadano a peggiorare la situazione attuale, favorendo chi amministra i finanziamenti e non chi dovrebbe riceverne beneficio.

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